Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.552 del 14/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22740/2018 proposto da:

TALEA AGENZIA PER IL LAVORO S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 34-B, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CECCONI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARBERINI 67, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE BERRETTA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

TALEA AGENZIA PER IL LAVORO S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 34-B, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CECCONI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente – riorrente principale –

avverso la sentenza n. 67/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 13/02/2018 R.G.N. 347/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/10/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbimento ricorso incidentale condizionato.

udito l’Avvocato CATIA CANTAGALLI, per delega verbale Avvocato MAURIZIO CECCONI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE BERETTA.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Catania del 3.12.09, P.S., dipendente della società Articolo 21 SPA (poi Talea s.r.l.) dal 16 giugno 2004, come impiegato di primo livello con funzioni di responsabile dello sviluppo presso le filiali *****, esponeva che dal 1.1.07 gli era stata affidata la responsabilità dell’Area Nord con il riconoscimento di una retribuzione annua lorda di Euro 38.000,00. Nel gennaio 2008 l’amministratore delegato gli aveva riconosciuto un aumento di Euro 40.000, oltre all’importo di Euro 8.000 all’anno per rimborso spese.

In data 3 ottobre 2008 gli veniva affidato il compito di costituire una nuova divisione denominata “Industria” finalizzata all’espansione dell’attività della società, sulla base di un progetto predisposto dallo stesso ricorrente. In data 25 febbraio 2009 la società gli comunicava l’impossibilità di proseguire questo progetto e gli proponeva dl svolgere mansioni di “key account manager” per la Sicilia, con conseguente modifica in peius della retribuzione.

Il ricorrente si dichiarava disponibile alla temporanea adibizione a mansioni inferiori pretendendo tuttavia, il mantenimento delle condizioni economiche precedenti. La società procedeva al licenziamento con lettera 27.3.09, comunicando l’intervenuta decisione di sopprimere la divisione Industria con conseguente soppressione della sua posizione lavorativa.

Il P. contestava la legittimità del licenziamento per l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo e violazione dell’obbligo di repechage, atteso che la società aveva pubblicato annunci di ricerca di personale con posizione professionale compatibile con quella del ricorrente.

Resisteva la società precisando che la scelta non era stata determinata da una crisi della società ma piuttosto da scelte imprenditoriali di strategia aziendale, insindacabili; che il posto di lavoro del P. era stato effettivamente soppresso e che la società aveva offerto al lavoratore altro posto di lavoro, sia pure di inferiore inquadramento, ma con mantenimento della retribuzione precedente.

Il Tribunale accoglieva il ricorso, evidenziando che la decisione della società di sopprimere la divisione industria, spostando ivi il P. dalla precedente Area Nord (2008), e la successiva repentina (dopo alcuni mesi) decisione di sopprimerla (2009), evidenziavano l’intento della società di disfarsi del lavoratore e non già un motivo oggettivo di licenziamento, evidenziando che la società non aveva neppure assolto all’obbligo del cd. repechage.

Avverso tale sentenza proponeva appello la soc. Talea, resisteva il P..

Con sentenza depositata il 13.2.18, la Corte d’appello di Catania rigettava il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la soc. Talea, affidato a cinque motivi.

Resiste il P. con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Lamenta che la prova dell’assolvimento dell’onere di repechage doveva essere valutata dalla Corte territoriale alla stregua del pregresso orientamento di legittimità in materia, secondo cui era onere del dipendente indicare le posizioni lavorative scoperte in azienda, senza tener conto del successivo overruling giurisprudenziale in argomento, valutando quindi l’impossibilità di allocazione del sig. P. nelle posizioni dal medesimo indicate come compatibili con il suo profilo professionale, e smentito dalla società in sede di difese.

2.- Con secondo motivo la ricorrente denuncia per un verso un vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5); per altro verso la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Lamenta che i giudici di secondo grado non avevano in alcun modo considerato che il sig. P. aveva di fatto compiutamente allegato la possibilità di una propria riallocazione nelle mansioni oggetto degli annunci di ricerca pubblicati da Talea, che aveva però dimostrato l’impossibilità di un reimpiego in tali posizioni. Nella seconda parte del motivo si censura la violazione dell’art. 115, per la mancata utilizzazione, ai fini del decidere, di fatti provati in quanto dedotti dalla società e non specificatamente contestati dal sig. P..

