Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.512 del 14/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28553-2018 proposto da:

O.F., O.A., C.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BALDO DEGLI UBALDI, 66, presso lo studio dell’avvocato SIMONA RINALDI GALLICANI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIANFRANCO MOBILIO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

CA.GU., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 53/D, presso lo studio dell’avvocato FILOMENA DI SIENA, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO GRIMALDI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonchè:

P.F., F.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 72/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 16/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalle parti.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Ca.Gu., deducendo di essere divenuto proprietario, per effetto di donazione paterna del *****, di un fondo sito nel Comune di *****, in catasto al foglio *****, part. *****, con atto di citazione del ***** conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore i proprietari dei fondi confinanti, F.A. e F.P., nonchè O.F. ed O.A. e C.A., per sentire accertare la proprietà esclusiva del lastrico ubicato sul detto fondo, e soprastante alcuni locali box interrati, lastrico abusivamente utilizzato dai convenuti per il transito nonchè come corte pertinenziale ai loro fabbricati.

Si costituivano O.F., O.A. e C.A., i quali in via riconvenzionale chiedevano dichiararsi l’avvenuta usucapione della porzione di terreno oggetto di causa, in quanto risalendo l’ultimazione del loro fabbricato al 1976, sin da tale data, e senza opposizione del dante causa dell’attore, avevano occupato anche con una scala in muratura la particella oggetto di causa.

SI costituivano anche P.F. ed F.A. che dichiaravano di non avere mai utilizzato il bene. All’esito dell’istruttoria, il Tribunale adito con la sentenza n. 1102 del 24 agosto 2009 ha condannato C.A., O.F. ed O.A. al rilasciare il fondo oggetto di causa nonchè a rimuovere il cancello di ferro installato all’ingresso del fondo, ed al risarcimento dei danni per l’occupazione illegittima, quantificati nella somma di Euro 16.080,00 ed al pagamento della somma di Euro 2.100,00 quale controvalore di una porzione del terreno illegittimamente occupata.

Infine, rigettava la domanda proposta nei confronti delle altre convenute.

A seguito di appello di O.F. e C.A., nonchè di appello incidentale di O.A., di Ca.Gu. e di F.A. e P.F., la Corte d’Appello di Salerno, con la sentenza n. 72 del 16/1/2018, ha accolto parzialmente l’appello principale, rigettando la domanda di risarcimento del danno per l’appropriazione di una porzione del fondo nonchè quella di riduzione in pristino (ad eccezione della sola condanna alla rimozione del cancello in ferro); compensava per un quarto le spese tra il Ca., da un lato, ed il C. e gli O., dall’altro, condannando i secondi al rimborso per il doppio grado delle spese di lite per la quota dei tre quarti; accoglieva l’appello della P. e dell’ A., condannando l’attore al rimborso in loro favore delle spese del doppio grado.

La Corte distrettuale, dopo avere reputato corretta la qualificazione della domanda quale azione di rivendica (osservando che peraltro l’esito della lite non sarebbe stato diverso anche accedendo alla diversa tesi che fosse stata proposta un’azione di restituzione personale, non avendo i convenuti dimostrato l’esistenza di un titolo in loro favore che ne legittimasse il godimento del bene), passava ad esaminare la domanda riconvenzionale di usucapione che però reputava infondata.

Infatti, poichè i primi atti interruttivi del possesso risalivano al 5 febbraio 1998 ed al 21 marzo 1998, era onere degli appellanti principali dimostrare che il loro possesso risaliva quanto meno al gennaio 1978, laddove l’esame del materiale istruttorio, ed in particolare delle deposizioni testimoniali, non permetteva di accertare con precisione a quando risalisse l’inizio del possesso.

Anche i documenti non fornivano ausilio alla tesi degli appellanti, in quanto anche il documento comprovante l’ultimazione del fabbricato (recante la data del 4 aprile 1978) era successivo alla data del marzo 1978, e quindi non assicurava la maturazione del termine ventennale di usucapione.

