Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.624 del 15/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3824/2016 R.G. proposto da:

C.C., c.f. *****, elettivamente domiciliato, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Firenze, alla via G. Galliano, n. 11, presso lo studio dell’avvocato Tommaso Rolfo, che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Gabriele Paloscia, lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

B.M.B.C., c.f. *****, elettivamente domiciliato in Roma, al viale Maresciallo Pilsudski, n. 118, presso lo studio dell’avvocato Francesco Paoletti, che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Ettore Nesi, ed all’avvocato Francesco Paolini, lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2036/2014 della Corte d’Appello di Firenze;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 2 ottobre 2020 del Consigliere Dott. Luigi Abete.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con atto notificato il 3.12.2005 B.M.B.C. citava a comparire dinanzi al Tribunale di Lucca, sezione distaccata di Viareggio, C.C..

Chiedeva accertare e dichiarare che il ripostiglio della superficie di 18 mq., costruito nel maggio del 2004 dal convenuto nel resede dell’immobile di sua proprietà, in Comune di *****, con accesso da *****, era collocato alla distanza di m. 3,05 – m. 3,10 anzichè alla distanza di m. 10,00 dalla parete posteriore finestrata del preesistente immobile, con accesso dalla *****, avente altezza di m. 2,50, di proprietà di egli attore; che la collocazione del manufatto di controparte a distanza illegale aveva comportato la creazione di una servitù a carico del manufatto di egli attore.

Chiedeva condannare il convenuto alla demolizione del ripostiglio ovvero al suo arretramento sino alla distanza di m. 10,00 dalla parete posteriore del preesistente suo immobile; in via subordinata condannare il convenuto a ridurre l’altezza del ripostiglio sino alla misura di m. 2,50.

2. Si costituiva C.C..

Instava, in via pregiudiziale, per la sospensione del giudizio in attesa della definizione del procedimento iscritto al n. 884/2004 r.g., pendente su ricorso dell’attore dinanzi al T.A.R. della Toscana ed avente ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità della concessione edilizia n. ***** rilasciata dal Comune di Pietrasanta; nel merito, per il rigetto delle avverse domande.

3. Con sentenza n. 95/2009 il tribunale rigettava le domande dell’attore.

4. B.M.B.C. proponeva appello.

5. Resisteva C.C..

6. Con sentenza n. 2036 dei 26.11/15.12.2014 la Corte d’Appello di Firenze accoglieva il gravame e, per l’effetto, condannava l’appellato ad arretrare il manufatto di sua proprietà, ad uso ripostiglio, realizzato in forza della concessione edilizia n. *****, sino alla distanza di m. 10,00 dalla parete posteriore finestrata dell’immobile dell’appellante; condannava l’appellato alle spese del doppio grado.

Evidenziava la corte, in ordine all’applicabilità della disciplina di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, ed alla stregua della più recente elaborazione di questo Giudice, che, in ipotesi di omessa conformazione degli strumenti urbanistici comunali alla disciplina di cui al predetto D.M., il giudice è tenuto a farne applicazione in via sostitutiva, previa disapplicazione della disciplina urbanistica comunale; che dunque l’inapplicabilità della disciplina di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, rimaneva circoscritta alle sole ipotesi in cui i Comuni non avessero adottato strumenti urbanistici.

Evidenziava inoltre che il manufatto dell’appellato era incontestabilmente collocato a distanza inferiore a m. 10,00, il che ne imponeva l’arretramento.

7. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso C.C.; ne ha chiesto in virtù di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

B.M.B.C. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese e con condanna del ricorrente al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c..

8. Il ricorrente ha depositato memoria.

Del pari ha depositato memoria il controricorrente.

9. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c..

Deduce che il giudizio pendente dinanzi al T.A.R. della Toscana, avente ad oggetto l’annullamento della concessione edilizia n. *****, verte altresì sulla natura del cosiddetto “*****” – variante al piano regolatore del Comune di Pietrasanta – di piano particolareggiato D.M. n. 1444 del 1968, ex art. 9, u.c., recante deroga alla normativa nazionale.

Deduce che è ben possibile che il giudizio innanzi al T.A.R. si concluda con la declaratoria di legittimità della concessione edilizia e della deroga prefigurata dal “*****” ai fini della realizzazione di manufatti a distanza inferiore a m. 10,00.

Deduce quindi che hanno errato i giudici di merito a disconoscere la sussistenza del rapporto di necessaria pregiudizialità.

10. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9.

Deduce che cospicua giurisprudenza di legittimità è nel senso che il D.M. n. 1444 del 1968, non è immediatamente operante nei rapporti tra privati; che i limiti di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, operano tra proprietari frontisti unicamente se recepiti negli strumenti urbanistici locali.

Deduce quindi che nella fattispecie avrebbe dovuto applicarsi il disposto dell’art. 873 c.c..

11. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione circa fatto decisivo per il giudizio; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Deduce che nei gradi di merito aveva addotto che, in ogni caso, sarebbe stato applicabile del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c.; che a norma dell’art. 9, u.c., cit. sono ammesse distanze inferiori nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o di lottizzazioni convenzionate.

