Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.615 del 15/01/2021

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Spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicchè il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di Sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2775/2019 proposto da:

SORGENTI S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 128, presso lo studio dell’avvocato STEFANO PIRAS, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO SFERRAZZA, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, e VINCENZO STUMPO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4038/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/06/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/12/2020 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Paolo Pontecorvi, per delega dell’avvocato Stefano Piras, Vincenzo Stumpo e Federica Vallone, per l’Avvocatura Generale dello Stato.

FATTI DI CAUSA

1. La società Sorgenti in liquidazione (incorporante per fusione della GAM Unipersonale srl e della Fonti del Tigullio Bognasco srl in liquidazione), aveva convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e l’INPS – Istituto della Previdenza Sociale – per chiederne la condanna al risarcimento del danno conseguito alla condotta omissiva del Ministero rispetto alla richiesta di intervento della Cassa integrazione guadagni straordinaria (anche CIGS, di seguito) per crisi aziendale, presentata in data 25 febbraio 2002. L’attrice aveva quantificato il danno in Euro 3.985.217,00 e, in via subordinata, aveva domandato la condanna dell’INPS al rimborso delle retribuzioni anticipate da essa attrice e dalla GAM in relazione ai periodi di sospensione dell’attività lavorativa per i quali non era stato concesso il beneficio assistenziale.

2. Il Tribunale, respinta la domanda proposta nei confronti dell’Inps, aveva accolto la domanda proposta nei confronti del Ministero limitatamente alla voce di danno corrispondente alle retribuzioni interessate dalle istanze di ammissione al regime della CIGS, oltre accessori.

3. La Corte di Appello di Roma, adita in via principale dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e, in via incidentale dalla Sorgenti srl in liquidazione, ha accolto l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, formulata dall’appellante principale, ha annullato la sentenza di primo grado e ha dichiarato la giurisdizione del Giudice Amministrativo, individuandolo nel TAR del Lazio.

4. Essa, ricostruiti gli istituti della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, ha ritenuto che i provvedimenti autorizzativi o concessori di competenza, rispettivamente dell’Inps e del Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali, si compendiano nell’esercizio di attività amministrativa discrezionale in quanto sono fondati non solo su valutazioni tecniche ma su scelte di natura politico-sociale correlate alla ponderazione dell’interesse pubblico che presiede al governo dell’economia, in tutti i suoi riflessi sociali, occupazionali e produttivi.

5. Ha, quindi, affermato che rispetto a poteri di tal fatta la posizione del privato (datore di lavoro e lavoratore) è di interesse legittimo, con conseguente attribuzione della controversia relativa ai rapporti che traggono origine dal provvedimento autorizzatorio (o concessorio) alla giurisdizione del giudice amministrativo e che solo successivamente all’emanazione di siffatto provvedimento la posizione del datore di lavoro assume la consistenza di diritto soggettivo all’erogazione del trattamento ed al rimborso delle spese anticipate ai lavoratori, con conseguente attribuzione della relativa controversia alla cognizione del giudice ordinario.

6. La Corte territoriale, rilevato che nel caso di specie non era stato adottato alcun provvedimento di ammissione alla CIGS, ha qualificato la posizione della società come di interesse legittimo; ha ritenuto irrilevanti, ai fini di tale qualificazione, le circostanze di fatto dedotte dalla società concernenti le vicende fattuali che avevano preceduto la domanda di ammissione alla CIGS e la inerzia tenuta dal Ministero nei confronti delle istanze della stessa società; ha ritenuto, al riguardo, che quest’ultima avrebbe dovuto esperire la procedura disciplinata dalla L. n. 205 del 2000, art. 2, avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione.

7. Escluso, poi, che il riparto di giurisdizione possa fondarsi sul criterio della materia o, meglio, dei “blocchi di materia”, la Corte territoriale ha affermato che il risarcimento del danno non costituisce una “materia” ma uno strumento di tutela ulteriore, attribuito al giudice amministrativo per rendere piena ed effettiva la tutela dell’interesse legittimo.

