LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13312-2014 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO Z.M. SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE FORNACI 44, presso lo studio dell’avvocato ARNALDO VERGANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI BONORA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 121/2013 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA, depositata il 26/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/10/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.
RILEVATO
che:
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 121/30/2013 (per errore materiale indicata con il numero di ruolo 77/30/2013), depositata dalla Commissione tributaria regionale del Veneto il 26.11.2013, che aveva respinto l’appello dell’Ufficio avverso la pronuncia del giudice di primo grado, con cui era stato accolto il ricorso del Fallimento della Z.M. s.p.a. avverso l’avviso di accertamento per Ires, Irap e Iva relativamente all’anno d’imposta 2007.
Ha rappresentato che il contenzioso traeva origine dalla contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti o parzialmente inesistenti, intervenute tra la Z. Cucine s.p.a. e l’odierna controricorrente.
Il giudizio dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Treviso era esitato nella sentenza n. 17/06/2011, che aveva annullato gli atti impositivi, per decadenza dai termini di accertamento, pur in presenza di condotte passibili di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p..
L’appello della Amministrazione finanziaria era stato rigettato dalla Commissione tributaria regionale con la sentenza ora impugnata. Il giudice regionale, per quanto comprensibile dalla motivazione, ha ” tenuto conto di quanto motivato e deciso dai Giudici di prima istanza”, per poi svolgere osservazioni nel merito, concludendo con il rigetto dell’appello.
L’Agenzia ha censurato la decisione affidandosi ad un motivo e chiedendone la cassazione con ogni consequenziale statuizione. Si è costituito Z.M., eccependo l’inammissibilità del ricorso perchè tardivo.
Nell’adunanza camerale del 20 ottobre 2020 la causa è stata discussa e decisa.
CONSIDERATO
che:
deve pregiudizialmente evidenziarsi che al ricorso dell’Agenzia, notificato alla curatela del fallimento, è seguita la costituzione dello Z.M., “in proprio e nella qualità di ex rappresentante legale della ” Z.M. spa, ora “Fallimento Z.M. SpA””. Occorre pertanto valutare la legittimazione processuale del costituito, che nel proprio atto difensivo nulla illustra in merito alla propria legittimazione processuale.
Questa Corte ha affermato che la perdita della capacità processuale del fallito, conseguente alla dichiarazione di fallimento relativamente ai rapporti di pertinenza fallimentare, essendo posta a tutela della massa dei creditori, ha carattere relativo e può essere eccepita dal solo curatore, salvo che la curatela abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto dedotto in lite, nel qual caso il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed è perciò opponibile da chiunque e rilevabile anche d’ufficio. Occorre dunque che il giudice investito della controversia venga a conoscenza di una volontà scientemente contraria alla prosecuzione del giudizio, espressione cioè di una valutazione negativa in ordine alla convenienza della sua prosecuzione (come ad es. in Cass., 6/06/2017, n. 13991, nella quale la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione, proposto dal fallito, in quanto la curatela non aveva manifestato disinteresse per la vicenda processuale ma, comunicandogli l’intento di non impugnare la decisione, aveva espresso una valutazione negativa in ordine alla convenienza della prosecuzione della controversia), mentre non è sufficiente la semplice intenzione di non voler coltivare il giudizio, che trova una collocazione incontestabile tra le condotte di mera inerzia (cfr. Cass., 9/03/2011, n. 5571, relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto ammissibile la proposizione del ricorso per cassazione da parte del fallito avverso sentenza della Commissione tributaria regionale, in un caso in cui la curatela aveva partecipato ai due gradi di giudizio di merito ma non aveva ritenuto di impugnare la decisione emessa dalla Commissione tributaria regionale). Poichè nel caso di specie mancano elementi da cui desumere la contrarietà consapevole del curatore fallimentare alla prosecuzione del giudizio, perchè, in assenza di opposizione espressa del curatore, allo stato può solo constatarsi e prendersi atto che alla rituale notifica del ricorso il curatore non si è costituito, lo Z.M. deve ritenersi legittimato alla costituzione.
Esaminando ora in via preliminare l’eccezione sollevata dal controricorrente in ordine alla inammissibilità del ricorso, per intempestività, essa non è fondata e va rigettata. Sostiene il controricorrente che la sentenza depositata in giudizio dall’Agenzia delle entrate, la n. 121/30/2013, non è quella che risulta formalmente impugnata, indicata in ricorso quale la n. 77/30/2013. E poichè quest’ultima è stata depositata il 25 giugno 2013, il ricorso sarebbe tardivo perchè notificato il 26/05/2014, cioè ben oltre il termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c..
