Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.52 del 07/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Antonietta Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6120/2019 R.G. proposto da:

CE.DI.SA. S.r.l., rappresentato e difeso dall’Avv. Maria Teresa Saporito, con domicilio eletto in Roma, Piazza San Bernardo, n. 101, presso lo studio dell’Avv. Annunziata Abbinente;

– ricorrente –

contro

Gestione Liquidatoria ex Usl n. ***** di *****, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Emma Tortora, Rosa Russo e Guido Verderosa;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno, n. 42/2008, depositata l’11 gennaio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 novembre 2020 dal Consigliere Emilio Iannello.

RILEVATO IN FATTO

1. Confermando la decisione di primo grado che aveva revocato il decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di corrispettivi per prestazioni specialistiche erogate da CEDISA s.p.a. a favore degli assistiti del Servizio Sanitario Nazionale in regime di convenzionamento esterno, la Corte d’appello di Salerno ha rigettato l’appello proposto da CEDISA s.p.a., rilevando che, a fronte delle contestazioni dell’opposta (Gestione Liquidatoria ex Usl n. ***** di *****), in ordine alla sussistenza ed all’entità della pretesa azionata, la società non aveva fornito prova del credito, essendosi limitata a depositare nella fase monitoria “estratti autentici, distinte riepilogative, fatture” – documenti, peraltro, ha precisato, nemmeno rinvenuti in atti – “mentre nulla risulta documentato con la costituzione nel giudizio di opposizione”.

Ha soggiunto la Corte territoriale che, nella specie, la circostanza che le “notule” delle singole prestazioni erogate fossero state trasmesse alla Usi, non determinava alcuna modifica dell’onus probandi, atteso che era da imputarsi a responsabilità della stessa società la mancata predisposizione dei necessari documenti da fornire a prova del credito, nè poteva supplirsi a tale carenza mediante emissione di ordine di esibizione, trattandosi di documentazione proveniente dalla stessa parte creditrice.

2. Avverso tale sentenza CE.DI.SA. S.r.l. propone ricorso per cassazione con unico mezzo, cui resiste l’intimata, depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo la società ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione della regola del riparto probatorio e del principio di non contestazione (art. 167 c.p.c., comma 1, e art. 416 c.p.c., comma 3, e art. 2697 c.c.).

Sostiene, in sintesi, di avere adempiuto all’onere della prova dei fatti costitutivi della pretesa, in quanto le prestazioni eseguite -documentate nelle fatture, nel libro giornale e nelle distinte riepilogative depositate con il ricorso ex art. 633 c.p.c. – non erano state contestate dalla Usl nella loro materiale esecuzione, essendosi questa limitata ad opporsi alla pretesa solo in relazione ai criteri di tariffazione applicata nella liquidazione del quantum e che l’eventuale irregolarità delle fatture medesime avrebbe dovuto essere dimostrata dall’amministrazione opponente.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. Risulta anzitutto inosservato il requisito – richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6 – di specifica indicazione degli atti posti a fondamento del ricorso.

La ricorrente si limita invero a richiamare, peraltro genericamente, “fatture”, “distinte riepilogative”, “estratti autentici dei libri contabili”, senza debitamente riprodurne il contenuto nel ricorso – per la parte che interessa in questa sede – ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale risultino prodotti, laddove è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16/03/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937; ma v. già, con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, Cass. 25/05/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. Sez. U 19/04/2016, n. 7701).

Omissione tanto più rilevante nella specie a fronte dell’espresso, ancorchè incidentale, rilievo svolto in sentenza, secondo cui tale documentazione era stata prodotta in allegato al ricorso per decreto ingiuntivo ma non era stata poi riversata nel giudizio di opposizione e nemmeno, comunque, era rinvenibile in atti.

2.2. Tale ultimo rilievo si rivela peraltro dirimente sotto diverso e assorbente profilo.

Esso rende, infatti, inammissibili le censure nella misura in cui le stesse muovono dalla premessa (v. ricorso, pag. 9, secondo cpv.) che l’effettiva esecuzione delle prestazioni per le quali è chiesto il pagamento fossero dimostrate dalle dette fatture, distinte ed estratti.

Tale premessa, invero, postula un fatto processuale (l’acquisizione al giudizio di detta documentazione) che è espressamente negato in sentenza, alla stregua di rilievo che, lungi dal potersi obliterare con la mera affermazione contraria, avrebbe semmai richiesto la proposizione di ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4.

2.3. Può comunque rilevarsi anche l’infondatezza delle censure.

2.3.1. Quanto alla dedotta violazione del principio di non contestazione occorre rilevare che la sentenza muove espressamente dal rilievo secondo cui l’opponente aveva contestato il credito azionato non solo nel quantum ma anche nell’an. L’opposta asserzione della ricorrente, secondo cui invece le contestazioni si muovevano esclusivamente sul piano della quantificazione del credito, appaiono smentite dalle stesse indicazioni offerte in ricorso circa le ragioni poste a fondamento dell’opposizione.

Non può infatti dubitarsi che queste, riguardando anche l’esistenza delle condizioni richieste per il riconoscimento del credito (tra le quali l’esistenza dell’autorizzazione del medico responsabile della struttura pubblica; la tempestività della prestazione rispetto a detta autorizzazione; la riconducibilità delle prestazioni alla convenzione), investissero anche l’esistenza stessa del credito, e non fossero dunque, diversamente dal caso esaminato da Cass. n. 8341 del 2017, esclusivamente incentrate sui criteri di determinazione del corrispettivo.

2.3.2. Rimane con ciò stesso confutata la doglianza riferita al criterio del riparto dell’onere probatorio – in disparte l’erroneo ma comunque ininfluente riconduzione in rubrica dell’ipotizzato vizio ad error in procedendo, anzichè ad error in iudicando (v. Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931) – essendo innegabile che, trattandosi di fatto costitutivo del credito, questo incombesse sulla pretesa creditrice.

Tanto meno la violazione dell’art. 2697 c.c. potrebbe essere integrata dalla mancata adeguata considerazione del fatto che le impegnative fossero ormai materialmente nella disponibilità non della società opposta ma dell’amministrazione opponente.

Sul punto la Corte di merito fornisce una motivazione che, correttamente, lungi dal muoversi sul piano dei criteri di riparto dell’onere probatorio, rimane su quello, prettamente processuale, della sussistenza (negata dai giudici a quibus) dei presupposti per l’emissione di ordine di esibizione (v. sentenza impugnata, penultima pagg., secondo cpv.).

Tale valutazione non risulta specificamente censurata.

Appare pertanto appena il caso di rimarcare che, comunque, come chiarito da questa Corte, la valutazione concernente la ricorrenza dei presupposti dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. è rimessa al giudice di merito e il mancato esercizio da parte di costui del relativo potere discrezionale non è sindacabile in sede di legittimità (v. Cass. 07/07/2011, n. 14968; 24/04/2004, n. 7855; 19/09/2002, n. 13721).

3. Il ricorso deve essere dunque dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 14.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021

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