8. Avverso questa sentenza la società Sorgenti s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria, cui hanno resistito con controricorso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e l’INPS.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi.

9. La ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, violazione dei principi in materia di giurisdizione (primo motivo) e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (secondo motivo).

10. Addebita alla Corte territoriale di avere errato nel qualificare la posizione di essa ricorrente come di interesse legittimo sul rilievo che non era intervenuto il provvedimento di ammissione alla CIGS; evidenzia di non avere inteso affatto contestare la discrezionalità dell’atto con il quale la P.A. autorizza la CIGS, ma la condotta tenuta dal Ministero dal momento della sua partecipazione agli incontri propedeutici alla concessione della prima richiesta di mobilità fino alla seconda domanda di licenziamento collettivo e, in particolare, il comportamento del Ministero, rimasto inerte rispetto alla richiesta di ammissione alla CIGS nonostante avesse sollecitato, nel corso della procedura di mobilità, l’attivazione del procedimento per la richiesta di intervento della CIGS, e avesse assicurato che questa sarebbe stata concessa; asserisce che il Ministero, omettendo di pronunciarsi sulla domanda di ammissione alla CIGS, aveva violato il principio del neminem ledere in quanto aveva tenuto una condotta non conforme agli obblighi di correttezza e buona fede; sostiene che la domanda risarcitoria, per essere stata fondata sulla violazione dei predetti principi, doveva essere conosciuta dal giudice ordinario e non dal giudice amministrativo (primo motivo); imputa alla Corte territoriale di non avere affrontato il problema dell’inerzia del Ministero e di avere, invece, fatto riferimento alla mancata attivazione da parte di essa società della procedura prevista dalla L. n. 205 del 2000, art. 2 (secondo motivo).

Esame dei motivi.

11. I motivi del ricorso, da esaminarsi congiuntamente in ragione della intima connessione che avvince le censure, devono essere accolti.

12. Tra le parti è indiscusso che (ricorso per cassazione, pgg. 4-6, “IL FATTO ANTECEDENTE”, controricorso Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, pgg 2-3) a fondamento della domanda risarcitoria proposta con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, l’odierna ricorrente, aveva dedotto che: era proprietaria di stabilimenti di captazione e di imbottigliamento delle acque minerali in diverse Regioni e che a causa di un periodo di crisi economica, aveva avviato distinte procedure di mobilità per licenziare tutto il personale e cessare l’attività; il Ministero e le Regioni Lazio e Liguria avevano partecipato agli incontri propedeutici alla mobilità e avevano pressato essa società perchè revocasse i licenziamenti e proponesse domanda di intervento della CIGS; a fronte di siffatte sollecitazioni e delle rassicurazioni ricevute, essa società l’11 febbraio 2002 aveva sottoscritto un accordo sindacale, che aveva previsto il collocamento in CIGS tutti i dipendenti dello stabilimento ***** e la confluenza di tutte le attività da mantenere in una nuova società (essa ricorrente era stata posta in liquidazione in data antecedente la stipula dell’accordo sindacale a causa delle forti perdite economiche maturate negli esercizi 1999 e 2000, che avevano reso necessaria la liquidazione e la procedura di mobilità); in adempimento dell’accordo sindacale essa ricorrente aveva revocato i licenziamenti, aveva costituito la società GAM srl Unipersonale (interamente partecipata e diretta e alla quale l’azienda era stata data in affitto), aveva ricercato nuovi partners commerciali e aveva presentato l’istanza di intervento della CIGS; il Ministero del Lavoro era rimasto inerte e non aveva dato alcun riscontro, nè positivo nè negativo, alle richieste di ammissione alla CIGS formulate da essa Sorgenti e dalla GAM per i dipendenti degli stabilimenti di ***** e per quelli dello stabilimento “*****” situato a *****; in difetto di operatività anche la GAM era stata posta in liquidazione, era stata avviata la procedura per la sua incorporazione nella Sorgenti, già trasformata in s.r.l., ed erano state avviate, con comunicazioni del 30 aprile-21 maggio 2003, le nuove procedure di mobilità per il licenziamento di tutto il personale dipendente; essa ricorrente, nel periodo compreso tra la sottoscrizione dell’accordo dell’11.2.2002 e il secondo licenziamento collettivo, aveva corrisposto ai suoi dipendenti le retribuzioni e aveva sopportato inutilmente oneri economici per proseguire l’attività in attesa del provvedimento autorizzativo di CIGS, mai pervenuto.

