Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.528 del 14/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 934/2014 R.G. proposto da:

Neo Fin s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Domenico Trobia, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Florangela Marano, in Roma, Piazzale Clodio n. 61, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici domicilia in Roma, Via dei Portoghesi n. 12.

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, n. 593/40/2012 depositata il 13 novembre 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3 novembre 2020 dal Consigliere Luigi D’Orazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Roberto Mucci, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo motivo e la dichiarazione di inammissibilità del secondo motivo e l’avv. Cherubini Mattia per l’Agenzia delle Entrate.

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, rigettava l’appello proposto dalla Neo Fin s.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Latina, che aveva accolto solo in parte (per i rilievi nn. *****, ***** e *****, in parte, dell’avviso, essendo non deducibili le spese riguardanti “sanzioni da condono”) il ricorso della contribuente presentato contro l’avviso di accertamento della Agenzia delle entrate nei suoi confronti, per l’anno 2003, per maggiore Irpeg (Euro 31.408,00), per maggiore Iva per Euro 90.297,00 e per maggiore Irap (Euro 4.325,00), rigettando per il resto. Il giudice di appello rilevava che la contribuente aveva sostenuto costi pari ad Euro 302.362,93 per acquisti dai fornitori della Vico del Cavallo s.r.l., alla quale aveva ceduto la gestione del complesso turistico ***** oltre al ristorante e che aveva “ribaltato” tali costi in capo alla Vico del Cavallo, per Euro 306.888,54, con una differenza di Euro 4.525,61. Inoltre, la contribuente non aveva provato che gli importi dedotti si riferivano agli oneri di urbanizzazione versati per la definizione degli illeciti amministrativi collegati al condono edilizio, non essendo, dunque, deducibili. Quanto alla dichiarazione del geom. Lucreziano attestante che le somme versate dalla società non erano riconducibili nè a sanzioni nè ad oblazioni per richiesta di condono edilizio, la ricorrente “non ne aveva comunque documentato e precisato la natura”.

2.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente.

3. L’Agenzia delle entrate si costituisce al solo fine della eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce “sulla presunta indeducibilità dei costi del condono edilizio 1.a. Violazione art. 360 c.p.c., n. 3) – Violazione e falsa applicazione art. 102 Tuir – Violazione e falsa applicazione art. 116 c.p.c. Violazione e falsa applicazione art. 2697 c.c.. lb.Violazione art. 350 5) Omessa-insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia”, in quanto il giudice di primo grado ha respinto le doglianze della contribuente in ordine al recupero a tassazione delle quote di ammortamento dei costi di condono edilizio ritenendo che la non deducibilità delle spese riguardava “sanzioni da condono edilizio”. Con l’appello la contribuente ha evidenziato che l’Ufficio aveva disconosciuto la contabilizzazione nella voce “immobilizzazioni” del costo relativo agli esborsi monetari sostenuti per la definizione degli illeciti edilizi, attesa la loro natura sanzionatoria, non riconoscendo dunque in deduzione a titolo di “costi non inerenti” gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria sostenuti dalla Neo Fin, dovuti al Comune per il rilascio delle relative concessioni in sanatoria. In particolare, erano state depositate nel corso dell’accertamento per adesione sia l’attestazione del pagamento degli oneri connessi alla concessione edilizia in sanatoria, sia la dichiarazione del Geom. L.S., il quale aveva attestato che le somme ivi elencate non erano riconducibili nè a sanzioni nè ad oblazioni per richiesta di condono edilizio. Nella verifica fiscale, dunque, non sono stati distinti gli oneri “eventualmente per sanzioni” dagli oneri di urbanizzazione. Il giudice di appello si è limitato ad affermare che la società non ha provato la natura di tali costi e quindi che essi riguardavano esclusivamente gli oneri di urbanizzazione e non anche le sanzioni estintive dell’abuso condonato. In realtà, la società aveva documentato che le somme versate erano relative proprio alle “pratiche di condono” nn. 1094/5 2196/S e 892/C, come da dichiarazione del geom. L.S.. Si trattava di oneri di urbanizzazione legittimamente deducibili ai sensi dell’art. 102 Tuir come immobilizzazioni, sicchè il giudice di appello ha erroneamente applicato l’art. 2697 c.c. sulla ripartizione dell’onere della prova. Essendo pacifico che le somme afferivano al condono edilizio, era onere dell’Amministrazione accertare se parte delle stesse avessero riguardato sanzioni. Inoltre, la Commissione regionale non ha tenuto conto della documentazione prodotta dalla società.

1.1. Il motivo è fondato.

Sussiste la violazione di legge, in quanto il giudice di appello ha erroneamente applicato la regola di riparto dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c..

