Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.544 del 14/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 264/2015 proposto da:

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE RAFFAELLO SANZIO n. 9, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LUCIANI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo Studio TOFFOLETTO DE LUCA TAMAJO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIORGIO FONTANA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2219/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/06/2014 R.G.N. 7020/2009.

RILEVATO

Che:

Con sentenza n. 2219 del 2014, la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed assistenza forense (d’ora in avanti CNAPF), nei confronti dell’avvocata G.M.R., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto la domanda proposta da quest’ultima al fine di veder riconosciuto il diritto, consequenziale alla cancellazione dall’Albo degli avvocati avvenuta il 27 dicembre 2001, alla restituzione dei contributi soggettivi versati alla Cassa nel periodo compreso tra il primo gennaio 1998 ed il 27 dicembre 2001, in ragione del disposto della L. n. 576 del 1980, art. 2 e della circostanza che la ricorrente era stata cancellata dall’albo senza aver conseguito il diritto alla pensione;

la Corte territoriale, ricordato che il punto controverso tra le parti era quello relativo alla legittimità della Delib. 13 novembre 2004, con la quale il Comitato dei Delegati aveva modificato l’art. 4 del Regolamento della Cassa, negando la possibilità della restituzione oltre il termine del 30 novembre 2004, ha ritenuto che la L. n. 576 del 1980, art. 21, non potesse essere derogato dalla delibera della Cassa, in quanto la materia contributiva era coperta da riserva di legge ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2 lett. o), ed il principio di solidarietà – proprio del sistema previdenziale – era comunque soddisfatto dalla limitazione dell’obbligo di restituzione ai soli contributi soggettivi; in tal senso, peraltro, si era pronunciata la giurisprudenza di legittimità che aveva confinato la potestà normativa degli enti privatizzati sostanzialmente nell’ambito normativo della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12 e cioè nell’ambito dei provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, riparametrazione dei coefficienti di rendimento o modificazione di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata;

inoltre, posto che la ricorrente non aveva conseguito il diritto a pensione, la Delibera in questione non poteva essere ritenuta legittima in ragione della adozione del sistema contributivo contestualmente avvenuta; neppure rilevava la sanatoria, disposta dall’art. 1, comma 763, della Legge Finanziaria per il 2007 che si riferiva a materie del tutto diverse (bilanci tecnici dei nuovi enti privatizzati, stabilità delle gestioni previdenziali in un arco non inferiore a trenta anni e tecniche di redazione del bilancio);

avverso tale sentenza, ricorre per cassazione CNPAF sulla base di un articolato motivo avente ad oggetto: a) la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 117 Cost., D.Lgs. n. 509 del 1994, artt. 1 e 2 e L. n. 335 del 1995, art. 3; b) la violazione e falsa applicazione della Delib. 13 novembre 2004 della CNPAF, recante modifica dell’art. 4 del Regolamento Generale di Previdenza;

in sostanza, si deduce l’erroneità della ricostruzione operata dalla sentenza impugnata in punto di riserva assoluta di legge in materia contributiva, essendo stato affermato, sia dalla unanime dottrina che dalla giurisprudenza costituzionale, che l’art. 117 Cost., regola unicamente il rapporto tra legge dello Stato e legge regionale e non pone riserve di legge; peraltro, neanche l’art. 38 Cost., ad avviso della ricorrente, pone una riserva di legge, come dimostrato dai commi 4 e 5;

alle Casse dei liberi professionisti il legislatore avrebbe riconosciuto una peculiare autonomia regolamentare, idonea a derogare alle leggi esistenti (L. n. 537 del 1993, art. 1, comma 32 e D.Lgs. n. 504 del 1994); la legittimità del regolamento approvato con la Delib. 13 novembre 2004, infine, oltre a discendere da tali premesse, deriverebbe anche dai principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale e da quella di legittimità, con la sentenza n. 20242 del 2009 che ha espressamente riconosciuto la sostanziale delegificazione della disciplina del rapporto contributivo in favore del potere regolamentare delle Casse previdenziali, oltre che dalla più recente legislazione (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763; D.L. n. 201 del 2011, art. 21, comma 24);

resiste con controricorso l’avvocata G.M.R.;

entrambe le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO

Che:

il ricorso è fondato;

la questione dedotta attiene alla estensione dei poteri regolamentari riconosciuti alla Cassa di previdenza ricorrente, con particolare riferimento ai possibili suoi effetti derogatori, rispetto alla disciplina legale del rapporto contributivo (L. n. 576 del 1980) vigente anteriormente alla privatizzazione, con particolare riferimento al diritto al rimborso dei contributi soggettivi versati nell’ipotesi in cui l’iscritto si cancelli dalla Cassa senza aver acquisito il diritto a pensione;

quanto all’efficacia dell’attività regolamentare della Cassa Forense all’interno del sistema delle fonti, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, comma 1 e della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, questa Corte di Cassazione si è pronunciata con la sentenza n. 24202 del 16 novembre 2009, seguita, tra le altre, da Cass. 12209/2011, Cass. 19981/2017 e da Cass. n. 3461/2018;