Quanto alla domanda risarcitoria legata all’illegittima occupazione del fondo, i giudici di appello ritenevano corretta la quantificazione operata dal Tribunale che aveva fatto proprie le considerazioni espresse dal CTU, che aveva riscontrato come il fondo ben potesse essere utilizzato per la sosta a pagamento di veicoli.

Era invece fondato l’appello principale quanto alla condanna alla riduzione in pristino ed al risarcimento del danno per l’appropriazione di una parte del fondo, atteso che tali domande erano state tardivamente avanzate dall’attore solo nella memoria ex art. 183 c.p.c..

Infine, quanto all’appello incidentale proposto dalla P. e dall’ A., la Corte di merito osservava che, essendo stato accertato che le medesime non avevano mai occupato l’area rivendicata dall’attore, al rigetto della domanda doveva conseguire la condanna in loro favore al rimborso delle spese di lite da parte dell’attore.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso O.A., O.F. e C.A. sulla base di cinque motivi.

Ca.Gu. resiste con controricorso.

P.F. ed F.A. non hanno svolto difese in questa fase.

Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per essere stato tardivamente proposto.

Assume il Ca. che la sentenza impugnata è stata notificata in data 27 giugno 2018, così che, avuto anche riguardo al periodo di sospensione feriale, il termine breve per proporre ricorso veniva a scadere in data 26/9/2018, laddove invece il ricorso è stato notificato in data 27/9/2018.

La deduzione è però priva di fondamento, occorrendo rilevare che la richiesta di notifica è stata avanzata, come da attestazione dell’ufficio Unep del Tribunale di Nocera Inferiore, in data 26/9/2018, sicchè, tenuto conto del principio della scissione degli effetti della notifica, i ricorrenti hanno impedito la decadenza con tale richiesta, a nulla rilevando la successiva data di perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario.

Del pari priva di fondamento è l’eccezione di inammissibilità ex art. 348 ter c.p.c., quanto ai motivi con i quali si denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che la norma de qua risulta applicabile alle sole sentenze emesse all’esito di giudizi di appello introdotti in data successiva al 12 settembre 2012, come chiaramente dettato dalla norma di diritto intertemporale di cui alla L. n. 134 del 2012, art. 54, comma 2.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1165 c.c. in relazione all’art. 2943 c.c. in quanto la Corte d’Appello ha ritenuto che l’attore avesse utilmente interrotto il tempo utile ad usucapire con l’invio di due missive inoltrate separatamente ai coniugi C.A. ed O.F., in data *****, ed ad O.A., in data 21/3/1998, trascurando la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui le diffide o la messa in mora non costituiscono atti idonei ad interrompere il termine per usucapire, attesa anche la tassatività dei modi attraverso i quali è dato al proprietario produrre l’effetto interruttivo.

Il motivo è fondato.

Costituisce principio costantemente ribadito da questa Corte quello secondo cui (cfr. da ultimo Cass. n. 6029/2019) in tema di possesso “ad usucapionem”, con il rinvio fatto dall’art. 1165 c.c. all’art. 2943 c.c. la legge elenca tassativamente gli atti interruttivi, sicchè non è consentito attribuire tale efficacia ad atti diversi da quelli stabiliti dalla norma, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto, giacchè la tipicità dei modi di interruzione della prescrizione non ammette equipollenti.

Si è pertanto escluso che (cfr. Cass. n. 2752/2018) nel giudizio promosso dal possessore nei confronti del proprietario per far accertare l’intervenuto acquisto della proprietà per usucapione, l’atto di disposizione del diritto dominicale da parte del proprietario in favore di terzi, anche se conosciuto dal possessore, possa esercitare alcuna incidenza sulla situazione di fatto utile ai fini dell’usucapione, rappresentando, rispetto al possessore, “res inter alios acta”, ininfluente sulla prosecuzione dell’esercizio della signoria di fatto sul bene, non impedito materialmente, nè contestato in modo idoneo, così come del pari si è affermato che (Cass. n. 11698/2017) la querela per arbitraria occupazione di una porzione di terreno non comporta la perdita materiale, in capo al querelato, del potere di fatto sulla cosa e, conseguentemente, non costituisce idoneo atto interruttivo del possesso “ad usucapionem”.

