Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.572 del 15/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Est. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– ricorrente –

contro

Giuliano Costruzioni Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa in calce al controricorso, dagli Avv.ti Nunzio Luciano, del Foro di Campobasso, e Valerio Stanisci, che hanno indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, alla via Fulcieri Paolucci dè Calboli n. 54 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 167, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, il 22.4.2013 e pubblicata il 22.5.2013;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio.

La Corte osserva:

FATTI DI CAUSA

la società Giuliano Costruzioni Srl, attiva nel settore immobiliare, riceveva l’avviso di accertamento n. *****, inerente alla richiesta di maggiori tributi Iva, Ires ed Irap, in relazione all’anno 2005. L’atto impositivo traeva origine da Processo Verbale di Costatazione redatto dalla Guardia di Finanza, la quale aveva individuato ricavi non dichiarati per l’importo di Euro 199.000,00. L’Ente impositore poneva a fondamento dell’accertamento la differenza tra il maggior valore dei mutui erogati agli acquirenti degli immobili ed il minor prezzo di vendita degli stessi indicato nel rogito di acquisto. Il prezzo di vendita dichiarato degli immobili, peraltro, era ritenuto pure inferiore a quello normale (sent. CTR, p. 2). L’avviso di accertamento era impugnato dalla società innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Foggia, che accoglieva il ricorso ed annullava l’atto impositivo, ritenendo che gli elementi addotti dall’Agenzia a sostegno della pretesa assumessero il valore di “presunzioni semplici e che quindi imponevano all’ufficio l’onere di provare la fondatezza della maggiore pretesa” (sent. CTR, p. 3).

La decisione della CTP era gravata di appello dall’Ente impositore innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, riproponendo l’Amministrazione finanziaria i propri argomenti e lamentando l’omessa valorizzazione, da parte dei primi giudici, di alcuni elementi, quali le emergenze della documentazione bancaria acquisita in relazione al pagamento del prezzo alla società e le dichiarazioni rese dai clienti.

La CTR reputava legittimo l’utilizzo degli esiti degli accertamenti bancari, pur eseguiti senza la preventiva autorizzazione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 7, ritenendo che la società non avesse titolo a lagnarsi delle modalità procedurali, perchè gli accertamenti erano stati eseguiti nei confronti dei clienti, e non della Srl Giuliano costruzioni. Tuttavia sottolineava che il maggior reddito d’impresa è stato accertato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e pertanto “la prova della maggiore pretesa incombe sull’ufficio, nella sua qualità di attore sostanziale e non sul contribuente, come invece accade nell’ipotesi di accertamenti bancari di cui allo stesso D.P.R., art. 32” (sent. CTR, p. 4). Ricordava, quindi, che il primo giudice aveva accolto le lagnanze avanzate dalla contribuente in merito alla perizia di stima del valore normale degli immobili, cui si era rifatto l’Ente impositore, e pure alle dichiarazioni dei clienti della società rilasciate alla Guardia di Finanza. In tal senso, osservavano i giudici del gravame, questi elementi possono assumere, nel processo tributario, soltanto un valore indiziario, “invero, a ben leggere il pvc… l’attività di accertamento risulta basata sulla differenza tra i valori in atti e i mutui ricevuti e solo in modo residuale sulla differenza con i valori dichiarati nei contratti” (sent. CTR, p. 5), trascurando l’Ente impositore che alcuni clienti avevano dichiarato di aver contratto un mutuo superiore al valore dell’immobile per varie finalità. Inoltre, in materia di spese di miglioria effettuate sull’immobile, la società “nella pubblica udienza ha affermato che le stesse furono realizzate e quindi fatturate da imprese diverse e tale circostanza non risulta smentita dall’Agenzia” (sent. CTR, p. 6).