13. Ciò su cui le parti controvertono è la sola questione di giurisdizione. Da una parte, la società ricorrente assume che la controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario in quanto l’oggetto della domanda giudiziale è costituito dal risarcimento dei danni derivanti dal mancato rispetto dell’affidamento ingenerato dalla condotta tenuta dal Ministero nella fase antecedente l’istanza di intervento della CIGS. Il Ministero, dall’altra parte, asserisce che la controversia rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo sul rilievo della assenza di un provvedimento autorizzatorio (o concessorio) della CIGS.

14. E’ evidente che le prospettazioni difensive sviluppate dalle parti per affermare (la società ricorrente) o negare (il Ministero) la configurabilità di un legittimo affidamento nel comportamento del Ministero sono irrilevanti ai fini della pronuncia sulla questione di giurisdizione in quanto attengono al merito della controversia. Ai sensi dell’art. 386 c.p.c., la decisione sulla giurisdizione è, infatti, determinata dall’oggetto della domanda e non pregiudica le questioni di merito relative alla sussistenza o meno del diritto della società al risarcimento dei danni.

15. Tanto precisato, deve essere osservato che queste Sezioni Unite hanno più volte affermato che la giurisdizione va determinata sulla base della domanda e che, ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non già la prospettazione compiuta dalle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice quanto, piuttosto, della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati (tra le molte, Cass. Sez. Un. 20 novembre 2020 n. 26500, Cass. Sez. Un. 28 febbraio 2019 n. 6040, Cass. Sez. Un. 21 dicembre 2018 n. 33212, Cass. Sez. Un. 13 novembre 2018 n. 29081, Cass. Sez. Un. 8 giugno 2016 n. 11711, Cass. Sez. Un. 23 settembre 2013 n. 21677, Cass. Sez. Un. 25 giugno 2010 n. 15323).

16. Con specifico riguardo al riparto della giurisdizione nella materia della Cassa integrazione guadagni, ordinaria e straordinaria, è altrettanto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per il quale, in linea generale, in materia di integrazione salariale, la posizione soggettiva del datore di lavoro di ammissione alla cassa integrazione ordinaria o straordinaria, diviene di diritto soggettivo dopo l’adozione del provvedimento di concessione (o autorizzazione) del trattamento, mentre, quando non sia stato ancora adottato alcun provvedimento, la posizione medesima è di interesse legittimo ed è tutelabile soltanto davanti al giudice amministrativo (Cass. Sez. Un. 20 giugno 1987 n. 5454Cass. Sez. Un. 28 aprile 1989 n. 2034, Cass. Sez. Un. 10 agosto 1989 n. 3679, Cass. Sez. Un. 12 ottobre 1990 n. 10016, Cass. Sez. Un. 5 febbraio 1999 n. 30, Cass. Sez. Un. 10 agosto 2005 n. 16780, Cass. Sez. Un. 27 gennaio 2006 n. 1732, Cass. Sez. Un. 11 aprile 2006 n. 8376, Cass. Sez. Un. 11 gennaio 2007 n. 310, Cass. Sez. Un. 30 agosto 2018 n. 21435, Cass. Sez. Un. 25 febbraio 2019 n. 5455, le ultime due in materia di mobilità in deroga).