si è, dunque, affermato un orientamento, cui si intende dare continuità, che previa ricognizione del quadro normativo come interpretato dalla precedente giurisprudenza costituzionale e di legittimità, ritiene che: a) il nuovo ente, sorto per effetto del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, non fruisce di finanziamenti o di altri ausili pubblici di carattere finanziario e mantiene la funzione di ente senza scopo di lucro cui continuano a fare capo i rapporti attivi e passivi ed il patrimonio del precedente ente previdenziale; b) tale ente ha assunto la personalità giuridica di diritto privato con il mantenimento dei poteri di controllo ministeriale sui bilanci e di intervento sugli organi di amministrazione (oggi più penetranti per effetto della L. n. 111 del 2011, art. 14) in aggiunta alla generale soggezione al controllo della Corte dei Conti ed a quello politico da parte della Commissione parlamentare di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 56: dunque è rimasto immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dall’ente originario, non incidendo su di esso la modifica degli strumenti di gestione legati alla differente qualificazione giuridica e permanendo l’obbligatorietà della contribuzione a conferma della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale, come affermato da Corte costituzionale n. 248 del 18 luglio 1997, oltre che del principio di autofinanziamento (vedi Corte Cost. n. 340 del 24 luglio 2000); c) il riconoscimento, operato dalla legge in favore del nuovo soggetto, dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile che, comunque, non esclude l’eventuale imposizione di limiti al suo esercizio (vd. Corte Cost. n. 15/1999), ha realizzato una sostanziale delegificazione attraverso la quale, nel rispetto dei limiti imposti dalla stessa legge, è concesso alla Cassa di regolamentare le prestazioni a proprio carico anche derogando a disposizioni di leggi precedenti, secondo paradigmi sperimentati ad esempio laddove la delegificazione è stata utilizzata in favore della contrattazione collettiva (vd. Cass. n. 29829 del 19 dicembre 2008; 15135/2014);

l’operatività di tale delegificazione all’interno del sistema delle fonti, deve aggiungersi, è stata confermata dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 254/2016 in relazione alla questione di legittimità costituzionale sollevata riguardo all’art. 3 Cost., tra l’altro, del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, art. 1, comma 4, art. 2, comma 2 e art. 3, comma 2, in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32 e della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 12, in combinato disposto con l’art. 1 del Regolamento della Cassa forense 17 marzo 2006 e con l’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 19 settembre 2008. La citata ordinanza, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte di cassazione relativa alla “sostanziale delegificazione” della materia, ha ribadito che la giurisdizione del giudice costituzionale, ai sensi dell’art. 134 Cost., non si estende a norme di natura regolamentare, come i regolamenti di “delegificazione” (Corte Cost. n. 427 del 2000) e, proprio con riferimento alle fonti di valore regolamentare, adottate in sede di “delegificazione”, la garanzia costituzionale va ricercata, a seconda dei casi, o nella questione di legittimità costituzionale sulla legge abilitante il Governo all’adozione del regolamento, ove il vizio sia ad essa riconducibile, per avere, in ipotesi, posto principi incostituzionali o per aver omesso di porre principi in materie che costituzionalmente li richiedono, o nel controllo di legittimità sul regolamento, nell’ambito dei poteri spettanti ai giudici ordinari o amministrativi, ove il vizio sia proprio ed esclusivo del regolamento stesso (Corte Cost. n. 427 del 2000);

la delegificazione, dunque, realizza la scelta legislativa di riconoscere l’autonomia regolamentare della Cassa nella materia indicata nella L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che, nel testo vigente al momento in cui fu modificato l’art. 49 del Regolamento generale (Delib. c.d.a. della Cassa n. 133 del 2003, approvata dai Ministeri vigilanti con comunicato pubblicato su G.U. n. 244 del 16 ottobre 2004) prevedeva che gli enti privatizzati adottassero “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”;

la questione, poi, della vigenza della L. n. 576 del 1980, art. 21, a seguito dell’esercizio della potestà regolamentare da parte della Cassa è stata più volte affrontata da questa Corte di legittimità con arresti che possono definirsi consolidati attraverso i quali si è affermato che la CNPAF, nell’esercizio della propria autonomia che la abilita a derogare od abrogare disposizioni di legge in funzione dell’obbiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, può adottare misure prevedenti, fermo restando il sistema retributivo di calcolo della pensione, la facoltà di optare per il sistema contributivo a condizioni di maggior favore per gli iscritti, stabilendo, al contempo, la non restituibilità dei contributi legittimamente versati, con abrogazione della precedente disposizione di cui alla L. n. 570 del 1980, art. 21, nel rispetto dei limiti dell’autonomia degli enti (quali la previsione tassativa dei tipi di provvedimento che gli enti sono abilitati ad adottare ed il principio del “pro rata”), senza che ne consegua la lesione di diritti quesiti o di legittime aspettative o dell’affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica. (Principio applicato con riferimento all’irripetibilità dei contributi versati non utilizzati a fini pensionistici, prevista dall’art. 4 del regolamento della Cassa, come modificato con la Delib. 28 febbraio 2004, adottata dal Comitato dei delegati ed approvata dai Ministeri vigilanti) (Cass. 16 novembre 2009, n. 24202);

l’abrogazione della L. n. 576 del 1980, art. 21, ad opera dell’art. 4 del citato Regolamento è dunque giustificata dalla delegificazione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che, nella sua originaria formulazione, attribuisce agli enti previdenziali privatizzati il potere di adottare atti idonei ad incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata (Cass. 2 marzo 2018, n. 4980; Cass. n. 19255 del 2019);

il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, affinchè esamini, alla luce dei principi sopra indicati, la concreta fattispecie anche quanto all’accertamento delle condizioni per l’applicabilità del regime transitorio derivante dalla riformulazione dell’art. 4 del Regolamento della Cassa, a seguito della Delib. Comitato dei delegati 13 novembre 2004;

il giudice del rinvio provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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