In materia di dichiarazioni rilasciate dai clienti, poi, secondo il giudice dell’appello occorreva rilevare che le stesse apparivano di dubbia attendibilità in quanto, “in alcuni casi”, vi è discordanza tra quanto emerge dal Pvc e quanto risulta invece dall’accertamento. Neppure doveva trascurarsi che, ai sensi della legge Comunitaria n. 161 del 2009, il valore “normale” del bene, in relazione all’accertamento ai fini dell’IVA e delle Imposte Dirette, è “irrilevante”. Concludeva, quindi, rigettando l’impugnativa proposta dall’Ente impositore e confermando l’annullamento dell’avviso di accertamento.

Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un articolato motivo di ricorso. Resiste con controricorso la società Giuliano costruzioni Srl.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – L’Agenzia delle Entrate contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il vizio di motivazione e la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39, comma 1, e dell’art. 2697 c.c., in cui è incorsa l’impugnata decisione della CTR della Puglia, errando nella valutazione del materiale acquisito al processo e nella ripartizione dell’onere della prova.

2.1. – L’Ente impositore contesta, mediante il suo motivo di ricorso, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in cui sostiene essere incorsa la impugnata CTR, omettendo di valutare gli elementi indiziari offerti e ripartendo in modo erroneo l’onere della prova tra le parti.

In proposito la controricorrente ha replicato che la contestazione, in quanto proposta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve considerarsi inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, nel testo vigente all’epoca di proposizione dell’impugnazione per cui è causa (sent. dep. 22 maggio 2013), perchè in questo caso il giudice dell’appello ha pienamente confermato la decisione del giudice di primo grado e ricorre pertanto l’ipotesi di una c.d. doppia conforme. La contestazione non appare fondata, avendo questa Corte già chiarito che “la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, non si applica, agli effetti del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 2, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012", Cass. sez. V, sent. 18.12.2014, n. 26860, e, nel caso in esame, l’appello risulta depositato il 28.11.2011, essendo peraltro censurata anche la violazione di legge.

Può allora osservarsi che l’Agenzia delle Entrate ha fondato il suo accertamento, derivante da un Processo Verbale di Costatazione redatto dalla Guardia di Finanza, su una pluralità di elementi, di tal che “più elementi si combinano e danno la possibilità di risalire al fatto ignoto dal fatto noto” (p. 4 dell’atto impositivo, riportata in ricorso a p. IX), ed alcuni di essi sono stati totalmente trascurati dal giudice impugnato. L’Agenzia delle Entrate ha indicato gli elementi indiziari offerti “nel basso prezzo al mq. praticato dalla società, nel valore dell’immobile riportato nel preliminare di vendita, confrontato con la fattura emessa e con il prezzo indicato nel rogito, nonchè nelle testimonianze rese in sede di controlli eseguiti dalla Guardia di Finanza, oltre ai dati ottenuti attraverso i questionari D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 33, inviati ai contribuenti” (ricorso, p. IX s.). A questi elementi occorre aggiungere, almeno, il rilievo indiziario del prezzo di vendita degli immobili, perchè indicato come inferiore al valore normale degli stessi come riportato negli atti di trasferimento ed accertato mediante indagini della Gdf presso le agenzie immobiliari della zona.