Invero, per questa Corte le spese affrontate da una società per provvedere al condono edilizio di edifici di sua proprietà non possono essere qualificate come “costi sanzionatori”, in quanto alla loro formazione concorrono anche oneri che non possono definirsi tali, come gli “oneri di urbanizzazione” (Cass., sez. 5, 7 settembre 2007, n. 18860; Cass., sez. 5, n. 8135/2011; Cass., sez. 5, n. 10952/2005). E’, dunque, onere dell’Amministrazione dedurre se e sotto quali profili le somme spese per condono costituiscano una forma di oblazione di di sanzioni.

Peraltro, poichè la sentenza è stata depositata il 13 novembre 2012, trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione successiva al D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11 settembre 2012, sicchè il vizio di motivazione va enucleato come omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti.

Benchè la ricorrente abbia nella rubrica del motivo avanzato la censura alla motivazione della sentenza di appello, come “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”, tuttavia nel corpo del motivo è stato indicato il documento non preso in considerazione dalla Commissione regionale, costituito dalla dichiarazione del geom. L.S..

Tale documento è sicuramente decisivo, in quanto in tale dichiarazione si precisa che “sono state versate ai sensi della L. n. 10 del 1977 (oneri concessori), art. 3 e non sono riconducibili nè a sanzioni comunque emesse nè ad oblazione per richiesta di condono edilizio”.

Tuttavia, tale documento è stato preso in esame dal giudice di appello, ma con una motivazione del tutto illogica, che la spinge al di sotto del minimum costituzionale.

Il giudice del rinvio dovrà anche fare corretta applicazione della regola di riparto dell’onere della prova.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “sul recupero a tassazione dell’Iva per Euro 63.373,00. 2.a. Violazione art. 360 c.p.c., n. 3). Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26. 2.b. Violazione art. 350 5) Omessa-Insufficiente e Contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia”, in quanto il giudice di appello ha respinto il gravame della società limitandosi ad affermare che vi era una divergenza tra gli importi delle fatture emesse dai fornitori della Vico del Cavallo, affittuaria, nei confronti della contribuente pari ad Euro 302.362,93 e gli importi delle fatture emesse dalla società contribuente nei confronti della Vico del Cavallo s.r.l., per Euro 306.888,54, a titolo di “ribaltamento” dei costi.

Nell’atto di appello la contribuente aveva dedotto l’Ufficio aveva recuperato l’Iva per Euro 52.831,35 sull’importo imponibile di Euro 264.155.87 “non fatturato” pari al ribaltamento dei costi sostenuti per conto della Vico del Cavallo. L’Iva a debito però era stata calcolata nella misura fissa del 20 %, senza tenere conto che su alcuni beni doveva essere applicata l’Iva al 10% o al 4%, mentre alcuni beni erano esenti da Iva, sicchè l’Iva a debito era di Euro 42.417,35, con una differenza di Euro 10.414,00. Un primo errore atteneva, allora, al calcolo della maggiore imposta Iva. Inoltre, vi era stata la fatturazione dei costi “ribaltati” alla Vico del Cavallo, con le fatture nn. 3 e 4 del 31-5-2004 e del 31-7-2004. Vi è stata una motivazione carente, dunque, in ordine alle “circostanze oggetto delle doglianze”, non avendo tenuto conto, il giudice di appello, delle diverse aliquote Iva.

3.1.Tale motivo è inammissibile.

Infatti, tale motivo non coglie la ratio decidendi della motivazione del giudice di appello, che si limita ad accertare la differenza di importi tra le fatture emesse dai fornitori della Vico del Cavallo nei suoi confronti per Euro 302.362,93, e gli importi delle fatture emesse dalla contribuente nei confronti della Vico del Cavallo, affittuaria, a titolo di “ribaltamento” dei costi, per Euro 306.888,54, per una differenza di Euro 4.525,61.

Le censure sul motivo relativo alle diverse aliquote Iva che andavano applicate non colgono la parte centrale della motivazione.

Nella specie, peraltro la sentenza è stata depositata il 13-11-2012, con applicazione del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione successiva alle modifiche di cui al D.L. n. 82 del 2012, applicabile alla sentenze depositate a decorrere dall’11 settembre 2012, ma la ricorrente ha chiesto pronunciarsi la nullità della sentenza di appello anche per omessa motivazione, quindi al di sotto del minimum costituzionale. Tale doglianza è prospettabile anche con la nuova versione del vizio di motivazione.

La motivazione della sentenza però c’è, non solo graficamente, ma anche con una motivazione sufficiente che consente di comprendere i passaggi logici delle argomentazioni utilizzate.

4.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in ordine al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo; dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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