LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6820/2016 proposto da:
F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 7, presso lo studio dell’avvocato SARA D’ONOFRIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CONSOLO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1705/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/03/2015 r.g.n. 2633/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato SARA D’ONOFRIO;
udito l’Avvocato MAURO PASSARO, per delega verbale Avvocato GIUSEPPE CONSOLO.
FATTI DI CAUSA
1. F.A. ha adito il giudice del lavoro chiedendo, previa declaratoria della nullità del termine apposto a vari contratti stipulati nel periodo 1985/2003 con RAI Radiotelevisione italiana s.p.a., accertarsi la esistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la condanna della società alla relativa ricostituzione oltre che al pagamento delle retribuzioni maturate tra la data di scadenza dell’ultimo contratto fino all’effettivo ripristino o reintegrazione nel rapporto medesimo.
2. Il Tribunale ha respinto la domanda.
3. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 3696/2007, in riforma della decisione di primo grado ed in parziale accoglimento dell’appello della F., ha dichiarato la nullità dei contratti a termine intercorsi con la RAI Radiotelevisione italiana s.p.a. nel periodo compreso tra il 16.10.1985 e il 3.7.1996, la esistenza, per l’effetto, di un unico rapporto a tempo indeterminato avente decorrenza dal 16.10.1985 al 3.7.1996; ha confermato il rigetto della domanda di accertamento della nullità del termine apposto ai contratti stipulati nel periodo successivo rilevando l’effetto novativo del rapporto a tempo indeterminato connesso alla loro legittima stipulazione.
4. La Corte di cassazione, pronunziando sul ricorso principale della F. e su quello incidentale di RAI Radiotelevisione italiana s.p.a., respinto quest’ultimo, in accoglimento dell’impugnazione della lavoratrice, ha cassato con rinvio la decisione di secondo grado, ritenendo il difetto di motivazione in relazione all’effetto novativo connesso alla stipula dei contratti a termine nel periodo successivo al luglio 1996.
5. La Corte di appello di Roma, quale giudice del rinvio, ha dichiarato la esistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 16.10.1985 e la sua giuridica prosecuzione e ordinato alla RAI Radiotelevisione italiana s.p.a. la riammissione in servizio della ricorrente con inquadramento di programmista regista del III livello del CCNL e diritto alla relativa retribuzione; ha condannato la società a corrispondere alla lavoratrice l’indennizzo L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, nella misura di 12 mensilità, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla sentenza; ha compensato interamente tra le parti le spese di tutte le fasi del giudizio.
6. Per quel che ancora rileva, il giudice del rinvio, escluso l’effetto novativo connesso alla stipula di (legittimi) contratti a termine nel periodo successivo al luglio 1996, accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tutt’ora in atto fra le parti, ha liquidato la indennità risarcitoria L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, determinata nella misura massima di dodici mensilità, a copertura del periodo fino alla sentenza di rinvio; ha giustificato la integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio con “il contrasto in giurisprudenza nel merito e le novità legislative in materia”.
7. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso F.A. sulla base di due motivi; la società intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
8. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per la compensazione delle spese di lite dell’intero giudizio; secondo la ricorrente tale statuizione si rivelava ingiustificata posto che nel giudizio rescindente la F. era risultata interamente vittoriosa; la definizione della conseguenze risarcitorie in conformità dello ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, non inficiava la sostanziale soccombenza di controparte.
2. Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 e della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13. Censura la sentenza impugnata per avere affermato che l’indennità ex art. 32 cit., copriva l’arco temporale compreso tra la stipula del (primo) contratto a termine dichiarato nullo e la sentenza pronunziata in sede di rinvio sull’implicito presupposto che solo quest’ultima aveva ricostituito il rapporto di lavoro; sostiene che, al contrario, l’effetto ricostitutivo si era già verificato con la sentenza di appello, solo parzialmente cassata, la quale aveva dichiarato ” la nullità dei contratti a termine intercorsi tra le parti nel periodo 16.10.1985 e l’unificazione in un unico rapporto a tempo determinato dal 16.10.1985 al 3.7.1996"; tanto comportava che l’indennità ex art. 32 cit., fosse destinata a ristorare il solo periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronunzia di appello che, con statuizione definitiva, aveva ricostituito il rapporto di lavoro a decorrere dal primo contratto a termine, con la implicita conseguenza che per il periodo successivo la lavoratrice dovesse essere ristorata secondo gli ordinari criteri; assume che una diversa lettura della norma di interpretazione autentica di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13, circa il significato della espressione ” ricostituzione ” si prestava a dubbi di incostituzionalità per violazione degli artt. 3 e 102 Cost..
