Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.643 del 15/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12490/2015 proposto da:

L.L., G.M.T., quest’ultima quale erede di L.M., deceduto il *****, rappresentati e difesi dall’Avv. Maurizio Miranda, giusta procura speciale a margine del ricorso per cassazione.

– ricorrenti –

contro

Comune di San Benedetto del Tronto (AP), nella persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, sia congiuntamente, che disgiuntamente, dall’Avv. Marina di Concetto, e dall’Avv. Andrea Galvani, ed elettivamnte domiciliato presso lo studio dell’Avv. Andrea Galvani, in Roma, via Salaria, n. 95, in virtù di Det.

Dirigente 13 maggio 2015, n. 451 e di procura posta a margine del controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di ANCONA n. 766/2014, depositata il 21 ottobre 2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/11/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 21 ottobre 2014, la Corte di appello di Ancona ha determinato, in favore dei proprietari L.L., L.M. e L.A., l’indennità di reiterazione del vincolo ad attrezzature pubbliche di quartiere, apposto dal piano regolatore generale approvato con D.P.G.R. n. 8369 del 1990, avente natura espropriativa, sull’appezzamento di terreno distinto al foglio *****, particelle ***** del relativo catasto, nella somma di Euro 40.951,06 e ha condannato il Comune di San Benedetto del Tronto al deposito di tale somma, oltre gli interessi al tasso legale dalla domanda, presso la Cassa DD.PP..

2. Con sentenza non definitiva del 10 maggio 2011, non impugnata, la Corte di appello di Ancona aveva accertato e dichiarato la natura espropriativa del vincolo e il diritto dei proprietari all’indennizzo e, con ordinanza di pari data, aveva disposto il prosieguo del giudizio per la quantificazione dell’indennizzo con il rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio.

3. La Corte territoriale affermava che l’indennizzo dovuto era pari alla differenza tra il valore del bene in presenza del vincolo (pari a Euro 865.000,00) e il valore del medesimo bene che ne risultava privo (pari a Euro 709.000,00) e determinava l’indennità in ragione dei frutti civili, ovvero degli interessi semplici e della rivalutazione monetaria incidenti sul valore differenziale rapportati al periodo di permanenza del vincolo, poichè se fosse stata attribuita la differenza indicata, la stessa avrebbe configurato una duplicazione, sia pure parziale, dell’ipotetica futura indennità di espropriazione, atteso che l’indennità di espropriazione avrebbe compreso anche la prima in quanto discendente da vincolo non considerabile al fine, oltre al fatto che si sarebbe potuto verificare che non si facesse luogo concretamente all’espropriazione, così calcolando su un importo di Euro 156.000,00, Euro 21.607,06 per interessi legali dal 12 ottobre 2005 all’11 novembre 2011 ed Euro 19.344,00 per rivalutazione monetaria periodo ottobre 2005 – novembre 2011.

4. L.L. e G.M.T., quest’ultima quale erede di L.M., ricorrono per la cassazione della sentenza con atto affidato a tre motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39 e dell’art. 3 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

I ricorrenti, dopo avere condiviso il criterio di determinazione del valore dell’immobile in assenza della reiterazione del vincolo in ragione della capacità edificatoria dello stesso e del valore dell’immobile dopo la reintroduzione del vincolo, si lamentano del fatto che il CTU aveva applicato due diverse modalità di calcolo che tra loro non erano assolutamente comparabili, la prima data dalla differenza tra costi – ricavi, la seconda ottenuta dalla sottrazione costo di costruzione – prezzo di vendita.

Più in particolare, mentre nella stima del valore del fondo in assenza del vincolo illegittimo, la Corte aveva applicato un principio di percentuale sulla redditività edilizia del fondo stesso, nella stima del valore del fondo in presenza del vincolo illegittimo la Corte aveva applicata il diverso principio della differenza tra il costo di costruzione (edificio scolastico) e il prezzo di vendita, con una differenza del valore del fondo su cui calcolare l’indennizzo nel primo caso pari ad Euro 865.000,00 e nel secondo caso pari ad Euro 446.200,00.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c. e dell’art. 1283 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

I ricorrenti si lamentano del fatto che il risarcimento del danno è stato calcolato dalla data di reiterazione del vincolo (12 ottobre 2005) alla data del deposito della perizia (11 novembre 2011), con ciò violando il principio secondo cui il debito di valore deve essere attualizzato alla data di pronuncia della decisione.

