Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.690 del 18/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22362/2019 proposto da:

A.F., elettivamente domiciliato in Gallarate (VA), via Trombini, n. 3, presso lo studio dell’avv.to DANIELA VIGLIOTTI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 26/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/10/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Milano, con decreto pubblicato il 26 giugno 2019, respingeva il ricorso proposto da A.F., cittadino del *****, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il ricorrente aveva riferito di essere stato costretto a fuggire dal Pakistan a causa di contrasti sorti in relazione a un terreno di sua proprietà preteso da un potente capomafia di nome N.M.. Il ricorrente aveva sporto regolare denuncia ma lui e i suoi familiari erano stati nuovamente minacciati fino a quando, dopo aver sparato al fratello, alcuni individui avevano fatto un agguato alla sua persona nel corso del quale era morta la guardia del corpo. Questo capomafia era molto potente ed era vicino addirittura al primo ministro, così il richiedente era scappato e non aveva avuto più notizie del fratello minore e dello zio.

Il Tribunale, premesso di ritenere non necessario procedere all’audizione della ricorrente, rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto oltre a non essere credibile) non rappresentava alcuna situazione riconducibile ad una persecuzione nei sensi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2.

A parere del Tribunale, dunque, la vicenda narrata dal richiedente non era meritevole di tutela sotto il profilo dello status di rifugiato. Inoltre, la non credibilità del racconto determinava anche il rigetto della domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), peraltro, visto che il Pakistan aveva cambiato governo, anche tenendo per buona la prospettazione del ricorrente, non sussisteva neanche un rischio attuale di subire un danno grave visto che il potente mafioso aveva perso i suoi agganci politici.

Infine, con riferimento al rischio derivante dalla violenza in un conflitto armato generalizzato di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale evidenziava che dalle informazioni disponibili non risultava che il Pakistan fosse interessato da conflitti armati aventi le caratteristiche indicate dalla suddetta norma e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

Infine, anche in base alla vicenda narrata, doveva escludersi la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione per motivi umanitari. Non vi era un effettivo radicamento in Italia, il ricorrente non risultava aver intrapreso un significativo percorso di apprendimento della lingua, nè di avere autonomia abitativa o di aver instaurato significative relazioni personali. La titolarità di un permesso di lavoro non era condizione sufficiente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

3. A.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

5. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte con le quali chiede che il ricorso venga trasmesso al primo Presidente perchè valuti se assegnarlo dalle sezioni unite in ragione della rilevanza nomofilattica dell’obbligo di procedere all’audizione personale del richiedente mancanza della videoregistrazione del colloquio dinanzi la commissione territoriale. In subordine, chiede che la questione venga trattato in pubblica udienza o, in ulteriore subordine, che il ricorso venga accolto.

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11, in combinato disposto con l’art. 46 della direttiva n. 32/2013 e con gli artt. 3,24, 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1.

La censura ha ad oggetto la mancata fissazione di un’udienza per la comparizione della parte personalmente al fine di procedere all’interrogatorio libero e data la mancanza di videoregistrazione del colloquio tenuto dinanzi la commissione territoriale. Peraltro, il ricorrente aveva dedotto con il ricorso fatti nuovi che comportavano necessariamente l’esigenza di procedere all’audizione. Il Tribunale aveva fissato l’udienza senza la comparizione delle parti.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. e del giusto processo per avere il Tribunale rigettato il ricorso senza procedere alla fissazione dell’udienza di comparizione della parte e nonostante la mancanza della videoregistrazione.

La censura è ripetitiva di quella di cui al primo motivo sotto il diverso profilo, relativo alla violazione dell’art. 101 c.p.c..

2.1 Il primo e il secondo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

Va osservato che questa Corte ha già statuito che nel giudizio d’impugnazione della decisione della Commissione territoriale, anche ove manchi la videoregistrazione del colloquio, vi sia solo l’obbligo del giudice di fissare l’udienza e non quello di procedere in ogni caso all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia sempre necessario rinnovare l’audizione dello straniero ogni qualvolta manchi la videoregistrazione (Cass. n. 5973/2019). Tale interpretazione è conforme agli artt. 12, 14, 31 e 46 della direttiva 2013/32/UE, secondo l’interpretazione che ne ha dato la Corte di Giustizia UE.

