Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.507 del 14/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25697-2018 proposto da:

L.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOSUE’

BORSI 4, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMILIANO DEBIASI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.L., SA.LA., domiciliati in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dagli avvocati ROMANO NICCOLINI, FLAVIO BONAZZA giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 133/2018 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 31/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dalla ricorrente;

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il 9 dicembre 2014, Sa.La. e S.L., nella qualità di figli di S.R. (deceduto il 25 maggio 2013), convenivano in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Trento, dopo aver inutilmente esperito un tentativo di mediazione, la moglie del de cuius L.S., affinchè fosse accertata la loro qualità di eredi legittimi, con conseguente condanna della convenuta a corrispondere la quota ereditaria di 1/3.

Gli attori avevano acquisito documentazione dalla quale emergeva che il de cuius, quando era ancora in vita, aveva disposto a favore della moglie con rilevanti donazioni immobiliari e di denaro, nonchè aveva conferito la delega a favore della stessa a gestire il conto corrente n. 00/5317/01 dal quale quest’ultima aveva prelevato ingenti somme di denaro; residuava, pertanto, nell’asse ereditario un’autovettura Audi 8E che la convenuta aveva provveduto ad intestarsi.

Nella contumacia della convenuta, il Tribunale di Trento, con la sentenza n. 5/2017, accertava la qualità di eredi legittimi in capo agli attori, determinava il valore della massa ereditaria in Euro 337.134,93, condannando la convenuta a corrispondere a ciascun attore la somma di Euro 112.378,31, corrispondente ad 1/3 della massa ereditaria, oltre interessi e spese di lite e di CTU.

La convenuta proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Trento.

Eccepiva preliminarmente la nullità/inesistenza/irregolarità della notifica, quindi, chiedeva la riforma della sentenza, asserendo la sua erroneità per non aver tenuto conto della presenza di un testamento olografo del 26/01/2012, nel quale era istituita unica erede universale del de cuius, nonchè di una dichiarazione di quest’ultimo relativa alle somme a suo tempo mutuate dall’appellante in suo favore e quindi costituenti debito ereditario da doversi necessariamente imputare al relictum. Infine, chiedeva la rimessione in termini per la produzione documentale, sussistendo un errore scusabile derivante dall’errore della notifica.

Gli originari attori si costituivano in appello, assumendo l’inammissibilità del gravame e la sua infondatezza, attesa la legittimità della notifica dell’atto introduttivo e la tardività della produzione documentale di parte appellante, essendo intervenute le preclusioni e decadenze di cui agli artt. 166,167,183 c.p.c. e 184 c.p.c., comma 6, n. 2.

Veniva altresì rilevata l’inammissibilità di domande, eccezioni e documenti nuovi in appello ex art. 345 c.p.c..

Nel merito contestavano l’autenticità e il contenuto delle scritture private, con domanda di accertamento negativo dell’autenticità del testamento olografo e della dichiarazione, producendo una relazione peritale, dalla quale emergeva che il testamento olografo e la dichiarazione fossero documenti apocrifi, non riferibili alla persona del de cuius.

In via riconvenzionale, chiedevano che fosse accertata l’indegnità a succedere dell’appellante ex art. 463 c.c., n. 6 per aver formato e fatto scientemente uso di un testamento falso, con conseguente condanna dell’appellante alla restituzione dei frutti pervenuti dopo l’apertura della successione. Con vittoria di spese e condanna dell’appellante per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..

La Corte d’Appello di Trento, con la sentenza n. 133/2018 del 31/05/2018, rigettava l’appello e condannava L.S. a rifondere le spese del giudizio.

La Corte confermava la sentenza di primo grado quanto all’accertamento della regolarità della notifica.

Il giudizio era stato instaurato con atto di citazione regolarmente notificato il 27 dicembre 2014, ed a tale riguardo, i fratelli S. avevano depositato la copia dell’avviso di ricevimento dell’atto introduttivo e della comunicazione dell’avvenuto deposito effettuata dall’agente postale (il quale, il 16 dicembre 2014, non trovando la L. presso la sua residenza, aveva provveduto ad immettere l’avviso nella cassetta corrispondente all’indirizzo e a depositare il plico presso l’ufficio postale, per poi darle comunicazione del compimento degli incombenti con raccomandata n. 76667103458/1, in applicazione della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8). A fronte di questa produzione documentale, controparte si era limitata a difese generiche, senza alcuna contestazione sul contenuto dei documenti attestanti la notificazione.

Dalla regolarità dell’instaurazione del giudizio di primo grado, discendeva l’inammissibilità per tardività della produzione documentale dell’appellante (testamento olografo e dichiarazione di debito), ex art. 345 c.p.c..

