Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.716 del 18/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28671/2019 proposto da:

O.A.E., rappresentata e difesa dall’avv.to Chiara Bellini, del Foro di Vicenza con studio in Vicenza Piazzetta Palladio 11, chiarabellini.ordineavvocativicenza.it, giusta procura speciale allegata al ricorso, elettivamente domiciliata presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione in Roma, Piazza Cavour;

– ricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE CROTONE;

e MINISTERO DELL’INTERNO in persone del Ministro pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza n. 850/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 18/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

RILEVATO

che:

1. O.A.E., proveniente dalla *****, ricorre affidandosi a tre motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro con la quale veniva respinta l’impugnazione avverso la pronuncia del Tribunale che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere la protezione internazionale declinata nelle varie forme gradate in ragione del rigetto dell’istanza proposta dinanzi alla competente Commissione Territoriale.

1.1 Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente aveva narrato di essersi trasferito nel centro Nord della Nigeria per ragioni familiari ed, essendo cristiano, di aver assistito ai conflitti religiosi con i musulmani, spesso degenerati in violente forme di persecuzione. Ha aggiunto di essere fuggito in quanto era rimasto senza famiglia, essendo deceduto anche il padre, e di temere che in caso di rimpatrio sarebbe stato vittima di nuova persecuzione religiosa.

2. La parte intimata non si è difesa.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), artt. 5, 7 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 ed D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. C).

1.1. Assume che la Corte aveva erroneamente dichiarato l’inammissibilità dell’appello rendendo una motivazione sovrapponibile a quella di primo grado e ritenendo immotivatamente non credibile il suo racconto.

1.2. Con il secondo motivo, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a ed e), in punto di onus probandi, cooperazione istruttoria e criteri normativi di valutazione degli elementi di prova e delle dichiarazioni rese nei procedimenti di protezione internazionale.

Lamenta che la Corte non aveva valutato compiutamente la situazione del paese di origine, enunciando di aver fornito elementi concreti in ordine al pericolo cui sarebbe stato esposto in caso di rimpatrio.

1.3. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente deduce la violazione del principio del “non refoulement” di cui all’art. 3 CEDU e art. 33 Convenzione di Ginevra.

2. I motivi sono tutti inammissibili.

2.1 Quanto al primo, infatti, le censure articolate sono generiche e non coerenti con la decisione impugnata: la Corte, invero, lungi dal dichiarare l’inammissibilità dei motivi d’appello, ha letteralmente affermato che “a prescindere dal rilievo di inammissibilità, sollevato in prime cure, atteso che l’istante ha confermato la versione dei fatti già fornita nel 2009, alla quale era seguito un provvedimento di diniego, limitandosi ad osservare che gli islamici lo stanno ancora cercando, va osservato che le dichiarazioni rese dal richiedente appaiono carenti dei requisiti di veridicità” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).

Tale argomentazione, del tutto plausibile, viene erroneamente fatta coincidere con la dichiarazione di inammissibilità dei motivi che non è mai stata dichiarata (cfr., oltretutto, il dispositivo di rigetto): risulta, invece, che sia stata affrontata la valutazione della credibilità con una motivazione che, pur sintetica, il Collegio ritiene al di sopra della sufficienza costituzionale, visto che l’inattendibilità è stata motivata con l’assenza di una indicazione circostanziata delle minacce subite e di elementi utili a corroborare il suo racconto, carenze, queste, che rendono impossibile applicare il principio (invocato) del “beneficio del dubbio”. E’ stata, infatti, espressa la certezza della non plausibilità della narrazione, non ricorrendo nessuno dei presupposti indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (cfr. pag. 5 penultimo cpv. della sentenza impugnata).

2.2. Quanto al secondo, le censure proposte sono generiche ed inconducenti.

2.2.1. In primo luogo, le argomentazioni ad esse sottese sono incoerenti con la rubrica formulata e del tutto estranee alle due prescrizioni della norma che si ritengono violate (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a ed e).

2.2.2. In secondo luogo, la Corte non ha messo in discussione la fede cristiana del ricorrente (ragione per cui il documento attestante la sua fede religiosa v. pag. 7 del ricorso – non risulta decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia), ma ha escluso, sulla base di fonti informative attendibili (report Easo 2017; report Fund for Peace del gennaio – marzo 2016) e non contraddette dal ricorrente sulla questione specifica, che la condizione di violenza generalizzata ed aggressione di matrice islamica (da parte del gruppo di *****) fosse concentrata nella parte nord – est del paese, mentre la città di residenza del ricorrente era situata nel centro nord della Nigeria, zona dove le aggressioni di matrice etnica e religiosa erano del tutto episodiche e non idonee a configurare i presupposti delle forme di protezione maggiore invocata.

2.2.3. In terzo luogo, infine, in relazione al diniego della protezione umanitaria, la censura è del tutto priva di specificità ed è costruita attraverso il mero collage delle motivazioni di varie pronunce di merito che rafforzano la valutazione di inammissibilità del motivo (cfr. al riguardo Cass. 15936/2018; Cass. 4905/2020).

2.3. Quanto al terzo, parzialmente sovrapponibile al precedente, esso non si fonda su contestazioni specifiche ma sul mero enunciato della possibile esposizione, in caso di rimpatrio, a torture o altre forme di trattamento inumano e degradante, senza alcun riferimento ad una situazione concreta e specifica che renda configurabile il rischio dedotto in relazione alle condizioni della regione di residenza del ricorrente.

3. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

4. La mancata difesa della parte intimata esime la Corte dalla decisione sulle spese Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2021

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