LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29149/2019 proposto da:
L.S., rappresentata e difesa dall’avv.to Rosalia Bennato, con studio a Milano, Corso Buenos Aires 52, (rosalia.bennato.milano.pecavvocati.it), elettivamente domiciliata presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione in Roma, piazza Cavour.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO in persona del Ministero pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO n. 7134/2019, depositato il 06/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.
RILEVATO
che:
1. L.S., proveniente dalla *****, ricorre affidandosi a due motivi per la cassazione del decreto del Tribunale di Milano che ha respinto la domanda di protezione internazionale da lei avanzata in tutte le forme gradate, a seguito del rigetto della medesima istanza avanzata dinanzi alla competente Commissione Territoriale.
1.1. Per ciò che qui interessa, la ricorrente – seguace del culto di ***** dal 2009 e introdotto dalla madre – ha narrato di aver avuto all’interno della chiesa un ruolo operativo (distribuire i libri fra i compagni); di essere stata arrestata e trattenuta presso le forze di polizia dove era stata schiaffeggiata, picchiata, denudata e schernita; infine, di essere fuggita su consiglio dello zio che aveva provveduto a farle ottenere passaporto e visto.
2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1..
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 8, 9, 10 e 11, nonchè dell’art. 47, commi 1 e 2 della Carta dei Diritti, artt. 1,6, e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, art. 46, p. 3 e 31 della Direttiva 2013/32/UE avendo il Tribunale di Milano omesso di fissare l’udienza per l’audizione del ricorrente, pur in mancanza di videoregistrazione, non sussistendo particolari ragioni che giustificassero la decisione contestata; lamenta altresì la violazione e f.a. del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3, 5 ed 8.
1.1. La censura è infondata.
1.2.1. Questa Corte ha affermato il principio, condiviso da questo Collegio, secondo cui “nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero. (cfr. Cass. 5973/2019; Cass. 2817/2019; Cass. 17076/2019; Cass. 1088/2020).
1.3. Da ciò deriva che l’unico obbligo normativamente imposto al giudice di merito dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 10, nel caso di assenza di videoregistrazione, è costituito dalla fissazione dell’udienza di comparizione.
1.4. Al riguardo, deve precisarsi che questo Collegio è consapevole della recente pronuncia di questa Corte (Cass. 9228/2020) che ha valorizzato l’importanza dell’udienza “come luogo naturale per lo svolgimento dell’audizione del richiedente asilo”: è stato affermato, infatti, che “nei procedimenti di riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria, qualora la videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa non sia disponibile, o perchè non eseguita o perchè comunque non acquisita agli atti del processo, il giudice di merito deve sempre fissare l’udienza di comparizione personale del richiedente, da un lato al fine di consentire a quest’ultimo un accesso ed un contatto diretto con il suo giudice naturale precostituito per legge, e quindi la piena ed effettiva esplicazione delle garanzie processuali, e dall’altro lato in modo da acquisire tutti gli elementi necessari per condurre la valutazione di credibilità, o meno, della storia personale riferita dal richiedente medesimo. Ne deriva che detta udienza costituisce il luogo naturalmente deputato allo svolgimento dell’audizione personale del richiedente, che può essere evitata soltanto in via eccezionale, qualora il giudice di merito ritenga, all’esito di motivata decisione, che le contraddizioni e le carenze esterne della storia non possano essere superate dall’audizione stessa. In tal caso, va comunque garantita al richiedente la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni” (cfr. Cass. 9228/2020 in motivazione).
1.5. Si osserva, tuttavia, che il caso ivi considerato presentava la peculiarità di prendere le mosse dalla incertezza circa la presenza in atti del verbale trascritto dell’audizione resa dinanzi alla Commissione Territoriale e circa la stessa avvenuta audizione del richiedente asilo in sede amministrativa (cfr. pag. pag. 3 secondo cpv. della pronuncia testè richiamata).
1.6. Nella vicenda in esame, invece, nel decreto impugnato si dà atto che era stata “sentita la parte ricorrente” (cfr. pag. 2 quart’ultimo capoverso) pur ritenendo il Collegio non necessario procedere al rinnovo della sua audizione (cfr. pag. 4 terzo cpv.): nessuna incertezza, pertanto, sulla completezza dell’istruttoria svolta con conseguente applicazione del principio sopra richiamato al punto 1.2.1..
2. Con il secondo motivo, deduce la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. G) e art. 14, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti. Assume, al riguardo, che il giudizio di scarsa credibilità era fondato su clausole di stile e sulla mancata osservanza della griglia interpretativa prevista dal D.Lgs. n. 215 del 2007, art. 3, comma 5, secondo la quale il racconto del ricorrente doveva essere valutato in modo non atomistico e nel suo complesso, anche alla luce delle acquisite informazioni attendibili ed aggiornate alle quali il Tribunale, contraddittoriamente, non aveva assegnato alcuna rilevanza.
2.1. Aggiunge che, in relazione alla protezione umanitaria, il Tribunale non aveva affatto considerato il lungo tempo trascorso in Italia da quando era arrivata, dal quale ben poteva essere riscontrato un alto livello di integrazione.
2.2. Il motivo è fondato per quanto di ragione.
2.3. Premesso che in relazione alla protezione umanitaria, la censura appare inammissibile per assoluta genericità, il collegio osserva che risulta fondata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione alle altre forme di protezione richieste: il racconto della ricorrente, infatti, è stato esaminato in modo atomistico, con la erronea valorizzazione di marginali incongruenze e senza una considerazione della vicenda nel suo insieme (cfr. al riguardo Cass. 7546/2020 e Cass. 8819/2020), tanto più che la narrazione era corroborata dall’indicazione di fonti ufficiali aggiornate dalle quali la persecuzione religiosa denunciata emergeva in modo coerente con la vicenda narrata (cfr. pag. 8 cpv 3,4,5 del decreto impugnato).
2.3. In ragione di ciò, appare fondato il vizio di nullità della sentenza, basata su una motivazione apparente, nella parte in cui, pur riportando il racconto dell’arresto accompagnato da schiaffeggiamenti, percosse e l’obbligo di denudarsi (pag. 8 e 9 del decreto), il tribunale ha ritenuto che non fossero state descritte “torture”, affermando in modo apodittico che fosse contraddittorio il successivo rilascio.
3. In conclusione, il secondo motivo deve essere accolto, il decreto cassato in parte qua, con rinvio al Tribunale di Milano, in diversa composizione, per il riesame della controversia e per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte;
rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Milano per il riesame della controversia e per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021
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