Deduce che il ripostiglio per cui è controversia, ricade nelle previsioni del “*****”, integrante un piano particolareggiato ex art. 9, u.c., cit. e recante, in quanto tale, deroga alle distanze di cui al D.M. n. 1444 del 1968, sicchè le distanze applicabili sono quelle di cui all’art. 873 c.c..

Deduce quindi che la distanza intercorrente tra il ripostiglio di sua proprietà ed il manufatto di controparte è appieno legittima, siccome conforme alle previsioni del “*****”.

12. Il controricorrente ha eccepito pregiudizialmente l’inammissibilità del ricorso per cassazione, siccome – assume – tardivamente proposto.

Più esattamente prospetta che, alla stregua del letterale tenore della procura speciale di cui alla comparsa di costituzione e risposta depositata in grado d’appello, l’elezione di domicilio – per il giudizio di seconde cure – in *****, presso lo studio dell’avvocato Silvia Giacchetti Vichi, è da riferire non già all’avvocato Flaviano Del Lago – avente domicilio professionale in provincia di ***** – bensì personalmente ed unicamente all’appellato, C.C..

Cosicchè, in dipendenza della valida ed efficace notificazione, in data 29.4.2015, della statuizione di seconde cure all’avvocato Flaviano Del Lago presso la cancelleria della Corte d’Appello di Firenze, la notifica del ricorso per cassazione, in data 13.1.2016, sarebbe sopraggiunta tardivamente.

13. L’eccezione pregiudiziale è destituita di fondamento.

14. E’ inevitabile il riferimento all’insegnamento di questa Corte.

Ovvero all’insegnamento a tenor del quale, ai fini della decorrenza del termine “breve” per l’impugnazione di cui all’art. 325 c.p.c., la notificazione della sentenza – che va fatta al procuratore costituito, ai sensi dell’art. 170 c.p.c. – deve essere compiuta al domicilio eletto dalla parte (e non presso la cancelleria del luogo ove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio si è svolto) tutte le volte in cui – è il caso di specie – compaia, in calce alla procura ed alla contestuale elezione di domicilio, la sottoscrizione del difensore: nella scelta tra un’interpretazione letterale ed una logica delle norme funzionali alla verificazione della validità della notifica (in particolare, del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, comma 1), difatti, va prescelta l’ermeneusi di tipo logico, che ricostruisca la vicenda della firma del difensore in calce agli atti suddetti come funzionale non alla sola autentica della firma, bensì a far proprio l’intero contenuto dell’atto, apparendo più rispettosa della volontà (della parte e) dello stesso difensore la scelta di attribuirgli anche il fine di far propria, con l’autentica dell’altrui firma, l’elezione di domicilio contenuta nell’atto da lui sottoscritto (cfr. Cass. 13.1.2005, n. 561; Cass. sez. lav. 25.3.2009, n. 7196).

15. Su tale scorta deve concludersi nel senso che pur l’avvocato Flaviano Del Lago ebbe, per il giudizio d’appello, ad eleggere domicilio in *****, presso lo studio dell’avvocato Silvia Giacchetti Vichi.

Cosicchè quivi occorreva imprescindibilmente notificare la statuizione di secondo grado ai fini del decorso del termine “breve” per la proposizione ex adverso del ricorso per cassazione.

16. Il primo motivo di ricorso va respinto.

17. Il controricorrente ha addotto che il giudizio innanzi al T.A.R. della Toscana e (già) iscritto al n. 884/2004 r.g. è stato “dichiarato perento con decreto del Presidente della Sezione III n. 4293 dell’11.8.2010” (così controricorso, pag. 10).

Nulla al riguardo ha replicato in memoria il ricorrente.

18. Evidentemente, al cospetto della sopravvenuta perenzione del giudizio amministrativo, deve in pari tempo reputarsi sopravvenuto il difetto della prima imprescindibile precondizione atta a legittimare la – possibile – sospensione, ovvero l’effettiva pendenza della causa asseritamente pregiudiziale (cfr. Cass. 15.2.1999, n. 1237, secondo cui la sospensione del processo contemplata dall’art. 295 c.p.c., per l’ipotesi in cui la decisione dipenda dalla definizione di una diversa causa, implicando la collocazione del processo in uno stato di quiescenza fino al momento della conclusione di tale altra causa, postula che quest’ultima sia effettivamente pendente ed in grado di approdare alla pronuncia ritenuta pregiudiziale; Cass. 21.11.2006, n. 24742).

19. Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto.

20. Evidentemente questa Corte non può che ribadire l’indicazione ancorata alla più recente insegnamento delle sezioni unite.

Ovvero l’insegnamento secondo cui il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, comma 2, essendo stato emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 quinquies (cosiddetta “legge urbanistica”), aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicchè le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (cfr. Cass. sez. un. 7.7.2011, n. 14953).

