LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15116/2013 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
M.V., rappresentato e difeso, per procura speciale in atti, anche disgiuntamente, dal Prof. Avv. Vincenzo Cesaro e dall’Avv. Bruno Cantone, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Calabria, n. 56;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 476/48/12, depositata il 20 dicembre 2012;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020 dal Consigliere Michele Cataldi.
RILEVATO
che:
1. L’Agenzia delle Entrate ha notificato a M.V. un avviso di accertamento, in materia di Irpef, relativa all’anno d’imposta 2004, con il quale, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41-bis, recuperava a tassazione la plusvalenza conseguita dal contribuente attraverso l’incasso dei corrispettivi della vendita a terzi di due appartamenti e di due garage, realizzati dalla Edilcasa Immobiliare s.r.l. sul terreno già di proprietà dello stesso M., che lo aveva venduto alla predetta società verso il prezzo così convenuto:
a) corrispettivo dichiarato in atti di Lire 80.000.000;
b) corrispettivo, non dichiarato in atti, ma concordato in una scrittura privata tra le parti, rinvenuta dalla Guardia di Finanza nel corso di una verifica nei confronti della medesima s.r.l., che lo stesso M. avrebbe ricavato dalle vendite di due appartamenti e di due garage costruiti dalla Edilcasa Immobiliare sul terreno de quo.
L’Ufficio – sulla base delle dichiarazioni rese ai verbalizzanti dallo stesso contribuente e dai terzi che avevano comprato i due appartamenti ed i due garage costruiti dalla s.r.l., oltre che della documentazione contrattuale reperita e degli assegni bancari in essa menzionati, accertava che la vendita dei predetti immobili era conseguita ad accordi tra i terzi acquirenti ed il M., il quale aveva incassato i relativi corrispettivi, frazionati in diversi pagamenti, così assumendo il ruolo sostanziale di proprietario-venditore e di fatto, comunque, realizzando l’accertata plusvalenza ed il maggior reddito contestatogli.
2. Il contribuente ha impugnato l’accertamento dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Caserta, che ha rigettato il ricorso.
5. Il contribuente ha allora impugnato la sentenza di primo grado dinnanzi la Commissione tributaria regionale della Campania che, con la sentenza n. 476/48/12, depositata il 20 dicembre 2012, ha accolto l’appello.
8. L’Amministrazione ha quindi proposto ricorso per la cassazione della predetta sentenza d’appello, affidandolo a tre motivi.
9. Il contribuente si è costituito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il giudice a quo erroneamente rilevato, commettendo vizio di ultrapetizione, che non sarebbe stato dimostrato dall’Ufficio il momento effettivo dell’incasso della parte dei corrispettivi pagati dai terzi ed oggetto dell’atto impositivo, laddove, ai fini dell’imputazione del reddito nell’anno d’imposta accertato, il contribuente non aveva sollevato nei giudizi di merito alcuna specifica eccezione al riguardo, essendosi limitato a negare in giudizio di aver mai ricevuto i predetti pagamenti.
2. Con il secondo motivo di ricorso l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia l’omesso esame di un fatto (o meglio di un complesso di circostanze oggettive) decisivo per il giudizio, rappresentato dalla dichiarazione resa ai verbalizzanti della Guardia di finanza dallo stesso contribuente, il quale aveva ammesso che l’intero ricavato ulteriore dell’operazione negoziale in questione, ammontante nella parte non dichiarata ad Euro 220.000,00 (che si aggiungevano al prezzo della vendita del suo terreno alla s.r.l., dichiarato nel relativo atto), gli era stato consegnato da suo genero, il quale non aveva trattenuto nessuna quota di tale somma.
Tale dichiarazione, rileva il ricorrente, si integra coerentemente sia con quelle rese ai verbalizzanti dai terzi acquirenti P. ed I., in ordine ai pagamenti (specie sotto il profilo del loro destinatario effettivo nella persona del ricorrente e del ruolo svolto dal genero di quest’ultimo); sia con le rinvenute scritture private, relative tanto agli accordi tra gli interessati per conto della predetta s.r.l. ed il ricorrente, quanto agli accordi tra quest’ultimo ed i terzi acquirenti degli immobili costruiti.
3. Con il terzo motivo di ricorso l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione dell’art. 2735 c.c., e dell’art. 116 c.p.c., per avere erroneamente il giudice a quo omesso di attribuire alla predetta dichiarazione stragiudiziale del contribuente il valore di prova legale in ordine alla circostanza che lo stesso M. fosse il creditore sostanziale dei corrispettivi pagati dai terzi acquirenti degli appartamenti in questione ed avesse incassato i relativi importi tramite il genero, che, adempiendo all’incarico di tramite affidatogli dallo stesso contribuente, li aveva riscossi e glieli aveva consegnati, senza peraltro trattenerne nessuna parte.
4. I motivi di ricorso, oggettivamente connessi e reciprocamente interferenti, vanno trattati congiuntamente. Essi sono ammissibili (perchè, a differenza di quanto eccepito dal controricorrente, non sollecitano una mera rivisitazione in fatto degli elementi della fattispecie) ed autosufficienti (per i rinvii ai relativi atti istruttori, per la maggior parte riprodotti nello stesso ricorso).
Inoltre, con le precisazioni che seguono, il secondo ed il terzo motivo sono inoltre anche fondati, mentre il primo va rigettato.