Con specifico riferimento alle diffide ed agli atti di messa in mora, è stato poi ribadito che (cfr. Cass. n. 15927/2016) tali atti, come, nella specie, la richiesta per iscritto di rilascio dell’immobile occupato, sono idonei ad interrompere la prescrizione dei diritti di obbligazione, ma non anche il termine per usucapire, potendosi esercitare il possesso anche in aperto e dichiarato contrasto con la volontà del titolare del diritto reale (conf. Cass. n. 15199/2011; Cass. n. 9845/2003; Cass. n. 14917/2001).

Alla luce di tali principi che appaiono del tutto consolidati e tali da costituire espressione del cd. diritto vivente, la soluzione alla quale è pervenuto il giudice di merito risulta evidentemente erronea, in quanto ha attribuito efficacia interruttiva ad atti per i quali risulta negata l’idoneità a produrla, imponendosi pertanto la cassazione della sentenza gravata in relazione a tale motivo.

Il secondo motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in relazione al mancato accoglimento della domanda riconvenzionale di usucapione.

Si assume che, stante la difficoltà di accertare sulla base delle pratiche edilizie la data di costruzione dei fabbricati oggetto di causa, la Corte di appello ha valorizzato le deposizioni di alcuni testi, senza un’adeguata considerazione del tenore delle stesse.

Inoltre, la riprova che le opere fossero state ultimate al mese di aprile 1978 emerge da vari documenti prodotti dai ricorrenti, che attestano la realizzazione del fabbricato dei convenuti già in data 4/4/1978 nonchè che già nell’anno 1977 era stato assicurato l’allaccio dell’acqua potabile, e che sempre nel 1977 O.F. aveva mutato la propria residenza anagrafica sul luogo oggetto di causa.

Il terzo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 115 e 132 c.p.c., n. 4, quanto all’assoluta incoerenza della motivazione del giudice di appello che, oltre ad avere omesso la disamina dei documenti di cui al motivo che precede, ha fornito un’erronea valutazione delle deposizioni testimoniali, rendendo quindi una motivazione soltanto apparente, in quanto intrinsecamente contraddittoria. I motivi, sono assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo motivo, in quanto la valutazione delle risultanze istruttorie è avvenuta partendo dall’erroneo presupposto che vi fosse stata un’interruzione della prescrizione anteriore alla notifica della citazione e che quindi occorreva verificare se vi fosse stato un possesso utile ad usucapire anteriore al febbraio o al marzo del 1978.

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., attesa l’illegittimità del ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio per pervenire alla prova del danno lamentato dall’attore, quanto all’illegittima occupazione della particella di sua proprietà.

Anche tale motivo risulta evidentemente assorbito per effetto dell’accoglimento del primo motivo.

Il quinto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione delle regole in materia di proprietà in relazione all’art. 1126 c.c., laddove la Corte d’Appello ha inteso la domanda riconvenzionale dei ricorrenti come volta al riconoscimento della comproprietà della particella oggetto di causa e non anche della proprietà esclusiva.

Il motivo è evidentemente inammissibile, in quanto come riconosciuto dagli stessi ricorrenti è formulato in maniera subordinata alla riconosciuta sussistenza della maturazione dell’usucapione.

E’ pur vero che la sentenza gravata ha, nella premessa della disamina dei motivi di appello che investivano il rigetto della domanda di usucapione, ritenuto che la stessa era volta ad ottenere il riconoscimento della comproprietà del bene, ma l’intervenuto rigetto della stessa domanda di usucapione, per carenza di prova, rende tale affermazione del tutto ipotetica, essendo invece compito del giudice di rinvio, alla luce dell’accoglimento del primo motivo, verificare se ed in quali termini sia stato esercitato il possesso da parte degli odierni ricorrenti, riscontrando altresì, ove perdurato per il tempo utile ad usucapire, se abbia determinato l’acquisto della proprietà esclusiva ovvero della comproprietà.

La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo, terzo e quarto motivo e dichiarato inammissibile il quinto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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