L.S. propone ricorso per la cassazione della suddetta sentenza della Corte d’Appello di Trento sulla base di un motivo, illustrato da memorie.

Hanno resistito con controricorso i fratelli S..

Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112,113,115,116,132 c.p.c. e degli artt. 2697, 2702, 2720, 587 e s.s., 713 e s.s., 1988 c.c..

La Corte d’Appello avrebbe omesso qualsiasi considerazione in merito alla domanda della ricorrente sottesa alla produzione documentale dichiarata inammissibile, che mirava alla riforma della sentenza impugnata in relazione alla qualità di erede, alle relative quote ereditarie e alla massa ereditaria da dividere. A parere della ricorrente su tali questioni non si era formato il giudicato e pertanto la domanda volta al relativo accertamento non doveva essere considerata domanda nuova ed inammissibile.

Sosteneva inoltre che la documentazione fosse stata erroneamente dichiarata inammissibile dalla Corte, costituendo, al contrario, una mera difesa perfettamente tempestiva, in quanto relativa a un fatto costitutivo della domanda (e non un’eccezione in senso stretto).

Il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con l’effettiva ratio della decisione impugnata.

La ricorrente, infatti, non contesta la regolarità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, accertata sia dal Tribunale sia dalla Corte d’Appello di Trento, ma si limita a denunciare la mancata pronuncia sulla domanda avanzata con l’atto di appello e la dichiarazione di inammissibilità della documentazione prodotta.

L’accertamento della qualità di contumace volontaria nel giudizio di primo grado della ricorrente deve essere ritenuto ormai passato in giudicato, con la conseguenza che, attesa l’assenza dei presupposti per ottenere la rimessione in termini, deve essere richiamato l’orientamento di questa Suprema Corte in base al quale il convenuto contumace in primo grado non si sottrae, ove si costituisca in appello, al divieto di domande nuove e, quindi, non può in tale sede avanzare domande riconvenzionali, proponibili ma non proposte nella precedente fase. Il contumace, infatti, non può godere di diritti maggiori di quelli spettanti alla parte presente nel primo grado, ma deve accettare il processo nello stato in cui si trova, con tutte le preclusioni e le decadenze già verificatesi, le quali hanno valore assoluto e inderogabile e possono essere rilevate d’ufficio (cfr. Cass., sez. 2, sentenza n. 2132 del 27/01/2017; Cass., sez. L, sentenza n. 16265 del 29/10/2003; Cass., sez. 1, sentenza n. 9579 del 14/08/1992).

A seguito della riformulazione dell’art. 345 c.p.c., ad opera D.L. n. 83 del 2012, è venuta meno anche la possibilità di formulare mere eccezioni riconvenzionali, le quali pur rimanendo nell’ambito della difesa, ampliano il tema della controversia, senza tuttavia tendere ad altro fine che non sia quello della reiezione della domanda, opponendo al diritto fatto valere dall’attore un diritto idoneo a paralizzarlo (cfr. Cass., sez. 2, sentenza n. 4133 del 02/03/2016).

Ma la soluzione non è destinata a mutare ove si ritenga, come prospettato dalla ricorrente, che le deduzioni difensive svolte per la prima volta in grado di appello siano riducibili nel novero delle mere difese.

Laddove, infatti, come nella fattispecie, la contestazione circa la natura della successione come legittima si fondi sull’allegazione dell’esistenza di un testamento (sicchè, come dedotto nelle memorie, si miri solo a fa accertare il vero titolo regolatore della successione), è pur sempre necessario che la prova del diverso titolo successorio sia stata fornita nel rispetto delle preclusioni istruttorie.

Quanto alla produzione documentale, l’art. 345 impedisce la produzione di nuovi documenti, salvo che la parte sia stata nell’impossibilità incolpevole di produrli; il requisito dell’indispensabilità del documento ai fini della decisione non ha più rilievo a seguito della riforma introdotta dal D.L. 83 del 2012, che risulta appunto applicabile al caso in esame ratione temporis.

L’accertamento della regolarità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, tuttavia, esclude la sussistenza di un vizio tale da giustificare la rimessione in termini della ricorrente (cfr. Cass., sez. 3, sentenza n. 26522 del 09/11/2017) ed esclude altresì che ricorra la non imputabilità che legittima la produzione per la prima volta in grado di appello.

Alla luce della correttezza della decisione della Corte d’Appello di Trento, nella parte in cui dichiara inammissibili le domande e preclusa la produzione documentale della ricorrente per la loro novità, sono inconferenti, pertanto, i richiami agli artt. 112,113,115,116,132 c.p.c. ed agli artt. 2697,2702,2720,587 e s.s., 713 e s.s., 1988 c.c., la cui violazione è esclusa.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Ric. 2018 n. 25697 sez. M2 – ud. 02-12-2020 -7-

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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