LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25999-2018 proposto da:
T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA, 3, presso lo studio dell’avvocato MARCO BATTAGLIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI MANDRONE giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
T.D., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO CARLI BALLOLA, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 15/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE T.G. proponeva domanda di divisione dei beni relitti della madre B.A. nei confronti del fratello D., chiedendo altresì la condanna al pagamento di somme asseritamente dovute dal germano.
All’esito dell’istruttoria il Tribunale di Torino, con la sentenza n. 6081 del 13 dicembre 2017, disponeva lo scioglimento della comunione, includendo anche i frutti prodotti dai beni in comune sotto forma di canoni di locazione, escludeva la possibilità di incrementare il conguaglio dovuto al convenuto in relazione alla metà della somma per la quale era stato pignorato un bene comune, rigettava la domanda dell’attore di pagamento della somma di Euro 65.000,00 non ravvisando l’esistenza di una ricognizione del debito, e dichiarava esecutivo il progetto divisionale predisposto dal CTU, e richiamato nell’ordinanza del G.I. del 14/11/2016.
Avverso tale sentenza ha proposto appello T.G. e la Corte d’Appello di Torino con ordinanza del 15 maggio 2018 ha dichiarato l’appello inammissibile ex art. 348 bis c.p.c..
In tal senso riteneva infondata la deduzione circa la nullità della sentenza impugnata che aveva dichiarato esecutivo il progetto di divisione, laddove, avendo optato per la soluzione contenziosa, avrebbe dovuto assegnare le rispettive proprietà ai contendenti.
Osservava la Corte di merito che la sentenza non aveva definito il giudizio ai sensi dell’art. 789 c.p.c. con ordinanza, ma aveva esaminato e vagliato ogni contestazione mossa al progetto di divisione, pervenendo all’approvazione del progetto di divisione con sentenza, dovendo altresì reputarsi che il rinvio al progetto di divisione, come riprodotto nell’ordinanza del 14/11/2016, implicava un rinvio per relationem al suo contenuto, con conseguente attribuzione delle quote in natura ai due condividenti.
Era del pari condivisibile la valutazione del giudice di prime cure circa l’insussistenza di una ricognizione del debito, atteso il tenore generico della dichiarazione del 30 gennaio 2008, mancando una precisa individuazione della somma di cui il dichiarante si sarebbe riconosciuto debitore.
Ancora, nella domanda di divisione doveva ritenersi inclusa anche quella volta ad ottenere il riparto dei canoni di locazione prodotti medio tempore dal bene in comune, e percetti da uno solo dei condividenti, in quanto i frutti vanno distribuiti tra i comunisti sin quando non intervenga lo scioglimento della comunione.
Infine, erano del tutto condivisibili le valutazioni in ordine alla correttezza dell’operato del CTU, palesandosi quindi corretta anche l’individuazione delle somme dovute a titolo di conguaglio.
Avverso tale ordinanza T.G. propone ricorso sulla base di un motivo.
T.D. resiste con controricorso.
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente per la mancata sottoscrizione del ricorso stesso da parte di avvocato patrocinante in Cassazione.
Si deduce che il ricorso è stato sottoscritto con firma digitale unicamente dall’avv. Mandrone, che però non è iscritto all’albo degli avvocati cassazionisti.
Inoltre, si eccepisce che il ricorso sarebbe anche inammissibile per la mancanza di una valida procura, atteso che l’autentica della firma del ricorrente è stata effettuata dal solo avv. Mandrone.
Rileva la Corte che, come si ricava dalla visione del ricorso versato in atti, lo stesso reca in calce la sottoscrizione sia del citato avv. Mandrone che dell’avv. Marco Battaglia, che invece risulta iscritto nell’apposito albo.
In relazione a tale ricorso risulta poi prodotta attestazione di conformità, afferente anche alla sottoscrizione digitale dell’atto, che deve reputarsi estesa anche alla circostanza che la firma digitale sia stata apposta anche dall’avv. Battaglia.
Una volta quindi opinato nel senso che il ricorso è stato sottoscritto sia dall’avvocato cassazionista che da quello non iscritto all’albo, quanto alla autentica della firma in calce alla procura, deve richiamarsi il principio affermato da questa Corte secondo cui (Cass. n. 25385/2018) la certificazione dell’autografia della sottoscrizione della parte, apposta sulla procura speciale “ad litem” rilasciata in calce o a margine del ricorso (o del controricorso) per cassazione da parte di avvocato che non sia ammesso al patrocinio innanzi alla S.C. costituisce una mera irregolarità, che non comporta la nullità della procura, allorchè l’atto sia stato firmato anche da altro avvocato iscritto nell’albo speciale e indicato come codifensore (conf. Cass. n. 15718/2006).
Il motivo di ricorso lamenta la nullità della sentenza del Tribunale con la conseguente impugnazione del capo dell’ordinanza della Corte d’Appello ex art. 348 ter c.p.c..
Si assume che con l’atto di appello si era dedotta la nullità della sentenza del Tribunale che aveva semplicemente approvato il progetto di divisione, così come riportato in una precedente ordinanza del G.I., pur avendo fatto ricorso alla decisione della divisione in maniera contenziosa, senza però procedere alla attribuzione dei beni ai comunisti.