17. Con riferimento a specifiche vicende fattuali, queste Sezioni Unite hanno precisato:

18. Cass. Sez. Un. 15 luglio 1991 n. 7837: nei riguardi della pubblica amministrazione competente ad autorizzare l’integrazione salariale (INPS quanto all’integrazione ordinaria e Ministero del lavoro quanto alla straordinaria), i lavoratori e il datore di lavoro, prima o in mancanza dell’emanazione dell’atto autorizzativo (caratterizzato da discrezionalità amministrativa anche nel caso d’integrazione ordinaria), hanno una posizione solo indirettamente tutelata e perciò d’interesse legittimo, sorgendo il diritto soggettivo del lavoratore (all’integrazione salariale) e del datore di lavoro (al rimborso delle somme a tal titolo anticipate ai dipendenti) solo dal provvedimento autorizzativo dell’intervento della C.I.G.; pertanto, mentre appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative ai rapporti che traggono origine dal suddetto provvedimento, spettano invece alla cognizione del giudice amministrativo le controversie volte all’impugnazione del provvedimento amministrativo di diniego dell’autorizzazione, ancorchè la contestazione di tale atto sia finalizzata alla realizzazione del diritto del datore di lavoro al rimborso delle integrazioni anticipate.

19. Cass. Sez. Un. 11 gennaio 2007 n. 310: in materia di integrazione salariale, le posizioni di diritto soggettivo nascenti, a favore dei privati, dal provvedimento di ammissione dell’impresa alla cassa integrazione guadagni degradano, di nuovo, a posizioni di interesse legittimo – con conseguente devoluzione delle relative controversie al giudice amministrativo – qualora intervengano atti amministrativi di annullamento o di revoca di tale provvedimento, trattandosi di atti che sono espressione del potere discrezionale esercitato dall’Amministrazione nell’ambito della tutela dell’interesse pubblico ad essa affidato.

20. Cass. Sez. lav. 27 gennaio 2006 n. 1732 e Cass. sez. lav. 11 dicembre 2009 n. 26047: in materia di integrazione salariale, le posizioni di diritto soggettivo nascenti, a favore dei privati, dal provvedimento di ammissione dell’impresa alla cassa integrazione guadagni degradano, di nuovo, a posizioni di interesse legittimo – con conseguente devoluzione delle relative controversie al giudice amministrativo – qualora intervengano atti amministrativi di annullamento o di revoca di tale provvedimento, trattandosi di atti che sono espressione del potere discrezionale esercitato dall’Amministrazione nell’ambito della tutela dell’interesse pubblico ad essa affidato. Qualora il provvedimento di ritiro intervenga nel corso di un giudizio che la parte privata abbia instaurato correttamente – in quanto titolare di un pregresso diritto soggettivo – dinanzi al giudice ordinario, viene a radicarsi la giurisdizione e la competenza a decidere la controversia da parte dello stesso giudice, ai sensi dell’art. 5 c.p.c.. Ove venga denunciata davanti al medesimo giudice l’illegittimità del provvedimento sopravvenuto, non può venire in questione l’istituto della disapplicazione, poichè ciò che, sostanzialmente, diviene oggetto di discussione è l’esercizio del potere di autotutela e oggetto dell’azione del privato è non già la tutela di una sua posizione di diritto soggettivo tuttora perdurante ma la rimozione dell’atto amministrativo (di annullamento o di revoca), di modo che sia reintegrata, a tutti gli effetti, la posizione di diritto soggettivo (venuta meno) della quale era precedentemente titolare. In tale contesto, pertanto, il giudice ordinario non può dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, ma solo decidere sulla base della situazione attuale di fatto e di diritto (sopravvenuto annullamento o revoca del decreto di concessione della C.I.G. e, dunque, insussistenza in capo al privato delle posizioni di diritto soggettivo delle quali chiede la tutela sulla base del provvedimento autorizzativo), salva l’eventuale sospensione del processo, ex art. 295 c.p.c., in caso di avvenuta impugnazione dell’atto di annullamento (o di revoca) dinanzi al giudice amministrativo;

21. Cass. Sez. Un. 11 aprile 2006 n. 8376: la posizione soggettiva del datore di lavoro di interesse legittimo non può ritenersi modificata in ragione dell’asserita “sicura adozione” del provvedimento ammissivo, per effetto del disposto inquadramento della società istante nel settore “industria – ramo edilizia”, in quanto il solo inquadramento nel settore industria non fa discendere automaticamente il diritto alla integrazione salariale dovendo questo diritto essere deliberato dal competente organo amministrativo mediante, appunto, il provvedimento autorizzativo.