E’ stato di recente ulteriormente chiarito che – anche alla luce di autorevoli decisioni comunitarie e alla necessità di leggere il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, in conformità al disposto dell’art. 46, par. 3, della direttiva 2013/32/UE, nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia UE – ove il ricorso contro il provvedimento di diniego di protezione contenga motivi o elementi di fatto nuovi (sempre che risultino sufficientemente circostanziati e rilevanti), il giudice, se richiesto, non può sottrarsi all’audizione del richiedente, trattandosi di strumento essenziale per verificare, anche in relazione a tali nuove allegazioni, la coerenza e la plausibilità del racconto, quali presupposti per attivare il dovere di cooperazione istruttoria (Cass. n. 27073 del 2019).

Da ultimo questa Corte ha nuovamente esaminato la questione della necessità dell’audizione in caso di mancanza di videoregistrazione del colloquio innanzi alla Commissione Territoriale. Si è ritenuto che sia doverosa una nuova audizione del richiedente in sede giurisdizionale non solo quando il giudice ritenga indispensabile richiedere chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente (verosimilmente evidenziate nel decreto di rigetto della Commissione Territoriale e poste a fondamento del giudizio di inattendibilità del racconto), ma anche quando quest’ultimo ne faccia apposita istanza nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti (Cass. n. 21584 del 2020).

In tale occasione si è precisato che è, in ogni caso, escluso che il giudice debba disporre una nuova audizione del richiedente (salvo che lo stesso giudice non lo ritenga necessario) in difetto di un’istanza di quest’ultimo contenuta nel ricorso, o comunque allorquando tale eventuale richiesta sia stata formulata in termini generici. La valutazione in ordine alla natura circostanziata o solo generica dell’istanza di audizione del richiedente, eventualmente contenuta nel ricorso, è demandata in via esclusiva al giudice di merito, la cui motivazione deve essere strettamente correlata alla specificità dell’istanza ed è sindacabile in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato alla luce dei parametri della sentenza delle SS.UU. n. 8053/2014. Peraltro, ove il giudice di merito ometta di pronunciarsi sull’istanza di audizione formulata dal richiedente, tale omissione è parimenti censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 13716 del 05/07/2016; conf. Cass. 24830/2017; Cass. 6715/2013)”. Infine, il giudice non deve provvedere all’audizione del richiedente nei casi in cui la domanda venga ritenuta dallo stesso manifestamente infondata o inammissibile per ragioni diverse dal giudizio formulato sulla base di incongruenze che, alla luce di quanto sopra evidenziato, possano o debbano essere chiarite attraverso l’audizione del richiedente.

Richiamati i principi in materia e venendo al caso di specie, deve evidenziarsi che il Tribunale ha ritenuto che la difesa del ricorrente non avesse introdotto temi di indagini ulteriori, nè allegato fatti nuovi. Le circostanze indicate in ricorso confermano il giudizio di genericità e ripetitività formulato dal Tribunale. Peraltro, il racconto oltre a essere stato ritenuto inattendibile è stato giudicato anche inidoneo a rappresentare una condizione di persecuzione.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9.

La censura attiene al rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria in base ad informazioni generiche della situazione interna del paese di origine del ricorrente e senza considerazione completa delle prove disponibili e senza corretto esercizio dei poteri ufficiosi.

4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

La censura è del tutto generica e non offre alcun elemento per rivalutare la credibilità del racconto del richiedente o la valutazione circa la situazione del paese di origine. Deve dunque ribadirsi che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

Il Tribunale, inoltre, ha fatto esplicito riferimento a fonti qualificate dalle quali ha tratto la convinzione che il paese di origine del ricorrente non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che in tal caso non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

5. Non è luogo a pronuncia sulle spese, non essendosi costituito in giudizio il Ministero dell’Interno.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2021

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