LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente f.f. –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente di Sez. –
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente di Sez. –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso, iscritto al N.R.G. 4867/2019 proposto da:
L.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato Antonio Carullo;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, con domicilio eletto presso l’Ufficio in Roma, via Baiamonti, n. 25;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Corte dei Conti, Sezione Prima giurisdizionale centrale d’appello, n. 230-2018, depositata in data 9 luglio 2018.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12 gennaio 2021 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Procuratore Generale Aggiunto Dott. SALVATO Luigi, che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
FATTI DI CAUSA
1. – La Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Emilia Romagna ha convenuto in giudizio L.M., consigliere regionale, per sentirlo condannare al risarcimento del danno erariale, per l’indebito rimborso, in suo favore, di una serie di spese ritenute estranee al mandato, effettuate negli anni 2011 e 2012, a valere sui fondi del gruppo consiliare di appartenenza.
2. – Con sentenza n. 23 del 1 febbraio 2017, l’adita Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei Conti lo ha condannato al pagamento, in favore della Regione Emilia Romagna, del 50% della somma complessiva di Euro 33.719,33, oltre accessori.
3. – La Sezione giurisdizionale centrale di appello della Corte dei conti, con sentenza resa pubblica in data 9 luglio 2018, in parziale accoglimento dell’appello, ha ridotto la condanna a Euro 16.156,70, oltre accessori.
A sostegno della decisione il giudice d’appello ha evidenziato: che i consiglieri regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto, soggiacciono alla responsabilità amministrativo-contabile per il danno cagionato dall’illecita utilizzazione dei fondi destinati al gruppo;
– che il principio di autonomia dell’organo regionale non incide, elidendolo, sull’obbligo di rispettare il vincolo di destinazione dei contributi erogati ai gruppi consiliari, la cui violazione può essere accertata in sede giurisdizionale nei confronti del responsabile, non essendo ravvisabile alcun profilo di immunità costituzionalmente garantita;
che l’autodeterminazione della spesa non può mai prescindere dall’obbligo di documentazione e giustificazione della stessa secondo le precipue finalità istituzionali, perchè la gestione è sempre soggetta a controllo, anche giurisdizionale, trattandosi di risorse pubbliche;
che non è configurabile violazione del principio del ne bis in idem: sia perchè nulla è stato dedotto circa il coinvolgimento del L. in un giudizio penale relativo agli stessi fatti oggetto del procedimento di responsabilità amministrativa, per il medesimo periodo; sia perchè le diverse azioni, quella penale e quella di responsabilità amministrativa, sono del tutto autonome e perseguono finalità in parte diverse, ancorchè i fatti materiali posti a fondamento dell’una e dell’altra possano parzialmente coincidere;
nel merito, che sussiste l’elemento oggettivo del danno erariale, essendo state poste, a carico dei fondi attribuiti al gruppo, spese non rimborsabili, documentate in maniera talmente generica da non consentire alcuna verifica della necessaria inerenza alle attività del gruppo.
4. – Per la cassazione della sentenza della Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale centrale d’appello, ha proposto ricorso L.M., con atto notificato il 7 febbraio 2019, sulla base di due motivi.
Ha resistito, con controricorso, il Procuratore generale rappresentante il pubblico ministero presso la Corte dei Conti.
5. – Il ricorso per cassazione è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
Il Procuratore generale della Corte di cassazione ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
In prossimità della adunanza camerale il ricorrente ha depositato una memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1) e dell’art. 362 c.p.c., difetto assoluto di giurisdizione del giudice contabile, sul rilievo che la vicenda atterrebbe a questioni riservate all’autonomia politica dei componenti dell’organo legislativo regionale, sottratte a un sindacato nel merito delle scelte discrezionali rimesse all’autonomia politica dei gruppi consiliari, con conseguente violazione dei limiti esterni della giurisdizione contabile.
Premette il ricorrente che la disciplina legislativa regionale vigente all’epoca dei fatti (la L.R. Emilia Romagna 8 settembre 1997, n. 32, recante Finanziamento dei gruppi consiliari, prima delle modifiche introdotte dalla L.R. 21 dicembre 2012, n. 17) affidava alla competenza esclusiva del Consiglio regionale i controlli sulla gestione dei contributi erogati ai gruppi, demandando ad un comitato tecnico, costituito da revisori ufficiali dei conti, il controllo sulla regolarità dei rendiconti. Si tratterebbe di un controllo autosufficiente, inerente alla funzione tipica dell’Assemblea, sottratto a qualsiasi forma di sindacato giurisdizionale, anche contabile, se questo sia inteso quale censura alle modalità di individuazione delle categorie di spesa ammissibili così come individuate dall’Assemblea.