Sembra allora opportuno riassumere il condivisibile orientamento di questa Corte di legittimità, che si intende confermare, in ordine ad alcune delle questioni proposte dalla ricorrente. E’ stato recentemente ribadito che “le presunzioni legali relative di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, come introdotte dal D.L. n. 223 del 2006, conv. dalla L. n. 248 del 2006, secondo cui, in caso di cessioni aventi ad oggetto beni immobili, l’importo dei ricavi ai fini delle imposte dirette, o l’ammontare delle operazioni imponibili ai fini IVA, si presumono corrispondenti al valore normale del bene immobile ceduto, non hanno efficacia retroattiva, secondo quanto espressamente disposto dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 65, con la conseguenza che, per gli atti di compravendita di immobili anteriori alla data del 4 luglio 2006, lo scostamento dei corrispettivi dichiarati rispetto al valore normale dei cespiti, desunto da una perizia di stima dell’Agenzia del territorio, non costituisce una presunzione legale relativa di percezione di un maggior corrispettivo, bensì una presunzione semplice, da valutare unitamente ad altri elementi che ne confermino la gravità, precisione e concordanza”, Cass. sez. V, 21.12.2018, n. 33261; non mancando di specificare, la Corte di legittimità, che “in tema di accertamento dell’IVA, la riformulazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, ad opera della L. n. 88 del 2009 (comunitaria 2008), ha eliminato – con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto unionale – la stima basata sul valore normale nelle transazioni immobiliari, sicchè la prova dell’esistenza di attività non dichiarate, derivanti da cessioni di immobili, può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, secondo gli ordinari criteri di accertamento induttivo, che non sono esclusi dall’art. 273 Dir. 2006/112/Cee, dovendo gli Stati membri assicurare l’integrale riscossione del tributo armonizzato e l’efficacia della lotta contro l’evasione”, Cass. sez. V, 4.4.2019, n. 9453.

Inoltre, in materia di utilizzabilità delle dichiarazioni rese da terzi nel processo tributario, si è recentemente osservato che “nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai finì della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice”, Cass. sez. V, 7.4.2017, n. 9080 (conf., Cass. sez. V, 5.4.2013, n. 8369).

La ricorrente Agenzia, pertanto, aveva effettivamente proposto, mediante il proprio avviso di accertamento, una pluralità di elementi indiziari, idonei ad assurgere al rango di presunzioni semplici, che riteneva idonei a fondare l’atto impositivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d.

La impugnata CTR, però, ha compiuto un’analisi incompleta degli atti di causa, esaminando soltanto, a campione, alcuni degli elementi indiziari forniti dall’Agenzia (peraltro scelti secondo un criterio non illustrato), ritenendo poi di poter estendere le conclusioni cui perviene in singoli casi ad una pluralità di ipotesi non esaminate. Quindi, avendo reputato che gli elementi apportati dall’Ente impositore non fossero idonei a supportare le ragioni dell’Amministrazione finanziaria, ha concluso che l’accertamento da questa operato dovesse ritenersi interamente infondato, anche in relazione agli elementi che il giudice dell’appello neppure ha ritenuto di analizzare.

Erra pertanto la CTR nel ritenere del tutto irrilevante il valore normale del bene immobile ai fini dell’accertamento tributario, e nel non esaminare, affatto o adeguatamente, taluni degli elementi indiziari posti a fondamento dell’atto impositivo come, ad esempio, il basso prezzo al mq. praticato dalla società; il valore dell’immobile riportato nel preliminare di vendita, confrontato con la fattura emessa e con il prezzo indicato nel rogito; nonchè nel non aver chiarito adeguatamente le ragioni per cui tutte le testimonianze rese in sede di controlli eseguiti dalla Guardia di Finanza debbano reputarsi irrilevanti. Neppure deve trascurarsi che il divario tra l’entità del mutuo fondiario ottenuto e l’inferiore prezzo di vendita dichiarato, costituisce un elemento presuntivo da apprezzare in base alla circostanza che, secondo il disposto della circolare della Banca d’Italia n. 229 del 21 aprile 1999, titolo V, Cap. I, Sezione II, “le banche possono concedere finanziamenti di credito fondiario per un ammontare massimo pari all’80 per cento del valore dei beni immobili ipotecati”. In senso conforme questa Corte ha affermato che “in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa, l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili può essere fondato anche soltanto sull’esistenza di uno scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente, ciò non comportando alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova”, Cass. sez. V, 9.6.2017, n. 14388.

Il ricorso proposto dall’Ente impositore deve essere pertanto accolto, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia perchè, in diversa composizione, rinnovi il giudizio nel rispetto dei principi di diritto esposti, provvedendo anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia perchè, in diversa composizione, proceda a rinnovare il giudizio nel rispetto dei principi innanzi esposti, e provveda anche a regolare le spese di lite del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021

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