Ovvero l’indicazione secondo cui, in tema di distanze tra fabbricati, nel regolamento locale che non preveda distanza alcuna o che preveda distanze inferiori a quelle minime prescritte per zone territoriali omogenee dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, questa inderogabile disciplina si inserisce automaticamente, con immediata operatività nei rapporti tra privati, in virtù della natura integrativa del regolamento rispetto all’art. 873 c.c. (Cass. 26.7.2016, n. 15458; Cass. 12.12.2017, n. 29732).

21. Tanto ben vero a prescindere da un rilievo ulteriore.

La corte territoriale ha dato atto (cfr. sentenza d’appello, pag. 6) dell’avvenuta dimostrazione del recepimento della disciplina di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, nelle norme tecniche di attuazione del p.r.g. del Comune di Pietrasanta.

Nondimeno siffatta affermazione è stata dal ricorrente censurata in maniera del tutto generica.

Invero si è addotto, sic et simpliciter, che controporte non ha mai dimostrato che il D.M. n. 1444 del 1968, è stato recepito negli strumenti urbanistici del Comune di Pietrasanta (cfr. ricorso, pag. 14).

22. Il terzo motivo di ricorso parimenti va respinto.

23. Va puntualizzato dapprima che, a rigore, con il terzo mezzo di impugnazione il ricorrente si duole, propriamente, per un’omissione di pronuncia (cfr. Cass. (ord.) 27.11.2017, n. 28308, secondo cui il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito – che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c. – ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto; Cass. 16.5.2012, n. 7653).

Del resto l’omissione di pronuncia è pure riflessa nella rubrica del motivo.

In pari tempo la corte di merito ha, sì, dato atto che l’appellato aveva rilevato la natura di piano particolareggiato del “Piano di dettaglio facente parte della Variante Generale, relativo ai poli di *****, al ***** e zone limitrofe ed al *****” e quindi aveva addotto la legittimità delle deroghe in esso contenute rispetto alla disciplina di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 (cfr. sentenza d’appello, pag. 2. La questione era stata prospettata da C.C. già in prime cure: cfr. controricorso, pag. 4).

E tuttavia la corte distrettuale nulla ha pronunciato al riguardo.

24. In questi termini non può non rimarcarsi che la censura di omessa pronuncia che il motivo adduce, è stata formulata in modo irrituale.

Tanto specificamente alla luce dell’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 17931 del 24.7.2013.

Difatti le sezioni unite spiegano che, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (cfr. altresì Cass. 29.11.2016, n. 24247).

Ebbene è innegabile che il mezzo di impugnazione in disamina non solo non contiene alcun riferimento alla nullità della decisione, ma prospetta appunto, alla luce dell’enunciazione di cui alla rubrica, l’omissione della motivazione e la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

25. In ogni caso non può non darsi atto che la prospettazione del ricorrente, secondo cui il “*****” – nelle cui previsioni ricadrebbero i manufatti per la distanza tra i quali si controverte – integra un piano particolareggiato ex art. 9, u.c., cit., si risolve in una mera petizione di principio, sì da rendere del tutto generico il terzo motivo di ricorso.

La genericità del terzo mezzo di impugnazione risalta viepiù a fronte del duplice rilievo del controricorrente secondo cui il cosiddetto “*****” fa parte integrante del p.r.g. del Comune di Pietrasanta (cfr. controricorso, pag. 17) e secondo cui “il manufatto di B. e quello di C. non sono stati realizzati in esecuzione di un piano attuativo dello strumento urbanistico generale” (così controricorso, pag. 16. Cfr. Cass. sez. un. 18.2.1997, n. 1486, secondo cui del D.M. 4 aprile 1968, n. 1444, art. 9, u.c., che consente una deroga alle distanze previste dai precedenti commi per gli edifici facenti parte di una lottizzazione convenzionata, può trovare applicazione solo relativamente alle distanze tra costruzioni entrambe facenti parte della lottizzazione; Cass. 7.11.2017, n. 26354, secondo cui la deroga, contemplata del D.M. 4 aprile 1968, n. 1444, art. 9, u.c., che consente ai Comuni di prescrivere distanze tra costruzioni inferiori a quelle previste dalla normativa statale, riguarda esclusivamente le distanze su fondi che siano inclusi in un medesimo piano particolareggiato o per costruzioni facenti parte della medesima lottizzazione convenzionata; Cass. 14.11.2016, n. 23136).

Va specificato, infine, che il riferimento alla L.R. Toscana n. 65 del 2014, art. 140, contenuto nella memoria illustrativa del ricorrente, per nulla soccorre ai fini della qualificazione del cosiddetto “*****” in guisa di piano del D.M. n. 1444 del 1968, ex art. 9, u.c..

26. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

27. Non sussistono i presupposti della mala fede ovvero della colpa grave perchè si possa far luogo – come da richiesta del controricorrente – a pronunce di condanna ex art. 96 c.p.c. (cfr. Cass. sez. un. 20.4.2018, n. 9912, secondo cui la responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte nè la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate).

28. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; rigetta l’istanza ex art. 96 c.p.c., formulata dal controricorrente; condanna il ricorrente, C.C., a rimborsare al controricorrente, B.M.B.C., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 4)(per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, C.C., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021

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