4.1. E’ opportuno premettere che il rigetto dell’appello da parte della CTR si fonda, sinteticamente, sulle seguenti argomentazioni:
a) le sole dichiarazioni rese dai terzi ai verbalizzanti non sarebbero sufficienti a provare che il contribuente fosse “l’effettivo destinatario o beneficiario degli assegni contestati” e quale fosse “il momento effettivo dell’incasso” di tali corrispettivi, per la parte di essi oggetto dell’accertamento, riferito all’anno d’imposta 2004;
b) la stessa Agenzia nell’atto impositivo ha dedotto che i corrispettivi accertati sarebbero stati pagati dai terzi acquirenti al genero del contribuente, così “ingenerando non poca confusione sul presunto autore della violazione”.
Tanto premesso, si può anche convenire con il controricorrente che, negando in giudizio di aver mai ricevuto gli importi pagati dai terzi acquirenti, sul piano logico egli abbia implicitamente, ma necessariamente, negato anche che l’incasso sia avvenuto nell’anno d’imposta accertato (come, del resto, in qualsiasi altro periodo temporale), per cui non è incorsa in ultrapetizione la CTR, nella parte in cui ha rilevato la mancata prova circa “il momento effettivo dell’incasso”, cosicchè il primo motivo va respinto.
Tuttavia, va precisato che il contribuente (così come risulta dallo svolgimento del processo esposto nella sentenza impugnata, senza che emerga diversamente dal controricorso) non risulta aver proposto e reiterato questioni relative all’esercizio di competenza fiscale cui imputare l’incasso in questione ai fini della composizione del reddito imponibile, o di decadenza dell’Ufficio dalla potestà impositiva, per cui la circostanza del “momento” dell’incasso della quota dei corrispettivi controversi viene sostanzialmente a coincidere con quella dell'”effettività” della loro percezione, nel senso che il quando non assume autonomo rilievo, se non per la sua coordinazione con le risultanze dei vari dati istruttori, ai fini dell’accertamento dell’an. In sintesi, quindi, per quanto qui rileva, era onere dell’Agenzia dare prova che, nell’anno d’imposta accertato, il contribuente avesse percepito redditi non dichiarati, incassando parte dei corrispettivi delle alienazioni ai terzi degli appartamenti in questione, le quali si collocavano nella complessiva operazione immobiliare già descritta 4.2. La CTR, nell’escludere che tale prova fosse stata fornita, ha innanzitutto omesso di esaminare il contenuto delle dichiarazioni rese ai verbalizzanti dallo stesso contribuente (che l’Ufficio ricorrente ha pure riprodotto nel ricorso), che pure, nella parte della sentenza relativa ai fatti del giudizio, aveva menzionato, quale contenuto dell’atto impositivo.
La natura potenzialmente decisiva delle circostanze dichiarate emerge dall’ammissione, da parte del contribuente, di elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria controversa, specialmente in ordine all’acquisizione effettiva, da parte del contribuente, prima della piena disponibilità degli immobili successivamente trasferiti, e poi dell’intero ricavato della vendita degli stessi beni ai terzi acquirenti.
Dato, quest’ultimo, che – laddove faccia emergere chi abbia infine concretamente percepito la ricchezza da sottoporre ad imposizione, anche nella parte oggetto dei titoli di credito- può assorbire logicamente la questione della formale intestazione, della negoziazione e dell’incasso degli assegni, bancari o circolari, utilizzati dai terzi acquirenti per il pagamento dei corrispettivi, posta nella motivazione della sentenza impugnata (fermo restando, peraltro, che la prova del mancato incasso dell’assegno va rimessa al creditore, ovvero nel caso di specie al contribuente: cfr. Cass. 30/07/2009, n. 17749).
Tanto premesso in ordine al contenuto della predetta dichiarazione del contribuente alla Guardia di Finanza, che il giudice a quo ha omesso di valutare, deve aggiungersi che, ai fini istruttori, essa, come deduce l’Amministrazione ricorrente, assume la natura di confessione stragiudiziale, ai sensi dell’art. 2735 c.c., costituendo pertanto prova non già indiziaria, ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti del contribuente che l’ha resa, non abbisognevole, come tale, di ulteriori riscontri (Cass. 21/12/2005, n. 28316; nello stesso senso cfr. Cass. 24/10/2014, n. 22616; Cass. 25/05/2007, n. 12271; Cass. 26/01/2004, n. 1286).
Ulteriori riscontri che comunque, nel caso di specie, il giudice a quo avrebbe dovuto e potuto valutare innanzitutto esaminando le dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza dai medesimi terzi acquirenti, che assumono, sul piano probatorio, valenza indiziaria (Cass. 19/11/2018, n. 29757; nello stesso senso, ex plurimis, Cass. 05/10/2018, n. 24461; Cass. 16/03/2018, n. 6616; Cass. 24/11/2017, n. 28060; Cass. 07/04/2017, n. 9080; Cass. 09/08/2016, n. 16711, proprio in materia di accertamento fondato sulle dichiarazioni di più acquirenti di beni immobili), e non mera “fonte di innesco di altre indagini mirate”, come erroneamente argomentato dalla CTR.
Inoltre, il giudice a quo avrebbe dovuto e potuto comunque valutare, inserendola nel quadro istruttorio composto dai mezzi di prova sinora descritti, anche la documentazione a supporto, indicata ed in parte anche riprodotta nel ricorso erariale.
Pertanto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021