LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32295/2018 proposto da:
CONSORZIO AUTOSTRADE SICILIANE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE AMICO;
– ricorrente –
contro
G.M.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 281/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 24/04/2018 R.G.N. 119/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/10/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.
RILEVATO
Che:
1. Il Tribunale di Messina, con la pronuncia n. 287 del 2016, ha rigettato la domanda proposta da G.M. diretta ad ottenere il risarcimento del danno conseguente alla illegittimità dei contratti stipulati a tempo determinato con il Consorzio per le Autostrade Siciliane nel periodo 1992 2010.
2. La Corte d’appello di Messina, con sentenza n. 281 del 24.04.2018, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimi i contratti stipulati sino al 5.7.2000 e, conseguentemente, ha condannato il Consorzio per le Autostrade Siciliane a corrispondere al predetto G.M., a titolo di risarcimento del danno per l’illegittimità dei contratti stipulati di cui sopra, la somma di importo pari a dieci mensilità della retribuzione globale di fatto percepita.
2.1. La Corte distrettuale, per quello che interessa in questa sede, ha ritenuto, con riferimento ai contratti dichiarati illegittimi, in base ai principi di effettività ed equivalenza sanciti dalla Corte di Giustizia Europea, che per il risarcimento del danno sofferto a causa del ricorso abusivo ad una successione di contratti a termine doveva aversi riguardo a quanto sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza 27481/2014, affermativa del diritto del lavoratore al risarcimento del danno ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, cd. danno comunitario, quale sanzione ex lege a carico del datore di lavoro, per la cui liquidazione era utilizzabile in via tendenziale il criterio indicato dalla L. n. 604 del 1966, art. 8 e non il sistema indennitario omnicomprensivo previsto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, nè il criterio previsto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori; tenuto conto, poi, del numero e dalla durata dei contratti, nonchè della durata della reiterazione e dell’intervallo di tempo intercorrente tra un contratto e l’altro, la Corte di Messina riteneva congrua la misura di dieci mensilità della retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore all’atto della cessazione dell’ultimo contratto.
3. Di tale sentenza domanda la cassazione il Consorzio per le Autostrade Siciliane, affidando l’impugnazione ad un solo motivo, illustrato con memoria. L’intimato G.M. non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO
Che:
1. Con l’unico articolato motivo il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5 e dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Deduce, sul presupposto che nella specie risultavano impugnati non una successione di contratti ma singoli e distinti contratti a termine stipulati a distanza di diversi mesi l’uno dall’altro, che se la Corte territoriale avesse applicato correttamente la normativa che disciplina la materia del risarcimento del danno in tema di illegittimità di contratti a termine stipulati con la PA (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5 e art. 2697 c.c.) anzichè la normativa di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, richiamata dalle Sezioni Unite per una diversa ipotesi di fattispecie, certamente sarebbe pervenuta ad un diverso orientamento e, preso atto che il lavoratore non aveva assolto all’onere della prova su di esso gravante, avrebbe rigettato la domanda di quest’ultimo.
2. Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei limiti di cui in motivazione.
3. La gravata sentenza è senza dubbio corretta nella parte in cui ha ritenuto che, in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di illegittima o abusiva successione di contratti a termine, il lavoratore ha diritto – in conformità con il canone di effettività della tutela giurisdizionale affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12.12.2013 in C-50/13) e con i principi enunciati dalle Sezioni Unite della S.C. nella sentenza n. 5702 del 2016 a proposito della abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato – al risarcimento del danno, ai sensi del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, interpretato – con riferimento a fattispecie diverse da quelle del precariato scolastico – nel senso di danno comunitario, quale danno presunto con valenza sanzionatoria a carico del datore di lavoro (ex plurimis, Cass. n. 5072 del 2016, Cass. n. 28255 del 2017, Cass. nn. 8927 e 8885 del 2017, Cass. n. 16095 del 2016, Cass. n. 31174 del 2018).
4. Analogamente, l’impugnata pronuncia è condivisibile lì dove ha escluso che la indennità debba essere liquidata in ragione di ogni singolo contratto per il quale venga accertata la illegittimità del termine (Cass. n. 31175 del 2018) e dove ha ritenuto esservi stata l’impugnazione di una successione di contratti (e non di singoli contratti) stante il denunziato utilizzo abusivo del medesimo lavoratore con tipologie contrattuali a tempo determinato dal 1992 al 2010, sia pure con intervalli temporali tra di esse, in violazione della clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE.
5. E’, invece, fondata la censura nella parte relativa alla quantificazione del danno.
6. La Corte territoriale, infatti, applicando il parametro di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8, si è discostata dal principio statuito dalla già richiamata sentenza a Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 5072 del 2016) secondo cui “in materia di pubblico impiego privatizzato, il danno risarcibile di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, non deriva dalla mancata conversione del rapporto, legittimamente esclusa sia secondo i parametri costituzionali che per quelli Europei, bensì dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A., ed è configurabile come perdita di “chance” di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 c.c.”; hanno aggiunto le Sezioni Unite che “nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C50/13), sicchè, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito”.
7. Ciò comporta, quindi, la cassazione della sentenza in parte qua con rinvio alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, al fine di procedere alla ridefinizione del danno in applicazione dei corretti criteri di cui all’art. 32 cit., provvedendo, altresì, alle statuizioni anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza in parte qua e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Messina in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 30 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021