LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10734/2014 R.G. proposto da:
Delmar Holding s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Germanico n. 197, presso lo studio degli avv.ti Mauro e Alberto Mezzetti, che la rappresentano e difendono giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 135/35/13, depositata il 22 ottobre 2013.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 settembre 2020 dal Consigliere Dott. Nonno Giacomo Maria.
RILEVATO
CHE:
1. con sentenza n. 135/35/13 del 22/10/2013, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 172/47/12 della Commissione tributaria provinciale di Milano (di seguito CTP), che aveva a sua volta accolto il ricorso proposto da PFM s.r.l., successivamente incorporata in Delmar Holding s.p.a. (di seguito DH), avverso un avviso di accertamento in materia di IVA relativa all’anno d’imposta 2004;
1.1. come si evince dalla sentenza della CTR, l’avviso di accertamento era stato emesso in ragione della detrazione IVA operata dalla società contribuente a seguito dello storno di alcune fatture concernenti un’operazione di costruzione e vendita di immobili non più realizzata;
1.2. in particolare: a) PFM s.r.l. prometteva di acquistare da Base Investimenti s.r.l. un terreno sul quale costruire alcuni appartamenti, nove dei quali venivano successivamente promessi in vendita a SEA s.r.l.; b) poichè la costruzione e vendita di tali appartamenti non veniva realizzata, PFM s.r.l. e Base Investimenti s.r.l. emettevano note di variazione con riferimento alla sola sorte capitale e non anche all’IVA, pari a Euro 150.000,00; c) tale importo veniva portato in detrazione da PFM s.r.l., detrazione ritenuta indebita da parte dell’Agenzia delle entrate;
1.3. su queste premesse, la CTR, ogni altra questione disattesa, motivava l’accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle entrate osservando che le operazioni poste in essere da PFM s.r.l. e Base Investimenti s.r.l. non erano regolari, in quanto: a) il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 6, comma 1, implicava “la fatturazione delle cessioni i cui effetti traslativi si verifichino posteriormente proprio al momento della stipulazione dei contratti definitivi del passaggio di proprietà”; b) rimaneva, pertanto, “oscuro il motivo di una fatturazione anticipata nel 2004 in presenza di contratti promissori che se da un lato hanno contenuto obbligatorio tuttavia non trasferiscono la proprietà dei fabbricati, peraltro mai costruiti, condizione su cui si basa il presupposto impositivo dell’IVA nel caso di cessioni di beni immobili”; c) non si comprendevano, inoltre, le ragioni per le quali non fosse stata stornata anche l’IVA;
2. DH, quale incorporante PFM s.r.l., impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.;
3. l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1. con il primo motivo di ricorso DH deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, evidenziando che tale ultima disposizione non consente lo storno dell’IVA decorso un anno dalla data di emissione della fattura;
2. con il secondo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa e carente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’emissione delle fatture e delle note di variazione, evidenziandosi che la CTR non avrebbe esaminato i fatti in relazione ai quali troverebbe giustificazione il comportamento posto in essere da PFM s.r.l. e Base Investimenti s.r.l.;
3. i motivi, che possono essere congiuntamente esaminati involgendo l’esame della medesima questione sotto profili diversi, vanno disattesi;
3.1. va prima di tutto evidenziato che la CTR non ha in alcun modo qualificato in termini elusivi il comportamento tenuto dalla società contribuente, sicchè non viene in questa sede in rilievo la disciplina del cd. abuso del diritto, come correttamente evidenziato da parte ricorrente;
3.2. peraltro, dalla ricostruzione in fatto evincibile dalla sentenza impugnata, è evidente che l’operazione oggetto del presente giudizio, seppure originariamente reale ed effettiva, non è stata portata a compimento ed è stata consensualmente annullata dalle parti, con redazione (tardiva, in quanto effettuata oltre l’anno) della nota di credito;
3.3. tale circostanza comporta, in termini generali, che non spetta il diritto di detrazione (cfr. Cass. n. 13091 del 30/06/2020): come recentemente ribadito dalla stessa Corte di giustizia, infatti, “L’art. 17, paragrafo 1, della sesta direttiva prevede che il diritto a detrazione nasce quando l’imposta detraibile diventa esigibile. Ciò avviene, in forza dell’art. 10, paragrafo 2, di tale direttiva, all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi. Ne consegue che, nel sistema dell’IVA, il diritto a detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi di cui trattasi. Viceversa, quando manca la realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi, non può sorgere alcun diritto a detrazione” (CGUE del 27/06/2018, nelle cause riunite C459/17, SGI, e C-460/17, Valeriane SNC, punti 34-36; CGUE del 04/07/2013, in causa C-572/11, Menidzherski biznes reshenia, punti 19 e ss.);
3.4. in termini del tutto coerenti, poi, si è espressa la Corte di cassazione, secondo la quale il destinatario della fattura non è legittimato a portare in detrazione l’IVA indebitamente fatturata, laddove non sussista – o non venga ripristinata con procedura di variazione o ancora non sia possibile ripristinare – la corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica, fatta salva in ogni caso la “buona fede” del destinatario in caso di frode (Cass. n. 10939 del 27/05/2015);
3.5. nel caso di specie, costituisce circostanza pacifica che il ricorso alla procedura di variazione sia stato attivato oltre l’anno e, essendo l’operazione annullata, il cessionario non ha diritto a procedere alla detrazione dell’IVA, potendo unicamente chiederne il rimborso alla cedente;
3.6. il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 3 (“Le disposizioni del comma precedente non possono essere applicate dopo il decorso di un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti (…)”) evidenzia chiaramente che, decorso l’anno, la procedura di variazione è tardiva, sicchè il cedente non può omettere il versamento dell’IVA, ma non legittima affatto la detrazione del tributo in capo al cessionario;
3.7. l’infondatezza della censura in diritto assorbe il secondo motivo di ricorso (peraltro, di per sè inammissibile, in ragione della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);
4. con il terzo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o la falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, evidenziandosi che la menzionata disposizione consentirebbe espressamente la fatturazione anticipata rispetto al contratto definitivo;
5. con il quarto motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame e carenza di motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e concernente il trattamento fiscale riservato a SEA s.r.l.;
6. le motivazioni che hanno condotto al rigetto del primo motivo di ricorso rendono del tutto superfluo l’esame dei superiori motivi, che restano, pertanto, assorbiti;
7. in conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo avuto conto di un valore della lite dichiarato di Euro 150.000,000;
7.1. poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 5.000,00, oltre alle spese di prenotazione a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo corrispondente al contributo unificato previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021