I due motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

La società si duole che la Corte di merito valutò l’adempimento all’obbligo di repechage non in base alla precedente giurisprudenza di legittimità (che imponeva al lavoratore un onere di allegazione dei posti disponibili), bensì in base alla successiva giurisprudenza, inaugurata da Cass. n. 5592/16 e poi seguita dalle successive pronunce, secondo cui tale onere era interamente a carico del datore di lavoro.

Osserva tuttavia il Collegio che non si tratta di overruling processuale (comportante l’introduzione di nullità, decadenze, preclusioni o inammissibilità, cfr. ex aliis Cass. S.U. n. 4135/19), bensì di interpretazione degli adempimenti sostanziali non contenuti in regole processuali con effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa, ben potendo la parte difendersi ed il giudice giudicare in relazione alle norme regolatrici della materia.

Il “prospective overruling” è infatti finalizzato a porre la parte al riparo da effetti processuali pregiudizievoli (nullità, decadenze, preclusioni, inammissibilità) di mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, così consentendosi all’atto compiuto con modalità ed in forme ossequiose dell’orientamento giurisprudenziale successivamente ripudiato, ma dominante al momento del compimento dell’atto, di produrre ugualmente i suoi effetti, mentre non è invocabile nell’ipotesi in cui il nuovo indirizzo giurisprudenziale di legittimità riguardi l’interpretazione del diritto sostanziale che spetta comunque alla parte valutare.

Per il resto anche la seconda parte del secondo motivo si concentra sulla avvenuta contestazione o meno della dedotta, dalla società, incollocabilità del lavoratore nelle posizioni lavorative da esso indicate, senza dunque tener conto del principio sopra enunciato.

3.- Con terzo motivo la società denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurando l’inosservanza della regola contenuta nell’art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione alla prova della riconducibilità delle mansioni offerte di “key account manager” per l’area Sicilia al primo livello, nonchè dell’art. 2103 c.c., il quale non preclude, in funzione di salvezza del posto di lavoro, l’offerta di una mansione di inquadramento di primo livello con la retribuzione propria del medesimo.

Il motivo è in parte inammissibile laddove censura apprezzamenti e valutazioni dei fatti da parte del giudice di merito, e per il resto infondato laddove sostiene la legittimità di una dequalificazione professionale, ancorchè col mantenimento della precedente retribuzione, possibile (secondo un minoritario e risalente orientamento, Cass. n. 4509/16), solo quando, in assenza assoluta di possibilità di reimpiego, sussista un accordo col lavoratore.

4.- Con quarto motivo la società denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c. e art. 24 Cost. (sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) evidenziando che il P. non aveva mai dedotto che le sue mansioni di responsabile dell’Area Nord, sebbene inquadrate formalmente nel livello I, potessero essere riconducibili alla categoria “quadri” e che rispetto a tale fatto la (di poco) precedente occupazione di altro soggetto nella funzione di Operation manager (quadro) violasse il principio del repechage. In sostanza il fatto considerato dalla Corte territoriale non era mai stato allegato – nè a fortiori provato – del sig. P.. Ciò concretava, oltre che la violazione dell’art. 414 c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c., anche una lesione del diritto di difesa di Talea costituzionalmente tutelato.

Anche tale motivo è infondato, basandosi sempre sulla dedotta ed infondata questione che il P. sarebbe stato onerato di indicare le mansioni assegnabili, cui deve aggiungersi che il motivo censura un apprezzamento di fatto del giudice di merito in ordine all’assegnazione, di pochi giorni precedenti il licenziamento del P., di altro dipendente nelle mansioni di Operation manager.

5.- Con quinto motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), in relazione alla mancata detrazione, ai fini dell’aliunde perceptum, dell’indennità di disoccupazione percepita dal sig. P. dall’08/01/2011 al 6/3/2011.

Anche tale motivo è infondato, essendo pacifico che non sono deducibili a titolo di aliunde perceptum dal risarcimento del danno le somme che traggono origine dal sistema di sicurezza sociale che appronta misure sostitutive del reddito in favore del lavoratore, la cui eventuale non debenza dà luogo ad un indebito previdenziale ripetibile, nei limiti di legge, dall’Istituto previdenziale (cfr. Cass. ord. n. 6360/20, Cass. n. 9724/17; n. 7794/17; Ord. sez. 6, n. 14135/18).

Il ricorso principale va dunque rigettato.

Il ricorso incidentale, esplicitamente condizionato all’accoglimento del principale, resta assorbito.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021

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