22. Ebbene, pur non potendo prescindersi dai principi affermati nelle decisioni innanzi richiamate (p. da dal n. 16 al n. 21 di questa sentenza), perchè essi ricostruiscono in modo chiaro e condivisibile la posizione delle parti private nella materia della cassa integrazione guadagni, ordinaria e straordinaria, nondimeno, la peculiarità della controversia postula, ai fini della soluzione di giurisdizione, la necessità di svolgere considerazioni ulteriori rispetto a quelle sviluppate nei richiamati precedenti giurisprudenziali.

23. Ciò che è stato denunciato dalla società ricorrente, come innanzi rilevato (cfr. pp. n. 10, n. 12 e n. 13 di questa sentenza), è, infatti, il comportamento complessivo tenuto dal Ministero nella fase propedeutica alla richiesta di ammissione alla CIGS e alla valutazione della richiesta stessa, comportamento che è privo di collegamento, anche solo mediato, con l’esercizio di un potere amministrativo in ordine alla concessione della CIGS, potere mai esercitato, come è indiscusso tra le parti.

24. E ciò che è stato domandato è il risarcimento di un danno da comportamento e non da provvedimento.

25. Tanto precisato, la soluzione della questione di giurisdizione nel caso in esame trova valido ausilio nella recente ordinanza 28 aprile 2020 n. 8236 pronunciata da queste Sezioni Unite in una fattispecie nella quale veniva in rilievo, come nel caso in esame, la questione di riparto della giurisdizione in ordine alla domanda risarcitoria del danno dedotto come cagionato non da un “provvedimento” ma dal “comportamento” della P.A..

26. Nella predetta ordinanza è stato affermato il principio secondo cui “Spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicchè il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione”.

27. All’affermazione del principio innanzi richiamato, queste Sezioni Unite sono pervenute muovendo dalle coeve ordinanze del 23 marzo 2011 nn. 6594, 6595, 6596 nelle quali è stato ritenuto che la controversia relativa ai danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, poi legittimamente annullato (ordinanza n. 6594 del 2011), ovvero sulla attendibilità della attestazione rilasciata dalla P.A., poi rivelatasi erronea (ordinanza n. 6595 del 2011), ovvero in un provvedimento di aggiudicazione, poi rivelatosi illegittimo (ordinanza n. 6596 del 2011), rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.

28. Nella ordinanza n. 8236 del 2020 è stato osservato che nelle predette ordinanze del 2011 (i cui principi erano stati ribaditi nelle decisioni delle Sezioni Unite nn. 16586/2015, 12799/2017, 15640/2017, 1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019 e 12635/2019) l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario sulle domande risarcitorie poggiava sul rilievo che esse avevano ad oggetto la lesione non già di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto soggettivo, generalmente qualificato come “diritto alla conservazione dell’integrità del patrimonio” leso dalle scelte compiute confidando nella legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato.

29. Principi che, pur con alcune puntualizzazioni (infra, pp. dal n. 41 al n. 43 di questa sentenza), sono stati ribaditi in confronto attento e puntuale con le pronunce di segno opposto delle Sezioni Unite nn. 8057/2016, 13454/2017, 13194/2018, in cui risulta, invece, affermata la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda risarcitoria per lesione dell’affidamento riposto nella legittimità dell’atto amministrativo poi annullato. Affermazione questa che muove dal duplice rilievo che ciò che veniva in discussione era l’agire provvedimentale nel suo complesso e che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si giustifica in ragione del contesto, o dell’ambiente, di stampo pubblicistico, nel quale la complessiva condotta dell’amministrazione si colloca e che connette tale condotta con l’esercizio del potere.