Il progetto di divisione doveva ormai ritenersi revocato, essendo esclusa la possibilità che la sentenza si limitasse a dichiararlo esecutivo.
Ancora si assume che tutte le altre contestazioni al progetto di divisione dovevano essere trattate con la sentenza che però in concreto nulla dispone sul punto, essendosi limitata a rispondere alle contestazioni al progetto di divisione.
Posta tale premessa il ricorrente trae la conclusione che le censure de quibus vadano indirizzate necessariamente nei confronti dell’ordinanza della Corte d’Appello e ciò perchè la stessa Corte è stata specificamente investita della “domanda di nullità della sentenza emessa dal Tribunale di Torino – ” evidentemente” non proposta avanti al giudice di prime cure…” (pag. 9).
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, avendo la parte specificamente impugnato la sola ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., al di fuori dei casi in cui, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, ne è ammessa la ricorribilità.
Le Sezioni Unite, chiamate e comporre il contrasto che si era manifestato all’interno della Corte in ordine all’individuazione di uno spazio per l’ammissibilità del ricorso nei confronti della stessa ordinanza di cui all’art. 348 ter c.p.c., nonostante la lettera della legge consenta in caso di sua emissione il ricorso avverso la sentenza di primo grado, hanno affermato che (Cass. S.U. n. 1914/2016) la decisione che pronunci l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali, ancorchè adottata con ordinanza richiamante l’art. 348 ter c.p.c. ed eventualmente nel rispetto della relativa procedura, è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione, trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale che, come tale, non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame, differendo, così, dalle ipotesi in cui tale giudizio prognostico venga espresso, anche se, eventualmente, fuori dei casi normativamente previsti, e che del pari l’ordinanza in oggetto è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2, ed all’art. 348 ter c.p.c., comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso.
Posti tali principi, ai quali il Collegio intende assicurare continuità, risulta evidente che nella fattispecie dedotta in giudizio non vi sia spazio per l’autonoma ricorribilità dell’ordinanza della Corte d’Appello.
L’impugnazione proposta dal ricorrente avverso la sentenza del Tribunale mirava ad evidenziare dei pretesi errores in procedendo commessi dal giudice di prime cure che, a suo dire, anzichè compiere un’autonoma assegnazione dei beni in comune ai condividenti, aveva fatto proprio un progetto di divisione in precedenza predisposto dal giudice e da intendersi ormai revocato, assumendosi che in tal modo sarebbe stata violata la prescrizione di cui all’art. 789 c.p.c..
Inoltre, il Tribunale avrebbe dovuto decidere le varie domande correlate alla divisione proposte dalle parti e non anche trattarle alla stregua di semplici contestazioni ad un progetto di divisione peraltro non più attuale.
E’ evidente che l’impugnazione dell’ordinanza di inammissibilità della Corte d’Appello sia avvenuta al di fuori dei casi in cui, alla luce del citato precedente delle Sezioni Unite, è ammessa.
In primo luogo, all’ordinanza non risulta essere mosso un addebito concernente vizi suoi propri, per essere stata adottata al di fuori dei casi previsti dalla legge nè tanto meno il suo contenuto denota che sia stata adottata per ragioni diverse da quelle correlate alla valutazione prognostica negativa circa la probabilità di accoglimento dell’appello.
Con lo stesso atto di appello il ricorrente muoveva alla sentenza di primo grado una critica in merito alla correttezza del suo contenuto, assumendo che sarebbe risultato carente, poichè strutturato sulla falsariga della previsione di cui all’art. 789 c.p.c., sebbene non si fosse potuti addivenire all’approvazione del progetto con ordinanza, stante la presenza di contestazioni al progetto.
Orbene, ribadito che non può ritenersi abnorme il contenuto di una sentenza di divisione che faccia proprio, anche con un rinvio per relationem, un precedente progetto, predisposto dal CTU o dallo stesso giudice, e per il quale non sia stato possibile adottare l’ordinanza di cui all’art. 789 c.p.c., risultando anzi proprio diretta conseguenza della decisione in forma contenziosa il fatto che la sentenza che approva il progetto di divisone debba farsi carico di risolvere le contestazioni sollevate al progetto, ancorchè in senso negativo, come appunto avvenuto nella fattispecie, quella che il ricorrente identifica come una domanda nuova di nullità (pag. 9 del ricorso) altro non è che la denuncia di errori, in questo caso di rito, commessi dal giudice di prime cure, e che andavano quindi devoluti al giudice di appello.
Questi, nel rilevare l’assenza di una ragionevole probabilità di accoglimento (la quale non attiene solo alla valutazione di fondatezza delle doglianze che investono le domande di merito proposte in primo grado, ma anche delle censure alla correttezza in rito della pronuncia di primo grado), ha quindi assunto una decisione che rientra tra quelle correttamente riconducibili alla previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., e che imponeva quindi di dover impugnare in questa sede la stessa sentenza del Tribunale, al fine di riproporre a questa Corte, nei limiti dei motivi di appello già proposti, le censure che il giudice di appello aveva ritenuto non avessero ragionevole probabilità di accoglimento.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo con attribuzione all’avv. Fancesco Carli Ballola, dichiaratosene anticipatario.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge, con attribuzione all’avvocato Francesco Carli Ballola;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021