2.1. Le esposte censure sono inammissibili, non essendo stati adeguatamente specificati nel ricorso i termini e le modalità con cui le critiche svolte all’elaborato peritale sarebbero state avanzate nel corso del giudizio svoltosi davanti alla Corte di appello.

2.2 Mette conto di ribadire, sotto tale profilo, il principio costantemente affermato da questa Corte, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice di merito e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass., 3 agosto 2017, n. 19427; Cass., 3 giugno 2016, n. 11482; Cass., 17 luglio 2014, 16368).

2.3 In definitiva, fermo restando il principio affermato da questa Corte secondo cui “allorchè ad una consulenza tecnica d’ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte, il giudice che intenda disattenderle ha l’obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte” (Cass., 21 novembre 2016, n. 23637; Cass. 25 ottobre 2017, n. 25319), l’inadeguata prospettazione della doglianza, con riferimento all’omessa indicazione delle argomentazioni svolte dal consulente tecnico d’ufficio e delle critiche mosse dal consulente di parte, rende la censura inammissibile.

2.4 E ciò tenuto conto che, nella specie, la Corte di appello ha correttamente affermato che, a norma del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al proprietario un’indennità, commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto.

In tale ottica, considerato che il vincolo non determinava la perdita della proprietà vanificando soltanto i poteri ad essa correlati, la Corte di appello ha ritenuto coerente ritenere che il vincolo determinasse un minore valore commerciale del bene per cui il parametro di riferimento per commisurare i danni in questione poteva essere costituito dalla differenza tra il valore del bene in presenza del vincolo e il valore del medesimo bene che ne risultava privo, con la precisazione che se fosse stata attribuita la differenza indicata, la stessa avrebbe configurato una duplicazione, sia pure parziale, dell’ipotetica futura indennità di espropriazione, atteso che l’indennità di espropriazione avrebbe compreso anche la prima in quanto discendente da vincolo non considerabile al fine, oltre al fatto che si sarebbe potuto verificare che non si facesse luogo concretamente all’espropriazione, individuando in tal modo l’oggetto del risarcimento nei frutti civili, vale a dire gli interessi semplici e la rivalutazione monetaria incidenti sul valore differenziale rapportati al periodo di permanenza del vincolo.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che il deposito presso la Cassa depositi e prestiti era contemplato dal D.P.R. n. 327 del 2001, per le ipotesi inerenti l’indennità dovuta per l’esproprio che era questione diversa dall’indennità prevista dall’art. 39 del medesimo D.P.R..

3.1 Il motivo è fondato.

3.2 Questa Corte ha più volte affermato il principio che il giudice deve ordinare il deposito presso la Cassa depositi e prestiti delle somme dovute all’espropriato ai sensi della L. n. 2359 del 1865, artt. 48 e 49, soltanto nell’ambito della procedura espropriativa conclusa con efficace decreto di esproprio e/o di occupazione temporanea: e, quindi con riguardo sia all’indennità di espropriazione che a quella di occupazione temporanea, ma non anche nel caso in cui l’effetto ablatorio si produca a seguito di occupazione acquisitiva e che le somme liquidate giudizialmente a titolo di risarcimento di danni per illegittima occupazione, devono essere corrisposte dal danneggiante direttamente all’espropriato (Cass. 11 novembre 1998, n. 11360; 22 novembre 1990, n. 11279).

Questa Corte ha, altresì, precisato che l’indicata modalità (deposito presso la Cassa depositi e prestiti) per il pagamento del debito di natura risarcitoria non corrisponde a quella prevista dalla legge secondo la quale (art. 1218 c.c.), l’adempimento per produrre i suoi effetti deve consistere nell’esatta esecuzione della prestazione dovuta nel luogo e nel modo prestabiliti, sì da soddisfare compiutamente l’interesse del creditore (Cass., 19 marzo 2004, n. 5560).

3.2 E’ utile precisare che a norma dell’art. 26, rubricato “Pagamento o deposito dell’indennità provvisoria” del D.P.R. n. 327 del 2001, se il bene è gravato da altri diritti reali, ovvero se sono presentate opposizioni al pagamento della indennità, in assenza di accordo sulle modalità della sua riscossione, l’indennità va depositata, a norma del comma 4 della medesima disposizione, presso la Cassa depositi e prestiti (adesso Ministero dell’Economia e della Finanze – Ragionerie territoriali dello Stato).