30. L’adesione all’orientamento espresso nelle sopra richiamate ordinanze del 2011 e nelle successive decisioni conformi è stata spiegata, tra l’altro, rilevando che nel caso in cui, secondo la domanda dell’attore, il comportamento della pubblica amministrazione abbia leso l’affidamento del privato, perchè non conforme ai canoni di correttezza e buona fede, non sussiste alcun collegamento nemmeno mediato tra il comportamento dell’amministrazione e l’esercizio del potere.

31. Ed è stato osservato che il comportamento dell’amministrazione rilevante ai fini dell’affidamento del privato “si pone – e va valutato – su un piano diverso rispetto a quello della scansione degli atti procedimentali che conducono al provvedimento con cui viene esercitato il potere. Detto comportamento si colloca in una dimensione relazionale complessiva tra l’amministrazione e il privato, nel cui ambito un atto provvedimentale di esercizio del potere amministrativo potrebbe mancare del tutto (come nel caso oggetto del presente giudizio) o, addirittura essere legittimo, così da risultare “un frammento legittimo di un mosaico connotato da una condotta complessivamente superficiale, violativi dei più elementari obblighi di trasparenza, di attenzione, di diligenza, al cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti diritti soggettivi di stampo privatistico (così Cons. Stato n. 5/2018, già citata p.33)””.

32. E’ stato anche precisato che i principi enunciati dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 valgono non soltanto nel caso di domande di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento derivante dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche, e a maggior ragione, nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicchè, in definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un comportamento mero dell’amministrazione.

33. Tanto sulla scorta della considerazione che in questo caso l’amministrazione non ha realizzato alcun atto di esercizio del potere amministrativo e il rapporto tra la stessa ed il privato si gioca interamente sul piano del comportamento (“dimensione relazionale complessiva tra l’amministrazione ed il privato”), non esistendo, appunto, alcun provvedimento amministrativo a cui astrattamente imputare la lesione di un interesse legittimo.

34. L’ordinanza n. 8236 del 2020 ha, infine affermato, con attenta analisi delle disposizioni contenute nell’art. 7 e art. 30, comma c.p.a. di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010, che i principi affermati nelle ordinanze nn. 6594, 6595, e 6596 del 2011, rese con riferimento alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 80 del 1998 (che regola “ratione temporis anche la vicenda oggi sottoposta all’attenzione di questo Collegio, che si colloca in epoca antecedente alla entrata in vigore del c.p.a. di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010) non hanno perso di attualità a causa dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 104 del 2010.

35. Il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nella ordinanza n. 8236 del 20020 sopra richiamata, perchè condivide tutte le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., non contrastate dai controricorrenti.

36. Tutte le argomentazioni motivazionali costituiscono, infatti, lo sviluppo di principi della giurisprudenza di questa Corte e di quella amministrativa (Cons. Stato Adunanza Plenaria n. 5 del 2018) in materia di riparto della giurisdizione e sono saldamente ancorate all’art. 103 Cost., comma 1 e ai principi affermati dalla Corte Costituzionale, la quale ha radicato la giurisdizione anche esclusiva del giudice amministrativo nell’avvenuto esercizio da parte della pubblica amministrazione di poteri amministrativi che si siano estrinsecati in atti unilaterali autoritativi, o in atti consensuali sostitutivi o integrativi del potere autoritativo (C. Cost. n. 204 del 2004), ovvero nei comportamenti collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di poteri pubblici che costituiscono esecuzione di atti provvedimenti amministrativi e sono riconducibili all’esercizio del potere dell’Amministrazione (C. Cost. n. 191/2006) e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio (C. Cost. n. 35 del 2010).

37. La ricostruzione contenuta nella ordinanza n. 8236 del 2020 poggia sul rilievo che la causa petendi della domanda non era costituita dal ritardo della P.A. nel provvedere (negativamente o positivamente), ma era fondata sulla violazione dell’affidamento ingenerato dalla amministrazione in un determinato esito, favorevole alla attrice, del procedimento e rileva che la pretesa aveva ad oggetto un danno causato non da atti o provvedimenti ma dal comportamento tenuto dalla P.A. tale da ingenerare un incolpevole affidamento nel rilascio del permesso, poi deluso, dal diniego finale.