Osserva, inoltre, il ricorrente che con la Delib. n. 5 del 2012, dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea regionale erano state individuate le 16 voci di spesa ammissibili e suscettibili di gravare sul bilancio del Consiglio regionale, organo al quale, ai sensi della citata L.R. n. 32 del 1997, art. 1, comma 5, era stata demandata ogni forma di controllo, a garanzia dell’autodichia dell’Assemblea legislativa.
Deduce ulteriormente il L. che, all’epoca dei fatti, non vi sarebbe stato spazio per un controllo giurisdizionale aggiuntivo rispetto a quello riservato all’Assemblea regionale, tanto più che, ai sensi della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, è precluso al giudice contabile il sindacato nel merito delle scelte discrezionali.
La Corte dei Conti non si sarebbe limitata ad apprezzare, in astratto e con riferimento alle categorie di spese ammesse dall’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale, la compatibilità della spesa con i fini istituzionali dell’ente territoriale, ma ne avrebbe accertato l’incongruenza e l’irrazionalità entrando nel merito delle scelte con le quali, in concreto, quel fine è stato perseguito, laddove l’unico controllo consentito era quello di legittimità, che si sarebbe dovuto esaurire nel ricondurre le spese rendicontate alle tipologie di spese elencate nella Delib. Assembleare n. 5 del 2012.
Il giudice contabile avrebbe sconfinato dai limiti della propria giurisdizione per invadere indebitamente l’autonomia riservata all’Assemblea legislativa, creando, in luogo di quanto normativamente previsto di competenza esclusiva del Consiglio regionale, una norma di attribuzione di una verifica ulteriore rispetto a quella documentale, con l’effetto di sindacare nel merito spese effettuate nell’ambito delle precise indicazioni date dall’Assemblea.
Nella specie, i rendiconti delle spese sostenute dal gruppo erano già stati dichiarati regolari dal comitato tecnico per la rendicontazione dei gruppi assembleari.
L’eccesso di potere giurisdizionale della Corte dei Conti, ad avviso del ricorrente, consisterebbe nell’avere sindacato nel merito il tipo di spesa che, in via generale ed astratta, l’Assemblea aveva legittimato. Il giudice contabile avrebbe operato nell’ambito della discrezionalità riservata al Consiglio regionale e ai suoi organi, tutelata costituzionalmente dall’art. 122 Cost., comma 4, sconfinando nell’ambito delle scelte discrezionali e di merito riservate all’autonomia politica dei gruppi.
1.1. – Il motivo, con cui si fa valere il vizio di eccesso di potere giurisdizionale, è scrutinabile, dovendosi escludere, così disattendendosi l’eccezione formulata a pagina 8 del controricorso, che si sia formato un giudicato interno sul punto, per non essersi l’attuale ricorrente doluto della violazione dei limiti esterni della giurisdizione nè in primo nè in secondo grado.
La ragione della scrutinabilità del motivo è esattamente compendiata, nelle conclusioni scritte del pubblico ministero presso questa Corte (sul punto condivise dal ricorrente nella sua memoria: cfr. pagina 4), nel rilievo che, in relazione ad una sentenza astrattamente affetta dal vizio di eccesso di potere giurisdizionale, “sussiste l’interesse a farlo valere soltanto rispetto alla pronuncia di appello resa dall’organo di vertice della Corte dei Conti, la sola suscettibile di arrecare un vulnus all’integrità della sfera delle attribuzioni degli altri poteri, dell’amministrazione e del legislatore” (così, da ultimo, Cass., Sez. Un., 6 marzo 2020, n. 6462).
1.2. – Il motivo è tuttavia inammissibile per altre ragioni, perchè non sono configurabili nè il dedotto difetto assoluto nè il lamentato sconfinamento.