Il pagamento diretto dell’indennità, in favore dell’espropriato, avviene invece quando o il proprietario abbia assunto ogni responsabilità in ordine ad eventuali diritti dei terzi o, in ipotesi di bene gravato di ipoteca, il proprietario abbia previamente esibito una dichiarazione autenticata del creditore ipotecario, che autorizzi la riscossione della somma.

Questa Corte, di recente, oltre a ribadire il principio già richiamato secondo cui il deposito di una somma a titolo di indennità di espropriazione ed occupazione, ai sensi della L. n. 2359 del 1865, artt. 48 e 49, ha efficacia liberatoria per il debitore espropriante, soltanto nell’ambito di una procedura perfezionatasi con l’emissione di un valido ed efficace decreto di esproprio o di occupazione temporanea e non anche ai fini del risarcimento del danno derivante dalla perdita di proprietà conseguente ad un’occupazione appropriativa od usurpativa, ha affermato che, in tal ultimo caso, la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno deve essere corrisposta direttamente al danneggiato, con detrazione dall’importo dovuto delle sole somme eventualmente già incassate da quest’ultimo, potendo l’espropriante legittimamente chiedere la restituzione di quelle ancora giacenti presso la Cassa depositi e prestiti (Cass., 25 giugno 2020, n. 12616; Cass., 9 ottobre 2013, n. 22923; Cass., 19 marzo 2004, n. 5560; Cass., 27 febbraio 2004, n. 3966; Cass., 7 aprile 1997, n. 3003).

Il conseguente corollario è che, con riferimento alle indennità dovute a seguito del procedimento espropriativo, non sussiste il rischio per l’Ente espropriate di effettuare un pagamento indebito, avendo, per l’appunto, il legislatore previsto una forma tipica di adempimento che è quella del deposito delle stesse presso la Cassa depositi e prestiti che ha effetti pienamente liberatori.

Tanto premesso, nel caso in esame, trova applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, comma 2, rubricato “Indennità dovuta in caso di incidenza di previsioni urbanistiche su particolari aree comprese in zone edificabili” che prevede che “Qualora non sia prevista la corresponsione dell’indennità negli atti che determinano gli effetti di cui al comma 1, l’autorità che ha disposto la reiterazione del vincolo è tenuta a liquidare l’indennità, entro il termine di due mesi dalla data in cui abbia ricevuto la documentata domanda di pagamento ed a corrisponderla entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali sono dovuti anche gli interessi legali”.

Si tratta di una indennità corrisposta al proprietario che deve essere commisurata all’entità del danno effettivamente subito (D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, comma 1).

La peculiare natura dell’indennità dovuta per la reiterazione del vincolo ha portato il legislatore a prevedere la corresponsione in favore del richiedente.

Pertanto, è errata la statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, che ha condannato il Comune di San Benedetto del Tronto al deposito presso la Cassa depositi e prestiti dell’importo liquidato a titolo di indennità di reiterazione del vincolo.

4. In conclusione, il terzo motivo va accolto e vanno dichiarati inammissibili il primo e il secondo motivo.

In accoglimento del terzo profilo di censura, la decisione della Corte territoriale deve essere cassata siccome erronea, dovendosi fare applicazione del principio di diritto che si viene ad enunciare:

” L’indennità dovuta in caso di incidenza di previsioni urbanistiche su particolari aree comprese in zone edificabili, prevista dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 39, deve essere corrisposta dall’Autorità che ha disposto la reiterazione del vincolo direttamente al proprietario, essendo previsto il deposito presso la Cassa depositi e prestiti (ora Ministero dell’Economia e delle Finanze – Ragionerie territoriali dello Stato) soltanto nell’ambito di una procedura perfezionatasi con l’emissione di un valido ed efficace decreto di esproprio o di occupazione temporanea e non anche ai fini del risarcimento del danno derivante dalla perdita di proprietà conseguente ad un’occupazione appropriativa od usurpativa”.

In questa sede, peraltro, la vertenza può essere decisa anche nel merito, ex art. 384 c.p.c., non essendo necessari altri accertamenti in fatto, condannando il Comune di San Benedetto del Tronto alla corresponsione, in favore di L.A., L.M. e L.L., della somma di Euro 40.951,06, oltre gli interessi al tasso legale dalla domanda.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna il Comune di San Benedetto del Tronto alla corresponsione, in favore di L.A., L.M. e L.L., della somma di Euro 40.951,06, oltre gli interessi al tasso legale dalla domanda.

Condanna il Comune di San Benedetto del Tronto al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021

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