38. Essa, quindi, lungi dal costituire, come, invece, annotato da attenta dottrina, la riedizione della teoria della prospettazione, dà applicazione al principio più volte affermato da queste Sezioni unite (cfr. supra p. n. 15 di questa sentenza) secondo cui la giurisdizione va determinata sulla base della domanda e che, ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non già la prospettazione compiuta dalle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice quanto, piuttosto, della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati.

39. L’ordinanza, inoltre, tiene ben ferma la differenza tra le regole pubblicistiche e quelle privatistiche, in conformità all’orientamento giurisprudenziale espresso dal Cons. Stato nella sentenza n. 5 del 2018 (si legga anche la più recente nella sentenza n. 7237 del 2020), secondo cui “nell’ambito del procedimento amministrativo (e del procedimento di evidenza pubblica in particolare) regole pubblicistiche e regole privatistiche non operano, dunque, in sequenza temporale (prime le une e poi le altre o anche le altre). Operano, al contrario, in maniera contemporanea e sinergica, sia pure con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione. Le regole di diritto pubblico hanno ad oggetto il provvedimento (l’esercizio diretto ed immediato del potere) e la loro violazione determina, di regola, l’invalidità del provvedimento adottato. Al contrario, le regole di diritto privato hanno ad oggetto il comportamento (collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere) complessivamente tenuto dalla stazione appaltante nel corso della gara. La loro violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità. Non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A. le regole di correttezza e buona fede non sono regole di validità (del provvedimento), ma regole di responsabilità (per il comportamento complessivamente tenuto)”.

40. Chiarisce, infatti, che la lesione discende non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo che si estrinseca nel provvedimento, bensì dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui si deve uniformare il comportamento dell’amministrazione; regole la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità.

41. L’ordinanza Cass. Sez. Un. 8236 del 2020 ha anche affermato, come già evidenziato, che la situazione soggettiva del privato lesa dalla delusione delle aspettative generate dal comportamento della pubblica amministrazione non si identifica “nel diritto soggettivo alla conservazione dell’integrità del patrimonio”, priva in sè di autonoma consistenza perchè il patrimonio di un soggetto è l’insieme di tutte le situazioni soggettive, aventi valore economico, che al medesimo fanno capo, sicchè la conservazione dell’integrità del patrimonio altro non è che la conservazione di ciascuno dei diritti e delle altre situazioni soggettive che lo compongono e si risolve in una formula descrittiva che unifica in una sintesi verbale la pluralità delle situazioni soggettive che fanno capo ad un soggetto.

42. Manifestando, in modo esplicito, di volere dare continuità ai principi affermati nelle ordinanze nn. 6594, 6595, e 6596 del 2011 e in quelle successive conformi, ha precisato che la responsabilità da lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la pubblica amministrazione deve essere qualificata come responsabilità da contatto sociale, qualificato dallo status della pubblica amministrazione, soggetto tenuto all’osservanza della legge come fonte di legittimità dei propri atti. Ed ha spiegato che il rapporto tra il privato e la pubblica amministrazione deve essere inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni “in conformità dell’ordinamento giuridico” (art. 1173 c.c.), dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazioni, ma reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, in virtù degli artt. 1175 c.c. (correttezza), art. 1176 c.c. (diligenza) e art. 1337 c.c. (buona fede).

43. Essa, inoltre, ha ricondotto la responsabilità relazionale o da contatto sociale qualificato allo schema della responsabilità contrattuale, precisando che tale inquadramento non si riferisce al contratto come atto ma al rapporto obbligatorio, pur quando esso non abbia fonte in un contratto.

44. Il Collegio ritiene di condividere anche siffatta ricostruzione e fa proprie, condividendole, tutte le argomentazioni motivazionali che la sorreggono, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., non contrastate dai controricorrenti.