3. Ragioni di ordine logico-giuridico impongono di esaminare con priorità il secondo motivo di ricorso l’eventuale accoglimento del quale comporterebbe la necessità di un rinnovato regolamento delle spese di lite con effetto di assorbimento dell’esame del primo motivo di ricorso.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. Come è noto la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, (comma successivamente abrogato dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 55), nel testo applicabile ratione temporis, ha statuito che ” Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8".
Il legislatore, con la norma di interpretazione autentica di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 13, comma 1, ha chiarito che “La disposizione di cui della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.
3.2. Secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimità il carattere omnicomprensivo della indennità risarcitoria, valorizzato dalla norma di interpretazione autentica, comporta che essa ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, ossia è esaustiva di tutti i danni che sono conseguenza, sul piano retributivo e contributivo, della perdita del lavoro in relazione al periodo decorrente dalla cessazione del rapporto a termine alla sentenza che ne ha disposto la ricostituzione (v. tra le altre, Cass. 20/11/2018, n. 29949; Cass. 09/01/2015, n. 151, Cass. 07/09/2012, n. 14996). Per il periodo successivo alla sentenza, in ipotesi di persistente inadempimento all’obbligo datoriale di ripristino del rapporto, la misura della responsabilità datoriale sarà determinata secondo gli ordinari criteri e non nella misura forfettizzata stabilità dalla L. n. 183 del 2010, art. 32.
3.3. La questione specificamente investita con il motivo in esame concerne la corretta identificazione della sentenza che dispone “la ricostituzione” del rapporto, questione che nasce dalla singolarità della vicenda processuale in esame nella quale la sentenza di appello, non cassata in parte qua, aveva accertato la illegittimità del termine apposto al primo contratto e la esistenza, per l’effetto, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato che, con statuizione poi cassata, aveva ritenuto estinto per novazione.
3.4. Ritiene il collegio che con riferimento alle conseguenze risarcitorie, la sentenza che “ricostituisce” il rapporto debba identificarsi in quella emessa dal giudice del rinvio e non in quella emessa dal primo giudice di appello, cassata nella parte relativa all’accertamento della estinzione del rapporto fondata sul realizzarsi dell’effetto novativo connesso alla stipula di successivi contratti a termine.
3.5. Occorre a tal fine considerare che il rapporto a tempo indeterminato quale accertato dal primo giudice di appello è venuto meno con la cassazione di quella decisione; tale rapporto coincideva con quello accertato dal giudice del rinvio solo nel momento genetico (aprile 1985) ma non anche nel momento funzionale; il rapporto convertito dal primo giudice di appello aveva durata temporale limitata essendosi – nella prospettiva di quel giudice – estinto per novazione e, soprattutto, esso non ha generato alcun obbligo risarcitorio a carico della parte datrice di lavoro; nè con riferimento al periodo antecedente alla prima sentenza di appello, nè con riferimento al periodo successivo; il rapporto accertato dal giudice del rinvio si connota per la sua persistente vigenza e in quanto fonte di responsabilità risarcitoria per la RAI che è stata condannata alla indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32; l’ordine di riammissione al lavoro della F. si configura, a sua volta, come potenzialmente generatore dell’obbligo risarcitorio della società per l’ipotesi di inadempimento dello stesso, in relazione al periodo successivo alla sentenza.
3.6. La differente ricostruzione della concreta fattispecie ad opera del primo giudice di appello e del giudice del rinvio assume rilievo dirimente per il profilo di interesse; se al rapporto ricostituito dalla Corte di appello non era collegato, in ragione dell’accertamento della sua limitata durata temporale, alcun persistente obbligo di riammissione al lavoro della F. a carico della società datrice, tanto rende in radice inconfigurabile, in relazione al periodo successivo alla sentenza, l’inadempimento datoriale generatore di responsabilità risarcitoria, come invece implicitamente preteso dalla odierna ricorrente nel chiedere che l’indennità ex art. 32 cit., fosse riferita alla sentenza di appello poi in parte cassata.
