LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8405/2019 R.G. proposto da:
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Zanotti, con domicilio eletto in Roma, via Lucrezio Caro, n. 62, presso lo studio dell’Avv. Simona Ciccotti;
– ricorrente –
contro
Q.P., Q.A. e Q.F., rappresentati e difesi dall’Avv. Massimo Cenerini;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze, n. 2558/2008, depositata l’8 novembre 2018;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 novembre 2020 dal Consigliere Emilio Iannello.
RILEVATO IN FATTO
1. T.A.M. propose opposizione avverso il decreto n. 263 del 2008 con il quale il Tribunale di Livorno le aveva ingiunto il pagamento, in favore di MPS Gestione Crediti Banca S.p.A., della somma di Euro 102.529,35, in quanto fideiussore di Q.R., a sua volta fideiussore della Q. Costruzioni S.r.l..
Respinte alcune eccezioni preliminari, tra le quali quella di liberazione del fideiussore ex art. 1956 c.c., il Tribunale, alla luce delle conclusioni delle c.t.u., ridusse, in parziale accoglimento dell’opposizione, l’importo del credito azionato.
2. Pronunciando sui contrapposti gravami, la Corte d’appello di Firenze, in accoglimento di quello incidentale proposto dagli eredi della T., ha accolto integralmente l’opposizione, ritenendo fondata la menzionata eccezione, con assorbimento di ogni altra questione.
3. Avverso tale sentenza la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. propone ricorso per cassazione con due mezzi, cui resistono gli intimati, depositando controricorso.
4. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 1956 e 2697 c.c..
Deduce l’erroneità della valutazione operata dalla Corte di merito sulla questione predetta, sia perchè operata ex post sulla base di una relazione di c.t.u. espletata a lustri di distanza dal momento al quale avrebbe dovuto essere rapportata, sia perchè viziata dalla mancata considerazione dell’obbligo del fideiussore di non ingenerare l’affidamento del creditore.
Rimarca al riguardo che l’opponente: a) ai sensi dell’art. 5 della fideiussione, aveva espressamente assunto l’obbligo di “tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali del debitore e, in particolare, di informarsi presso lo stesso dello svolgimento dei suoi rapporti con l’azienda di credito”; b) non era una garante qualsiasi, bensì la madre di Q.R., a sua volta fideiussore nonchè legale rappresentante della società debitrice principale.
Rileva che, anzi, proprio il mancato recesso della T. aveva costituto uno dei più rilevanti elementi di valutazione della banca, nella concessione di ulteriore credito.
Deduce, quindi, che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto assolto l’onere gravante sull’opponente di dimostrare che la banca avesse fatto credito pur conoscendo l’aggravamento delle condizioni patrimoniali (e ciò sebbene il c.t.u. avesse evidenziato che non era in grado di valutare l’attendibilità delle voci di bilancio, per non avere i necessari strumenti di indagine, strumenti che, invece, la Corte ha implicitamente quanto infondatamente postulato essere in possesso di essa creditrice) e che altrettanto erroneamente non ha adeguatamente valorizzato, al contrario, la circostanza, pure acclarata dal c.t.u., che la situazione della debitrice principale era già fortemente compromessa nel momento in cui, negli anni 1998 e 2000, la garante aveva rilasciato le fideiussioni.
2. Con il secondo motivo la ricorrente muove le medesime doglianze, imputandole anche a vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
3. I motivi, congiuntamente esaminabili, sono inammissibili.
Lungi dal far emergere una erronea qualificazione giuridica della fattispecie, il primo di essi impinge esclusivamente nella ricognizione fattuale della stessa, in astratto sindacabile solo sul piano della motivazione, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La censura poi dedotta, con il secondo motivo, sotto tale profilo è parimenti inammissibile, muovendosi essa al di fuori del paradigma dettato dalla citata norma, come modificata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.
Nel nuovo regime, infatti, dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); tale fatto storico deve essere indicato dalla parte – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – insieme con il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendosi anche evidenziare la decisività del fatto stesso, rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. 22/09/2014, n. 19881).
