Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.695 del 18/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14625/2016 proposto da:

RE MA. COOPERATIVA SOCIALE A.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SICILIA N. 253, presso lo studio dell’avvocato IVO MAZZONE, rappresentata e difesa dall’avvocato PIETRO D’EGIDIO;

– ricorrente –

contro

D.C.T.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1506/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 03/06/2016 R.G.N. 781/2014.

RILEVATO

che, con sentenza pubblicata in data 3.6.2016, la Corte di Appello di Bari, riformando la sentenza n. 236/2014, emessa dal Tribunale di Trani il 24.1.2014, ha condannato la Re Ma. Cooperativa Sociale a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore di D.C.T., della somma di Euro 7.572,14, oltre accessori, come per legge; che per la cassazione della pronunzia la Re Ma. Cooperativa Sociale a r.l. ha proposto ricorso affidato a tre motivi; che D.C.T. non ha svolto attività difensiva; che il P.G. non ha formulato richieste.

CONSIDERATO

che, preliminarmente, deve rilevarsi che è stato depositato presso la cancelleria della Sezione lavoro della Corte di Cassazione l’originale dell’atto di rinunzia al ricorso, sottoscritto dal Presidente del Consiglio di Amministrazione, legale rappresentante pro tempore, della Re Ma- Cooperativa Sociale a r.l., C.C., e dal difensore, avv. Pietro D’Egidio, nel quale si dà atto che la società ed il D.C. “hanno definito in via conciliativa ogni controversia pendente ivi compresa quella oggetto della sentenza n. 1506/2016 emessa dalla Corte di Appello di Bari sezione lavoro”, oggetto del presente giudizio, e, pertanto, la società ricorrente “dichiara di rinunciare, come in effetti rinuncia, al ricorso per cassazione iscritto al R.G. n. 14625/2016 – Sezione Lavoro”, perchè “non intende coltivare il giudizio indicato in epigrafe”;

che la rinunzia, pur se non notificata, come nella fattispecie, alla parte, peraltro rimasta intimata, produce, ai sensi dell’art. 390 c.p.c., l’estinzione del procedimento, non avendo, peraltro, la stessa carattere accettizio, e non richiedendo, appunto, l’accettazione della controparte per produrre effetti processuali (cfr., ex plurimis, Cass. ord. n. 7535/2019; Cass. nn. 3971/2015; 9857/2011; 21894/2009);

che “l’accettazione della controparte rileva unicamente quanto alla regolamentazione delle spese, stabilendo dell’art. 391 c.p.c., comma 2, che, in assenza di accettazione, la sentenza che dichiara l’estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese” (cfr. Cass. ord. n. 7535, cit.);

che sussistono, pertanto, i presupposti di cui agli artt. 390 e 391 c.p.c., per dichiarare l’estinzione del giudizio;

che, nella fattispecie, comunque, nulla va disposto in ordine alle spese, poichè D.C.T. è rimasto intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara estinto il processo.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2021

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