1.3. – Queste Sezioni Unite, in fattispecie sovrapponibili o analoghe (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2019, n. 10772; Cass., Sez. Un., 28 febbraio 2020, n. 5589; Cass., Sez. Un., 15 aprile 2020, n. 7835; Cass., Sez. Un., 15 aprile 2020, n. 7836; Cass., Sez. Un., 15 settembre 2020, n. 19172; Cass., Sez. Un., 15 settembre 2020, n. 19173), hanno ribadito che la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei Consigli regionali è soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità erariale, sia perchè a tali gruppi pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica – va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell’organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell’origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo, senza che rilevi il principio dell’insindacabilità di opinioni e voti ex art. 122 Cost., comma 4, non estensibile alla gestione dei suddetti contributi.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 235 del 2015, ha sottolineato che, in ordine alla gestione delle somme erogate a titolo di contributi pubblici ai gruppi consiliari, i capigruppo dei Consigli regionali e tutti i consiglieri regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto, restano assoggettati alla responsabilità amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti). Con la sentenza n. 43 del 2019, la Corte costituzionale ha ribadito che “le delibere dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio, quando hanno natura di atti di autorganizzazione del Consiglio, direttamente incidenti sull’attività legislativa di quest’ultimo, sono presidiati dalla garanzia costituzionale dell’autonomia della potestà organizzativa di supporto all’attività legislativa del Consiglio stesso. Quando, invece, hanno natura di atti amministrativi estranei, o comunque non strettamente coessenziali, all’organizzazione dell’attività legislativa del Consiglio, si collocano all’esterno di tale autonomia costituzionalmente garantita, pur costituendo legittimo esercizio di un potere. Tale è, in particolare, l’attività di gestione delle risorse finanziarie, che “resta assoggettata alla ordinaria giurisdizione di responsabilità civile, penale e contabile” (sentenze n. 235 del 2015 e n. 292 del 2001)”.
Tale conclusione resta ferma anche in presenza della disciplina sul finanziamento dei gruppi consiliari dettata dalla L.R. Emilia Romagna n. 32 del 1997 e, quindi, dell’intervenuta approvazione dei rendiconti da parte del comitato tecnico (quand’anche composto da consiglieri regionali) o dall’Ufficio di Presidenza, poichè il voto dato in tali sedi rappresenta una ratifica formale di spese già effettuate dai gruppi e non già un atto deliberativo che ne costituisce ex ante il titolo giustificativo (Cass., Sez. Un., 15 settembre 2020, n. 19172).
In particolare, l’astratta riconducibilità delle spese sostenute dai singoli consiglieri alle categorie di cui alla Delib. Consiliare n. 5 del 2012, non vale, di per sè, a fare escludere necessariamente la possibilità che le singole spese siano “non inerenti” all’attività del gruppo, nei casi in cui non sia rispettato il parametro di ragionevolezza, soprattutto con riferimento all’entità o proporzionalità, oltre che all’effettività delle spese, anche sotto il profilo della veridicità della relativa documentazione (Cass., Sez. Un., 15 aprile 2020, n. 7835, cit.).
Per conseguenza, rimane nei limiti interni della giurisdizione la verifica, rimessa alla Corte dei Conti, della “manifesta difformità”, in ciò consistendo propriamente il giudizio di non “inerenza” delle attività di gestione del contributo erogato ai gruppi consiliari rispetto alle finalità, di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, in termini di congruità e di collegamento teleologico, delle singole voci di spesa ammesse al rimborso, alle finalità pubblicistiche dei gruppi (Cass., Sez. Un., 15 aprile 2020, n. 7836, cit.).
Ed è proprio questa la verifica compiuta dai giudici contabili nella sentenza impugnata in questa sede.
In particolare, la Corte dei Conti ha rilevato che:
– le spese per “pasti” offerti ad altri commensali non possono ricondursi a spese di rappresentanza poichè sono solo genericamente giustificate, non essendo documentata l’identità degli stessi, la funzione rappresentativa degli ospiti, la finalità degli incontri;
le spese sostenute per pranzi con collaboratori sono da ritenersi al di fuori di ogni previsione normativa;
le spese sostenute per taxi, auto, autostrada, treno e alberghi sono accompagnate da giustificazioni estremamente generiche, al punto da non consentire un qualsivoglia riscontro in ordine alla effettiva inerenza all’attività del gruppo e alla oggettiva ragionevolezza della spesa;
– le spese per “eventi” non risultano affatto documentate o lo sono solo in modo generico;
– quanto alle spese per l’acquisto di beni vari, non possono porsi a carico dei fondi del gruppo tutte quelle spese per “omaggi” a soggetti imprecisati, di cui non è dedotto il ruolo istituzionale; non può ravvisarsi alcuna connessione con il funzionamento o l’attività del gruppo in relazione alla spesa sostenuta per la pubblicazione di un necrologio;
– non può scomputarsi il costo di una consulenza, non essendovi alcun riscontro relativo alla reale effettuazione della stessa.
La valutazione operata, nella specie, dalla Corte dei Conti non ha avuto, dunque, ad oggetto il “merito” delle spese effettuate – ossia un controllo volto a sindacarne la loro utilità od opportunità -, bensì unicamente la giustificazione della spesa tramite adeguata documentazione della stessa e, quindi, il piano dimostrativo di quel rapporto di correlazione tra spesa medesima e finalità per la quale, normativamente, il contributo viene erogato, che si colloca all’interno dell’anzidetto giudizio di congruità (parametrato a criteri oggettivi), costituendone, anzi, il presupposto affinchè il giudizio stesso possa essere espresso.