Sennonchè la semplice lettura del ricorso evidenzia, senza che possano ingenerarsi equivoci, che la sentenza impugnata sia stata proprio quella allegata e depositata ai sensi dell’art. 369 c.p.c., ossia la n. 121/30/2013. Infatti dalla premessa del ricorso si evince che l’Agenzia ha rappresentato che “pende dinanzi a codesta Suprema Corte ricorso per cassazione proposto dalla Scrivente avverso la sentenza n. 77/30/2013della Commissione Tributaria Regionale di Venezia-Mestre – Sez.. 30, con la quale quest’ultima ha respinto l’appello dell’Ufficio nella controversia relativa agli avvisi di accertamento emessi per le annualità del 2003 al 2006, fondati sul medesimo p.v.c, su cui è fondato l’atto impositivo oggetto dell’odierno giudizio.”. Dal contenuto del ricorso inoltre, nell’esposizione del fatto così come dagli stralci dell’avviso di accertamento oggetto della presente controversia, l’anno d’imposta di riferimento è l’anno 2007.
Ebbene, il tenore del ricorso è inequivocabilmente volto a rimarcare che vi sia pendenza tra le medesime parti di altro giudizio presso la Corte di cassazione, afferente la sentenza n. 77/30/2013, relativa alle annualità 2003/2006. Nel presente invece l’annualità in contestazione è il 2007, per la quale si è occupato il diverso processo esitato nella sentenza 121/30/2013. Si tratta peraltro di elementi la cui conoscibilità diretta è consentita al giudice di questa Corte, tanto più che il giudizio pendente sul ricorso avverso la sentenza 77/30/2013 è oggetto del ruolo di trattazione di questo stesso Collegio e nell’odierna adunanza camerale. Ne discende che la mera indicazione nell’intestazione del ricorso della pronuncia 77/30/2013 costituisce un mero errore materiale di scrittura, agevolmente superabile dal contesto del ricorso medesimo e dal deposito della sentenza n. 121/30/2013, ossia della pronuncia relativa all’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2007, avverso cui è indirizzato il presente ricorso. E poichè dalla copia autentica della sentenza 121/30/2013 è dato evincere che essa fu pubblicata in data 26/11/2013, la notifica del ricorso, all’adempimento dei cui obblighi di notifica l’Amministrazione finanziaria ebbe a provvedere in data 22 maggio 2013 come dimostra l’attestazione UNEP, allegata unitamente alla copia del ricorso per cassazione, l’impugnazione risulta tempestiva.
Venendo al merito, con l’unico motivo l’Agenzia denuncia la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sotto il profilo della decisione assunta con motivazione apparente.
La sentenza della Commissione tributaria regionale, dopo nove pagine in cui riporta le difese con cui ciascuna parte insiste sulle argomentazioni relative alla sussistenza (e rispettivamente insussistenza) del potere accertativo, nonchè, quanto al merito dell’accertamento, sugli elementi a supporto (e rispettivamente a discarico) della ripresa a tassazione di importi per operazioni totalmente o parzialmente inesistenti, nell’ultima pagina decide la controversia con la seguente motivazione: “Tenuto conto di quanto motivato e deciso dai Giudici di prima istanza; tenuto conto dell’intervenuto fallimento, vista la rinuncia del difensore della parte, osserva: l’avviso di accertamento non risulta ancora suffragato e motivato da idonea documentazione; la legittimità del ricorso è provata, in quanto prodotto nei termini di legge; la dichiarazione di operazioni di acquisto inesistenti, poi ritrattata per riconoscimento parziale degli stessi; la non provata genericità delle fatture relative al magazzino e quindi della loro inesistenza, viceversa supportate da elencazione dei beni; la presenza presso la società dei beni strumentali, riconosciuta dall’Ufficio; la presenza preso la società dell’autocarro; l’inutile argomentazione relativa alla valutazione di un bene in compravendita, basato sul solo valore contabile”. A questo punto respinge l’appello dell’Ufficio.
Il motivo è fondato.
Sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonchè quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento. Ed in sede di gravame la decisione può essere legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purchè il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., sent. 14786/2016; 7/04/2017, n. 9105). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve infatti ritenersi apparente quando, ancorchè graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (Cass., 30/06/2020, n. 13248; cfr. anche 5/08/2019, n. 20921). L’apparenza peraltro si rivela ogni qual volta la pronuncia mostri un’obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14/02/2020, n. 3819).
Nel caso di specie il giudice regionale si è limitato ad elencare gli elementi e i riscontri posti a base dell’accertamento ed oggetto di opposte interpretazioni e allegazioni da ciascuna delle parti, senza tuttavia spendere una sola parola sul perchè nel complesso siano state ritenute del tutto inidonee a supportare le ragioni dell’Amministrazione finanziaria. Si tratta di frasi criptiche e del tutto inidonee a motivare, nel contesto peraltro di un accertamento complesso, la decisione assunta. Manca cioè nella sentenza un qualsiasi filo logico che consenta di comprendere quale sia stato l’iter argomentativo che abbia condotto la Commissione regionale al riconoscimento delle ragioni della parte ricorrente.
Il motivo va pertanto accolto, con conseguente riconoscimento della nullità della sentenza, che va pertanto cassata.
La cassazione della sentenza importa che il giudizio va rimesso alla Commissione tributaria regionale del Veneto, la quale, oltre che sulle spese del presente giudizio, dovrà decidere la controversia sul presupposto del tempestivo esercizio dell’accertamento.
P.Q.M.
Accoglie il motivo del ricorso; cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, che in altra composizione deciderà anche sulle spese.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021