Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.533 del 14/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 28150-2013 R.G. proposto da:

V.N. rappresentato e difeso dall’avv. Gennaro Esposito con domicilio eletto in Roma Via Baldo degli Ubaldi n. 330 presso lo studio dell’avv. Maria Assunta Iasevoli;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliata in Roma via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale della Campania n. 264/ 32/13 depositata il 4/07/2013;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16.07.2020 dal Consigliere Dott. Pandolfi Catello.

RILEVATO

che:

V.N., esercente attività di commerciante al dettaglio di abbigliamento e biancheria in Castellammare di Stabia, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 264/32/13 depositata il 4.07.2013.

La vicenda trae origine dalla notifica al ricorrente dell’avviso di accertamento, basato sull’applicazione dello studio di settore pertinente al settore di attività, con il quale l’amministrazione finanziaria recuperava a tassazione maggiori imposte a titolo IRPEF, IVA, addizionali e sanzioni per l’anno 2004.

Il contribuente opponeva l’avviso e la CTP di Napoli accoglieva il ricorso. L’Ufficio appellava la decisione di primo grado e la CTR accoglieva il gravame, con la sentenza qui impugnata, con il ricorso in esame basato su di un unico motivo.

Si è costituita l’Agenzia con controricorso.

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo il ricorrente lamenta omesso e/o insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Al riguardo va rilevato come la rubrica del motivo di ricorso pone riferimenti normativi molteplici e indistinti. Tuttavia, dall’esplicitazione del motivo stesso, appare chiaro che la censura sia riconducibile alla ritenuta carenza di motivazione della sentenza impugnata, nel senso che il Giudice regionale avrebbe omesso di valutare “le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente nella necessaria fase del contraddittorio”.

Ora, dall’esame del controricorso all’appello dell’Ufficio, avverso la pronuncia di primo grado favorevole al contribuente, unito al ricorso in esame; si evince che il ricorrente si duole che la CTR non avrebbe esaminato la sua obiezione di fondo, secondo la quale l’avviso di accertamento era privo di adeguata motivazione “per la mancata allegazione sia dello studio di settore TMO5U (solo richiamato nell’atto) sia del prospetto di calcolo attraverso il quale si è determinato il maggior reddito”. Ed inoltre contestava che il Giudice regionale non avesse esaminato le sue deduzioni critiche sull’avviso di accertamento nella parte in cui i verificatori avevano ritenuto inattendibile la spiegazione fornita in merito alle “rimanenze”, presumendo l’Ufficio che la merce, indicata, appunto, come rimanenze dal contribuente, era stata, invece, venduta così producendo maggior reddito non dichiarato. Deduzioni difensive che la CTR aveva ignorato e che, se valutate, avrebbero, di certo, dato luogo ad una diversa decisione.

E’ evidente che siffatte doglianze non sono però riconducibili allo schema di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134. La modifica, infatti, applicabile al caso in esame ratione temporis considerata la data di deposito della sentenza impugnata (4 luglio 2013), consente solo di dolersi dell’omesso esame di un fatto inteso in senso storico/naturalistico, purchè di valenza indiziaria tale che, se valutato, avrebbe indotto il giudicante a pervenire, senz’altro, a diversa decisione (ex multis Cass. n. 24035 del 2018 e n. 21152 del 2014).

Nel caso di specie, invece, il ritenuto omesso esame, pur se effettivamente riscontrabile (e non lo è, come si dirà), non riguarderebbe “fatti” in senso storico, ma mere argomentazioni difensive. In ogni caso, al di là della qualificazione, si tratterrebbe di circostanze non “decisive”. Peraltro, gli aspetti su richiamati, contrariamente all’assunto, sono stati, anzi, esaminati dal Giudice d’appello, laddove ha ritenuto che la mancata allegazione all’avviso di accertamento degli atti indicati dalla parte, era irrilevante dal momento che essi le erano già ben noti, rendendone superflua l’allegazione all’avviso di accertamento. In particolare: lo studio di settore TMO5U era stato dalla stessa parte unito alla sua dichiarazione dei redditi e il prospetto del calcolo delle maggiori imposte era stato allegato dall’Ufficio all’invito al contraddittorio endoprocedimentale. Ed ha ritenuto, inoltre, la CTR, di convenire con la presunzione dell’Ufficio, che aveva escluso la presenza di “rimanenze”, sul presupposto che di essi non v’era traccia perchè in realtà profittevolmente venduti. Anche il giudice d’appello considerava non plausibile la spiegazione del V., secondo cui la merce invenduta sarebbe stata riposta, non nell’incapiente locale di deposito di soli 10 mq, preso in esame dai verificatori, ma nello stesso negozio di “rappresentanza”, sito nel centro cittadino, ove venivano proposti alla clientela i modelli della nuova stagione. Tesi che però implicava una antiestetica commistione tra merce ormai inattuale e nuovi capi, commercialmente poco credibile per l’impatto negativo sull’immagine dell’esercizio.

Quanto precede esclude, altresì, che l’accertamento fosse basato, come pure dedotto, esclusivamente sull’automatica applicazione dello studio di settore e sulla sola constatazione del mero scostamento tra la dichiarazione e gli standard di settore, ignorando l’Ufficio e il Giudicante, le ragioni esposte dal contribuente. Ragioni, invece, valutate, ma ritenute soccombenti rispetto a presunzioni di segno contrario.

Pertanto, il motivo di ricorso risulta anche infondato e, in sostanza, volto a introdurre, in sede di legittimità, una inammissibile rivalutazione delle risultanze processuali.

Alla inammissibilità del ricorso, segue la condanna del ricorrente alle spese. Sussistono, inoltre, i presupposti per il versamento del c.d. doppio contributo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità liquidate in Euro 5.600,00 oltre alla rifusione delle spese prenotate a debito.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello fissato per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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