Non coglie nel segno, pertanto, la deduzione difensiva, ribadita anche nella memoria illustrativa, secondo cui la Corte dei Conti avrebbe sconfinato in un ambito di scelte “sul come utilizzare i fondi” (così a pagina 18 della memoria del ricorrente).
Come esattamente osservato dal pubblico ministero presso questa Corte nelle conclusioni scritte, la pronuncia impugnata “ha ritenuto la responsabilità del consigliere all’esito di un giudizio di manifesta mancanza di inerenza delle spese rispetto alla finalità per cui sono stanziati i finanziamenti (con specifico riguardo alle spese per “pasti” del consigliere ed offerti ad altri commensali, nonchè a quelle di trasporto, per “eventi” e per l’acquisto di “beni vari”), svolgendo dunque una valutazione che… rientra nell’ambito della giurisdizione spettante alla Corte dei Conti”.
L’eventuale errore commesso dal giudice contabile nel concreto svolgersi dell’anzidetta verifica è da ascriversi, semmai, a violazioni di legge, sostanziale o processuale, concernenti soltanto il modo di esercizio della giurisdizione speciale e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa (Cass., Sez. Un., 15 settembre 2020, n. 19173, cit.).
2. – Con il secondo motivo è prospettato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), art. 362 c.p.c. e del D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 174, art. 207, difetto assoluto di giurisdizione ed eccesso di potere giurisdizionale. Il giudice contabile – pur avendo correttamente ritenuto che “l’omessa preventiva produzione di una lettera di incarico da parte del capogruppo non può costituire di per sè illecito erariale” – non avrebbe, poi, tratto “dall’affermazione della non necessarietà di tale lettera di incarico” il corollario per cui “le spese inserite nel rendiconto dovevano giudicarsi legittime perchè inerenti alle finalità politiche e istituzionali del gruppo”, affermando invece la “natura personale di tali spese” in quanto “non coperta dal requisito dell’inerenza”. In tal modo, la sentenza impugnata avrebbe immotivatamente disapplicato “una normativa regionale che come riconosce la stessa sentenza non richiede una lettera di incarico”, andando “a sindacare il merito politico” delle scelte del consigliere, non ritenendo sufficiente che il giustificativo appartenesse “alla macrocategoria” indicata dall’Ufficio di Presidenza, ma richiedendo “una ulteriore giustificazione ossia il rispetto del “limite della ragionevolezza” attestante il collegamento della spesa con la finalità perseguita dal gruppo, limite peraltro dal contenuto evanescente ed indefinito perchè non previsto da alcuna norma di legge”.
2.1. – Anche il secondo motivo è inammissibile.
Con esso si ripropongono, sostanzialmente, le doglianze già veicolate con il primo motivo e innanzi scrutinate, adducendosi, altresì, che il “limite della ragionevolezza” – individuato dal giudice contabile come criterio di verifica delle spese sostenute con i fondi del gruppo consiliare e pur inerenti al funzionamento e/o all’attività dello stesso – non trovi riscontro alcuno nella normativa regionale implicata.
Tuttavia, al di là del rilievo che l’affermazione anzidetta, inserita nel più generale contesto di un’argomentazione di principio, si presta comunque ad essere intesa nel senso di una verifica di congruità consentita al giudice contabile in ambito di responsabilità amministrativa e non già esclusa dalle norme di riferimento e, in primo luogo, dalla L.R. n. 32 del 1997, art. 6, va, in ogni caso, posto in evidenza (in via assorbente) che la ratio decidendi della sentenza impugnata è declinata in termini che la censura in esame non coglie, poichè – come puntualmente evidenziato nelle conclusioni scritte della Procura Generale della Corte di cassazione – detta ratio non si fonda sull’anzidetto “limite di ragionevolezza” di spese aventi il carattere dell’inerenza all’attività del gruppo consiliare, ma sulla carenza di giustificazione di detto rapporto di inerenza (cfr. Cass., Sez. Un., 15 settembre 2020, n. 19173, cit.).
3. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.
4. – La natura di parte soltanto formale che riveste il Procuratore generale presso la Corte dei Conti, in ragione della sua posizione istituzionale – di organo propulsore dell’attività giurisdizionale dinanzi alla Corte dei Conti, al quale sono attribuiti poteri esercitati per dovere d’ufficio e nell’interesse pubblico, partecipando al giudizio non come esponente di un’amministrazione, ma quale portatore dell’interesse generale dell’ordinamento giuridico – esclude l’ammissibilità di una pronuncia sulle spese processuali.
5. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021