Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.588 del 15/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7000/2014 R.G. proposto da:

M.R., rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Del Re e dall’avv. Giuseppina Dell’Aquila, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, via G. Pierluigi da Palestrina, n. 48;

– ricorrente, controricorrente nell’incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente, ricorrente incidentale condizionato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione n. 01, n. 580/01/2013, pronunciata il 25/06/2013, depositata il 17/09/2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 ottobre 2020 dal Consigliere Riccardo Guida.

RILEVATO

che:

M.R. ricorre, con un unico motivo, contro l’Agenzia delle entrate – che resiste con controricorso, nel quale articola ricorso incidentale condizionato, con un motivo, al quale il contribuente replica con controricorso – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, indicata in epigrafe, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento che recuperava a tassazione IRPEF ed addizionali, per il periodo d’imposta 2005, maggiori redditi non dichiarati (Euro 282.765,00), accertati all’esito di indagini bancarie – ha rigettato l’appello principale del contribuente e ha accolto l’appello incidentale dell’Agenzia avverso la sentenza (n. 42/37/2012) della CTP di Roma che, a sua volta, in parziale accoglimento del ricorso del contribuente, aveva annullato in parte la ripresa fiscale, reputando che quest’ultimo avesse dato idonea prova del versamento di Euro 13.988,00, quale emolumento dell’attività di amministratore;

la CTR ha escluso che il contribuente, gravato del relativo onere, avesse fornito la prova contraria, necessariamente specifica, rispetto alle presunzioni conseguenti ai controlli dei conti correnti bancari, di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, e al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51;

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo del ricorso principale (“Omessa e/o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5”), il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere omesso di indicare gli elementi posti a base del proprio convincimento e per non avere valutato le prove documentali che egli aveva fornito, che dimostravano che: (a) la somma di Euro 73.526,00 era da imputare alla restituzione di “finanziamento soci”, come desumibile dalle schede contabili del 2005 di Molinari Srl e di Edilmonteflavio Srl; (b) la somma di Euro 35.000,00 era una “regalia fattagli dal proprio padre”, a mezzo di assegno bancario; (c) la somma di Euro 12.000,00, era un’altra “regalia” paterna, effettuata con assegno bancario; (d) la somma di Euro 13.988,00, che la sentenza di prime cure aveva ritenuto giustificata, era un compenso per l’attività di amministratore unico documentato con la produzione della busta paga;

1.1. il motivo è inammissibile;

è utile notare che la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 17/09/2013, sicchè trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d’appello pubblicate dopo l’11/09/2012;

in base alla norma novellata ed attualmente vigente, applicabile come già evidenziato – nella specie ratione temporis, non è più configurabile il vizio di omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio dello sviluppo argomentativo sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4, (Cass. 6/07/2015, n. 13928; 16/07/2014, n. 16300); va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità del principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 07/04/2014, n. 8053), secondo cui la richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Le sezioni unite (nella stessa pronuncia) hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

nella fattispecie concreta, con la surrichiamata censura, il ricorrente non rivolge alla sentenza critiche riconducibili al paradigma legale di cui al citato art. 360, novellato n. 5, ma ripropone, in modo non consentito, come si evince testualmente dalla rubrica del motivo di ricorso, il medesimo schema censorio del n. 5, nella sua precedente formulazione, ratione temporis inapplicabile;

si chiede, in sostanza, la mera rivalutazione del merito della controversia, il che però non è consentito in sede di legittimità. Al riguardo, questa Corte ha reiteratamente affermato che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7/04/2017, n. 9097; 07/03/2018, n. 5355, cit.);

2. con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato (“Violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”), l’Agenzia, nella denegata ipotesi di accoglimento del ricorso principale, censura la sentenza impugnata per avere omesso di pronunciarsi sulla (o in subordine per avere implicitamente rigettato la) eccezioni di giudicato implicito che la stessa A.F. aveva sollevato, nelle difese nel giudizio d’appello, in considerazione del fatto che il contribuente ha esteso il ricorso per cassazione ad alcune movimentazioni (per un imponibile complessivo di Euro 221.777,24), la cui contestazione non era stata specificamente riproposta come motivo d’appello, in relazione alle quali la stessa Agenzia aveva opposto, alla CTR, il formarsi del giudicato implicito, senza che poi la Commissione regionale si pronunciasse su tale questione;

2.1. il motivo è inammissibile;

è ius receptum della Corte che: “In tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza d’interesse il ricorso incidentale condizionato, allorchè proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito, ma sono relative a questioni sulle quali il giudice di appello non si è pronunciato, ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza, che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza.” (Cass. 11/04/2018, n. 8897, in motivazione; 22/09/2017, n. 22095; 12/06/2020, n. 11270);

3. in conclusione, debbono essere dichiarati inammissibili sia il ricorso principale del contribuente che quello incidentale condizionato dell’Agenzia;

4. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, riferibile in via prevalente al contribuente;

rilevato che risulta parzialmente soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (Cass. 29/01/2016, n. 1778).

PQM

dichiara inammissibili il ricorso principale del contribuente e il ricorso incidentale condizionato dell’Agenzia delle entrate; condanna il ricorrente principale a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.800,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021

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