Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.513 del 14/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29013-2018 proposto da:

D.S.L., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, quale difensore di se stesso;

– ricorrente –

contro

S.C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VAL DI LANZO 79, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE IACONO QUARANTINO, rappresentata e difesa dall’avvocato LIBORIO DI SALVO giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

E contro

G.F.L., C.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1594/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza del 28 aprile 2015, decidendo sull’appello proposto da D.S.L. nonchè sull’appello incidentale proposto invece da S.C.A., G.F.L. e C.G. avverso la sentenza del Tribunale di Termini Imerese del 30 novembre 2010, in parziale riforma della stessa, condannava S.C.A. al pagamento in favore del G. e della C., nonchè di D.S.L. della somma di Euro 10.692,00 (riducendo in tal modo l’importo della condanna emessa dal Tribunale).

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per revocazione D.S.L. lamentando l’errore di fatto nel quale era incorsa la Corte d’Appello, laddove non gli aveva attribuito la quota dei frutti prodotti dai fondi rustici, così come quantificati da parte dei consulenti nominati in corso di causa, errore consistito nell’avere affermato che non fosse controverso il comune possesso dei fondi in esame.

Assumeva che in nessun atto del processo è riportato che C.G., dante causa del D.S., abbia mai avuto il possesso nè comune, nè esclusivo di alcun fondo rustico caduto in successione, tanto che aveva sollecitato in entrambi i gradi che fosse richiesto all’AGEA per le annate dal 1948 al 2008, di comunicare gli importi ed i nominativi dei soggetti ai quali erano stati versati gli aiuti comunitari alla conduzione dei fondi caduti nella successione C..

Inoltre, C.A. aveva esibito documentazione a supporto della richiesta di rimborso delle spese dalla medesima sostenute per i fondi rustici, senza che analogo conto di cogestione fosse mai stato presentato dagli altri coeredi.

Nella resistenza di C.S.A., la Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 1594 del 30/7/2018, ha rigettato la revocazione, condannando il D.S. anche al rimborso delle spese di lite.

La Corte distrettuale, dopo avere richiamato la nozione di errore di fatto revocatorio, consistente nella falsa percezione della realtà, risoltasi in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, che dagli atti e dai documenti di causa risulti incontestabilmente escluso, ovvero che abbia portato a negare l’esistenza di un fatto che, sempre dagli atti di causa, risulti positivamente accertato, ribadiva che però la norma di cui al n. 4 dell’art. 395 c.p.c. presuppone che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia impugnata abbia statuito.

Nella fattispecie, l’esibizione solo da parte di C.A. della documentazione a supporto delle spese sostenute per i fondi rustici non costituiva un fatto decisivo ai fini della prova del possesso esclusivo dei beni in capo alla stessa, non potendosi affermare che esista un nesso di conseguenzialità necessaria tra il compimento di spese per i beni comuni ed il godimento esclusivo dei beni stessi da parte di chi le abbia sopportate.

Inoltre, proprio il tema del possesso esclusivo dei beni, in vista della domanda di rendiconto, aveva costituito oggetto di contrasto tra le parti, come confermato dallo stesso atteggiamento del D.S. che, al fine di provare il proprio assunto, aveva richiesto informazioni all’AIMA ed all’AGEA. Trattandosi di punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, doveva escludersi la deducibilità della revocazione nei termini dedotti dal D.S..

L’affermazione, infatti, dei giudici di appello che il compossesso dei beni non era controverso non rappresentava un errore percettivo, ma al più un errore di giudizio, che al più avrebbe potuto legittimare la deduzione in sede di ricorso per cassazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione D.S.L. sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso S.Cirrito A..

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Il ricorrente ha depositato memorie in prossimità dell’udienza. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in relazione agli artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Si deduce che in realtà in nessuno degli atti di causa risulta mai riportato che la dante causa del ricorrente abbia avuto il possesso dei beni oggetto di causa, che sono invece stati sempre goduti da parte della dante causa di S.C.A..

I consulenti tecnici d’ufficio hanno provveduto al calcolo dei frutti prodotti dai fondi sul presupposto del godimento esclusivo delle controparti, ma sulla base di valutazioni minimali, che il ricorrente intendeva contestare avvalendosi proprio delle informazioni da richiedere all’AIGA ed all’AIMA. Il secondo motivo di ricorso denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso decisivo della natura revocatoria dell’errore denunciato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte d’Appello nella sentenza impugnata per revocazione aveva erroneamente affermato che il comune possesso non fosse controverso e ciò denota la contraddizione logica della sentenza oggi impugnata, che tace del tutto circa le rilevanti somme incassate per effetto della gestione esclusiva dei beni ad opera delle controparti.

I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili.

In disparte l’evidente inammissibilità del secondo motivo, nella parte in cui denuncia il vizio della motivazione della decisione gravata richiamando la formula non più applicabile ratione temporis dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vertendosi in materia di ricorso per cassazione avverso decisione pronunciata in data successiva al 12 settembre 2012, le doglianze del ricorrente non si confrontano affatto con il reale contenuto della decisione impugnata.

I giudici della revocazione hanno correttamente evidenziato che, proprio alla luce della nozione di errore revocatorio delineata dal legislatore, quello denunciato da parte del ricorrente era in realtà al più un errore di giudizio, rappresentato dalla non corretta valutazione delle emergenze istruttorie, che lo avevano portato ad affermare come non controverso il fatto che i beni, di cui si richiedeva la quota parte di frutti, fossero in realtà oggetto di compossesso.

Anche a voler superare il rilievo secondo cui la parte che intenda contrastare la correttezza circa l’affermazione della natura non contestata di un determinato fatto, così come affermata dal giudice di merito, è tenuto a denunciare la violazione dell’art. 115 c.p.c., l’esame complessivo delle censure mosse rivela in maniera evidente come la critica mossa alla sentenza impugnata ed ancor prima alla sentenza di cui si è chiesta la revocazione, attenga alla non condivisa valutazione degli elementi probatori, contestandosi l’apprezzamento fatto dai giudice di merito circa l’avvenuta presentazione da parte della sola controricorrente del rendiconto delle spese sostenute per i fondi rustici e ciò sul presupposto, chiaramente frutto di una diversa valutazione della rilevanza probatoria della condotta della controparte, che la stessa presentazione di tale prospetto implicasse il riconoscimento del godimento esclusivo dei beni produttori dei frutti.

Ma ancor più risolutivo, al fine di denotare l’inammissibilità del ricorso, è il rilievo mosso dalla Corte distrettuale per cui il fatto su cui si fonderebbe la richiesta di revocazione, e cioè il compossesso anche da parte del ricorrente e della sua dante causa dei fondi de quibus, ha costituito specifico oggetto del contendere, essendo proprio il punto controverso sul quale la prima sentenza della Corte d’Appello era chiamata a pronunciarsi, e sul quale ha avuto modo di esprimersi.

Ne consegue che l’erronea valutazione resa in tale occasione non poteva essere contestata con il mezzo della revocazione, ma andava denunciata con il diverso rimedio del ricorso per cassazione, nei limiti in cui oggi il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consente al giudice di legittimità di verificare la correttezza della ricostruzione dei fatti di causa (sub specie quindi di omessa disamina di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti).

Le spese seguono la soccombenza nei confronti della controricorrente e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a provvedere sulle spese nei confronti degli intimati atteso il mancato svolgimento di attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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