45. Va osservato, in primo luogo, che la ricostruzione della responsabilità da lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la pubblica amministrazione in termini di responsabilità da contatto sociale trova forte radicamento nell’art. 1173 c.c., che prevede che “le obbligazioni derivano da contratto o da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”.

46. Il Collegio osserva al riguardo che gli obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, imposti dall’art. 1175 c.c. (correttezza), art. 1176 c.c. (diligenza) e art. 1337 c.c. (buona fede) hanno ormai assunto una funzione ed un ambito applicativo più ampi rispetto a quella concepiti dal codice civile del 1942, e non possono essere più considerati strumentali solo alla conclusione di un contratto valido e socialmente utile, ma anche alla tutela del diritto, di derivazione costituzionale (art. 41 Cost., comma 1), di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenza illecite derivante da condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza.

47. L’ordinanza n. 8236 del 2020, inoltre, fa leva sulla considerazione che le disposizioni contenute nella L. n. 241 del 1990 (artt. 21 quinquies, 21 nonies, art. 2 bis, comma 1), pur disciplinando direttamente l’azione amministrativa, la cui violazione inficia la stessa legittimità dell’atto amministrativo, nondimeno vengono in rilievo per il loro carattere sistematico, che orienta progressivamente il nostro ordinamento verso un’idea di “diritto amministrativo paritario” nei casi in cui il danno derivi non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo, ma dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui la pubblica amministrazione è tenuta a conformarsi al pari di qualunque altro soggetto.

48. E la nozione di diritto amministrativo paritario risulta ancorata all’art. 97 Cost., che postula un modello di pubblica amministrazione permeato dai principi di correttezza e di buona amministrazione e un comportamento dei pubblici poteri consapevole dell’impatto che l’azione amministrativa produce sempre sulla sfera dei cittadini e delle imprese e che per questo deve essere orientato al confronto leale e rispettoso della libertà di determinazione negoziale dei privati.

49. Infine, il riferimento operato ai principi di diritto comunitario (sono state richiamate richiamate CGUE 3 maggio 1978 C12/77 Topfer, CGUE 14.3.2013 C545/2011 Agrargenossenschaft Neuzelle, CGUE 23 gennaio 2019 C-419/17, Deza a.s.) è apprezzabile perchè attribuisce alla Pubblica Amministrazione una dimensione Europea, evocata in modo espresso dal legislatore interno anche nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, che finalizza l’azione amministrativa alla efficienza, ponendola in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dell’Unione Europea (così Cass. sez. lav. 20 giugno 2016 n. 12678).

50. In conclusione, in continuità con il principio affermato dalla ordinanza n. 8236 del 2020, deve, quindi, ribadirsi che: “Spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicchè il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione”.

51. Questi principi trovano applicazione alla fattispecie in esame perchè, come già rilevato, la controversia ha ad oggetto la pretesa risarcitoria del danno che la società ricorrente ha fondato sulla avvenuta lesione dell’affidamento riposto dalla società ricorrente nel comportamento tenuto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella conduzione e nella gestione della procedura di mobilità, che precedette la richiesta di ammissione alla CIGS, che la ricorrente assume essersi compendiato in comportamenti difformi dai canoni di correttezza e buona fede, comportamenti questi privi di collegamento, anche solo mediato, con l’esercizio, mai attuato, del potere amministrativo correlato alla ammissione al trattamento di CIGS.

52. Pertanto, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario e, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e le parti vanno rimesse innanzi alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione che farà applicazione del principio di diritto che segue, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità:

53. “In materia di cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa alla pretesa risarcitoria dell’imprenditore, fondata sulla lesione dell’affidamento riposto nella condotta della pubblica amministrazione, assunta come difforme dai canoni di correttezza e buona fede. La responsabilità della P.A. per il danno prodotto all’imprenditore quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione), inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicchè il datore di lavoro abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione”.

P.Q.M.

La Corte;

dichiara la giurisdizione del giudice ordinario Cassa la sentenza impugnata e rimette le parti alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021

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