3.7. Il rapporto a tempo indeterminato, quale accertato dal giudice del rinvio, è fonte di responsabilità risarcitoria (per la mancata riammissione in servizio) a carico della parte datrice; il relativo contenuto è stato determinato in misura forfettizzata, in conformità dello ius superveniens rappresentato dalla disciplina dettata della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, per il periodo fino alla sentenza di rinvio laddove, per l’ipotesi del protrarsi dell’inadempimento in epoca successiva alla sentenza qui impugnata, il pregiudizio sofferto dalla lavoratrice dovrà essere ristorato secondo gli ordinari criteri e non in misura forfettizzata; tanto, come detto, rende incongrua la prefigurazione, sollecitata dalla parte ricorrente, di un obbligo risarcitorio in relazione al periodo successivo alla pronunzia del primo giudice di appello, intervenuta nell’anno 2007, il cui dictum escludeva per la società datrice un obbligo di ripristino del rapporto di lavoro al cui inadempimento correlare la responsabilità datoriale.
3.7. La individuazione della sentenza del giudice del rinvio come quella di ricostituzione del rapporto ai fini della determinazione del periodo coperto dalla indennità risarcitoria appare, inoltre, coerente con la complessiva ratio ispiratrice della disciplina dettata dell’art. 32 cit., maturata, secondo quanto anche riconosciuto dalla Corte Cost. (sent. n. 303/2011), nel contesto di obiettive incertezze verificatesi nell’esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente, con l’esito di risarcimenti ingiustificatamente differenziati in misura eccessiva (Corte Cost. n. 303/2011); a tale incertezza si è inteso porre riparo con la introduzione di un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione rappresentato dalla previsione di un’indennità risarcitoria destinata a coprire il periodo compreso fino alla sentenza di conversione; in tale contesto, l’avere il legislatore ancorato alla sentenza dichiarativa della conversione l’insorgere dell’obbligazione del risarcimento del danno, modulata solo con riferimento al periodo fino alla sentenza di ricostituzione del rapporto nei limiti e secondo i criteri sanciti dall’art. 32, comma 5, L. cit. e, quindi, per il periodo successivo secondo gli ordinari criteri, trova giustificazione sotto il profilo del diverso grado di consapevolezza da parte del soggetto datore di lavoro circa la sussistenza o meno dell’obbligo di riammissione al lavoro; una volta eliminata, con la sentenza di ricostituzione del rapporto di lavoro, ogni incertezza circa la avvenuta conversione ed il connesso obbligo di riammissione del lavoratore, non vi era ragione per escludere la determinazione in misura corrispondente all’effettivo pregiudizio subito del ristoro spettante al lavoratore e non in misura forfettizzata, come per il periodo fino alla sentenza di ricostituzione.
3.8. Le considerazioni che precedono confermano la conformità a diritto della decisione emessa in sede di rinvio.
3.9. La soluzione adottata si sottrae alle censure di incostituzionalità, peraltro genericamente argomentate dalla odierna ricorrente, in quanto si pone in linea di continuità con Corte Cost. n. 103/2011 che ha escluso il contrasto del meccanismo prefigurato dalla disciplina dettata dall’art. 32, comma 5 cit., con superiori principi costituzionali.
4. Il rigetto del secondo motivo di ricorso comporta la necessità di esame del primo motivo incentrato sul regolamento delle spese di lite.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Il collegio ritiene di dare continuità alla condivisibile e consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale in tema di spese processuali il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr. tra le altre, Cass. 17/10/2017, n. 24502; Cass. 31/03/2017, n. 8421; Cass. 19/06/2013 n. 15317).
5. La novità della questione trattata e la singolarità della vicenda processuale giustificano la compensazione delle spese di lite del giudizio di legittimità, che sono regolate, in ragione della data di deposito del ricorso introduttivo (8 luglio 2004) dalla disciplina antecedente alla novella di cui alla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), disciplina la quale, al di fuori della ipotesi di soccombenza reciproca, ammette la compensazione delle spese di lite per la sussistenza di “giusti motivi”.
6. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 20/09/2019, n. 23535).
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese di lite.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2021