Nel caso di specie tale specificazione manca, rivelandosi piuttosto la doglianza nel suo complesso diretta a sollecitare una mera nuova valutazione di merito dei medesimi argomenti ed elementi di fatto già dedotti nei giudizi di merito e compiutamente esaminati dai giudici a quibus.
Tanto deve in particolare affermarsi con riferimento a quella parte della censura diretta a contestare la valutazione espressa in sentenza circa la sussistenza, nella fattispecie, dei presupposti richiesti dall’art. 1956 c.c. perchè si produca l’effetto della liberazione del fideiussore.
La Corte ha sul punto ampiamente motivato, evidenziando le ragioni – tratte dagli accertamenti peritali – per le quali, nonostante la segnalata impossibilità di verificare l’esistenza o meno delle poste attive indicate nello stato patrimoniale, poteva comunque ragionevolmente giungersi al convincimento che: a) si fosse effettivamente verificato un “peggioramento della situazione finanziaria della società dal 1997 al 2005, con un aggravamento in valore assoluto negli anni 2003 al 2005”; b) tale deterioramento fosse conoscibile da parte dell’MPS “attraverso quell’attento esame dei bilanci (per alcuni anni), delle dichiarazioni dei redditi della società del Q. (per altri) e delle risultanze dei pubblici registri, che può esigersi da un soggetto qualificato qual è un istituto di credito”.
Per la stessa ragione fuori segno si appalesa il riferimento, tra le norme asseritamente violate, all’art. 2697 c.c. in tema di riparto dell’onere probatorio, avendo la Corte deciso sulla base della ritenuta emergenza dagli atti di prova positiva dei presupposti dell’invocata causa di liberazione del fideiussore.
Le contestazioni mosse, lungi dall’evidenziare fatti storici decisivi che siano stati omessi, si risolvono chiaramente nella contestazione dell’accertamento fattuale e nella sollecitazione di una nuova e diversa valutazione di merito, certamente estranea all’oggetto ed alla funzione del giudizio di legittimità, peraltro proposta sulla base di indicazioni anche inosservanti dell’onere di specificità imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6.
4. L’inammissibilità dell’ulteriore argomento censorio – secondo cui l’effetto liberatorio avrebbe dovuto considerarsi impedito dalla previsione di cui all’art. 5 del contratto di fideiussione (circa l’obbligo in capo al fideiussore di informarsi delle condizioni patrimoniali del debitore garantito e dei suoi rapporti con l’azienda di credito) e dal legame di stretta parentela con il debitore garantito (a sua volta fideiussore della debitrice principale) – discende dalla sua novità oltre che dalla sua aspecificità.
Non risulta, infatti, che alcuna delle due questioni sia stata sollevata e dibattuta nel giudizio di appello.
Occorre al riguardo rammentare che qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (tra le tante, Cass. 13/06/2018, n. 15430; 09/08/2018, n. 20694).
Difatti, il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicchè sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (tra le molte, Cass. 29/11/2019, n. 31227).
Nella sentenza impugnata non risulta che le menzionate circostanze dedotte e gli effetti che se ne intendono far valere siano state esaminate, nè la ricorrente ha precisato se e quanto esse sono state introdotte nel giudizio di merito.
5. Mette conto, comunque, soggiungere che il principio evocato in ricorso (secondo cui la mancata richiesta di autorizzazione non può configurare una violazione contrattuale liberatoria ove la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale debba presumersi comune anche al fideiussore) è affermato solo in presenza di circostanze che possano giustificare tale ultima presunzione (come nell’ipotesi in cui debitrice sia una società nella quale il fideiussore ricopre la carica di amministratore o della quale è socio, ovvero sia coniuge o familiare convivente; v. Cass. n. 12456 del 1997; n. 7587 del 2001; n. 3761 del 2006): circostanze la cui valutazione, in un senso o nell’altro, comporta apprezzamento di fatto da ritenersi riservato al giudice del merito e che rimane insindacabile nel giudizio di legittimità, se non sul piano della motivazione e nei ristretti limiti in cui un tale sindacato è oggi consentito, non potendosi invece predicare alcun automatismo inferenziale dal solo rapporto parentale.
6. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.400 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021