LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23248/2019 proposto da:
D.D., rappresentato e difeso dall’avv. DAMIANO FIORATO, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 15/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 21/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza del 28.3.2017 il Tribunale di Milano rigettava il ricorso proposto da D.D., cittadino del *****, avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano con il quale era stata respinta la sua domanda volta ad ottenere la predetta protezione.
Tale decisione veniva impugnata dal D. innanzi la Corte d’Appello di Milano, la quale con la sentenza n. 15/2019, oggi impugnata, rigettava l’appello.
Propone ricorso per la cassazione di tale provvedimento D.D. affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte territoriale avrebbe violato l’obbligo di cooperazione istruttoria, limitandosi a formulare un giudizio meramente soggettivo sulla credibilità della storia personale del richiedente ed omettendo un esame completo della situazione esistente nel suo Paese d’origine.
Con il terzo motivo, che per ragioni logiche va esaminato congiuntamente al secondo, il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la Corte d’Appello avrebbe erroneamente negato il riconoscimento della protezione sussidiaria senza analizzare compiutamente la situazione di violenza generalizzata e di insicurezza esistente nella Casamance, regione d’origine del richiedente.
Le due censure, che per la loro connessione meritano un esame congiunto, sono fondate.
Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, impone al giudice di esaminare la domanda di protezione internazionale “… alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. La Commissione nazionale assicura che dette informazioni, costantemente aggiornate, siano messe a disposizione delle Commissioni territoriali, secondo le modalità indicate dal regolamento da emanare ai sensi dell’art. 38 e siano altresì fornite agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative”.
Le Country of Origin Information (cosiddette “C.O.I.”) assumono quindi un ruolo centrale nell’istruzione e nella decisione delle domande di protezione internazionale, poichè la relativa decisione deve essere assunta, per precisa disposizione normativa, sulla base delle notizie sul Paese di origine, o di transito, del richiedente che siano tratte da fonti informative specifiche ed aggiornate. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha violato tale disposizione, poichè si è limitata ad affermare che “Il Senegal, ed anche la zona di provenienza dell’appellante, il Casamance, non può dirsi caratterizzato da una situazione configurabile come conflitto armato e nemmeno da un contesto di violenza generalizzata…” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), senza aver cura di indicare alcuna fonte informativa a suffragio di tale conclusione. L’omissione non consente di verificare l’attendibilità e la pertinenza dell’informazione utilizzata dal giudice di merito, e si riflette pertanto in una violazione dell’obbligo di collaborazione istruttoria previsto e declinato dal già richiamato del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. Merita, al riguardo, di essere affermato il seguente principio, in linea con quanto ormai costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte:
“Il riferimento operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle fonti informative privilegiate deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv. 653887; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9230 del 20/05/2020, Rv. 657701; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13255 del 30/06/2020, Rv. 658130). A tal fine, il giudice di merito è tenuto ad indicare l’autorità o ente dalla quale la fonte consultata proviene e la data o l’anno di pubblicazione, in modo da assicurare la verifica del rispetto dei requisiti di precisione e aggiornamento previsti dal richiamato del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3”.
Non rileva, ai fini della decisione del presente ricorso, l’inserimento del Senegal nell’ambito dell’elenco dei cosiddetti “Paesi sicuri” di cui al D.M. Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale 4 ottobre 2019, art. 1, inserito in G.U. n. 235 del 7.10.2019. Infatti, in disparte ogni considerazione circa l’applicabilità di detta normativa sopravvenuta ai giudizi in corso e alle domande già presentate, anche alla luce di quanto affermato dalla recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 29460 del 13.11.2019, va considerato che l’inserimento del Paese nel predetto elenco non preclude la possibilità per il ricorrente di dedurre la propria provenienza da una specifica area del Paese stesso interessata a fenomeni di violenza e insicurezza generalizzata che, ancorchè territorialmente circoscritti, possono essere rilevanti ai fini della concessione della protezione internazionale o umanitaria, nè esclude il dovere del giudice, in presenza di detta allegazione, di procedere all’accertamento in concreto sulla pericolosità di detta zona e sulla rilevanza dei predetti fenomeni.
Dall’accoglimento del primo e del terzo motivo deriva l’assorbimento del secondo, con il quale il ricorrente lamentava il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, la cassazione della decisione impugnata in relazione alle censure accolte ed il rinvio della causa alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2021