LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17-2015 proposto da:
D.A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati REMO DOMINICI, ANDREA BODRITO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 114/2013 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA, depositata il 28/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/11/2020 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.
RILEVATO
che:
Il prof. D.A.L., docente universitario e dottore commercialista, premesso di aver provveduto al pagamento dell’IRAP per gli anni 2000 (secondo acconto e saldo), 2001, 2002, 2003 (primo e secondo acconto), per complessivi Euro 81.312,36, ritenendo che non sussistessero i presupposti per essere considerato soggetto passivo d’imposta, propose domanda di rimborso in relazione a quanto già versato, oltre interessi.
Formatosi su di essa il silenzio – rifiuto da parte dell’Amministrazione finanziaria, il contribuente lo impugnò dinanzi alla Commissione tributaria (CTP) di Genova, che respinse il ricorso.
L’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza di primo grado dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) della Liguria fu a sua volta respinto con sentenza n. 114, depositata il 28 ottobre 2013, non notificata.
Avverso detta sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Parte ricorrente ha altresì depositato memoria si sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata ha statuito che quanto sostenuto dal contribuente in merito alle cariche di amministratore, sindaco o revisore e per la redazione di articoli destinati ai giornali, riviste e simili, per lo svolgimento delle quali non v’è alcuna possibilità che organizzazione di sorta possa sostituirsi al professionista, la relativa questione integrasse domanda nuova e pertanto inammissibile nel giudizio d’appello ai sensi del cit. D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57.
Il ricorrente lamenta, infatti, che la sentenza impugnata non abbia fatto corretta applicazione della norma in oggetto, essendo stata la questione già posta nel primo grado di giudizio, ove anzi, era stata specificata l’entità dei compensi percepiti per lo svolgimento delle anzidette attività onde consentirne lo scorporo dal complesso dell’attività svolta dal contribuente medesimo come libero professionista con l’ausilio dell’organizzazione del proprio studio professionale, essendo state in appello svolte soltanto ulteriori precisazioni che non potevano in alcun modo essere considerate idonee ad ampliare il thema decidendum.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnato ha qualificato quella del proprio studio professionale come “autonoma organizzazione”, rilevante ai fini della sussistenza del presupposto impositivo del tributo in oggetto, ciò non solo con riferimento alla quota -parte di base imponibile riveniente dalle attività di sindaco o revisore di società, o anche alla quota parte di compensi derivanti da lezioni e diritti d’autore, o dall’espletamento d’incarichi peritali quale consulente tecnico d’ufficio o di parte, che trova sempre fonte nell’attività personale del professionista, ma anche in relazione alle caratteristiche dello studio, di mq. 15, sito in *****, che poteva essere utilizzato solo dall’esponente, all’apporto di segretarie con mansioni meramente esecutive ed ai compensi corrisposti a terzi, dei quali nel giudizio di merito era stata comprovata la causale.
3. Il primo motivo è fondato.
3.1. Va opportunamente premesso che nelle liti di rimborso il contribuente assume la veste di attore anche in senso sostanziale.
Ciò premesso, questa Corte ha chiarito, in tema di contenzioso tributario, che si ha domanda nuova, inammissibile in appello, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, per modificazione della causa petendi quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema d’indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, ord. 23 luglio 2020, n. 15730; Cass. sez. 5, 16 febbraio 2012, n. 2201).
3.2. Nella fattispecie in esame, da quanto riportato in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza, è dato rilevare che il contribuente, nel contestare sin dal ricorso introduttivo del giudizio di primo grado la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, quale presupposto impositivo dell’IRAP, ha offerto un dettagliato elenco dei compensi (tra cui quelli riferibili allo svolgimento dell’attività di sindaco o revisore di società), con relativa quantificazione, al fine di consentirne la possibile disamina separata, rispetto a quelli conseguenti alla propria attività di dottore commercialista supportata dal proprio studio professionale, da parte del giudice adito.
3.3. Il fatto che in appello siano state dedotte ulteriori considerazioni a sostegno, in parte qua, del proprio assunto circa l’asserita non debenza dell’IRAP, non amplia il thema decidendum, ma implica il supporto di precisazioni che non mutano l’ambito della contestazione della pretesa riferita a quei compensi per la cui produzione il professionista non si è avvalso dell’organizzazione dello studio professionale riferita alla propria responsabilità.
4. Il secondo motivo è ugualmente fondato, nei limiti di seguito precisati.
4.1. Questa Corte, in relazione ad analogo contenzioso in tema di IRAP riferito a diverse annualità d’imposta tra le stesse parti, in relazione al primo profilo ivi dedotto, concernente la medesima questione, questa volta riguardata sotto l’aspetto sostanziale, di cui al paragrafo che precede, ha affermato che “il dottore commercialista che svolga anche attività di sindaco e revisore di società non soggiace ad IRAP per il reddito netto di tale attività, in quanto soggetta ad imposizione è unicamente l’eccedenza dei compensi rispetto alla produttività auto-organizzata”, (così, inter partes, Cass. sez. 6-5, ord. 21 marzo 2019, n. 8075, che richiama a sua volta Cass. sez. 65, ord. 27 maggio 2018, n. 12052), fermo l’onere del contribuente di provare la separatezza dei redditi di cui predica lo scorporo (cfr. Cass. 6-5, ord. 5 marzo 2012, n. 3434; si vedano anche, in materia Cass. sez. 6-5, ord. 3 luglio 2017, n. 16372 e Cass. sez. 5, ord. 4 luglio 2019, n. 17987).
4.1.1. Nella fattispecie in esame, come si rileva dal ricorso autosufficiente, il professionista ha chiesto di scorporare i proventi per attività di sindaco e per altre cariche sociali, per lezioni e diritti di autore, consulenze tecniche di ufficio e di parte, sicchè il giudice di appello, riferendo il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione anche a tali redditi senza alcun vaglio specifico, ha violato i menzionati principi di diritto.
4.2. Con riferimento al secondo profilo, in relazione al quale parte ricorrente si duole della falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, per la ritenuta sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione quanto al valore della produzione implementata dallo studio professionale facente capo alla responsabilità del professionista, il motivo è invece infondato.
4.2.1. Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. SU, 10 maggio 2016, n. 9451) hanno definitivamente chiarito che il requisito dell’autonoma organizzazione, quale presupposto impositivo dell’IRAP, ricorre quando il contribuente: a) sia responsabile dell’organizzazione; b) impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure impieghi più di un collaboratore con mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.
4.2.2. Nella fattispecie in esame, sebbene il giudice tributario d’appello abbia concluso per la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, per gli anni in oggetto, senza uno specifico accertamento dell’utilizzazione, da parte del professionista, degli elementi sopra indicati, la sentenza in parte qua nel suo decisum risulta comunque in linea con il principio di diritto sopra enunciato, essendo incontroverso in fatto, in quanto esplicitato dallo stesso ricorrente (cfr. pag. 4 del ricorso) che egli, per le annualità in esame, si sia avvalso almeno di due segretarie, una a tempo pieno e l’altra a tempo parziale, quest’ultima per mezza giornata, e di due studi professionali destinati all’esercizio esclusivo dell’attività, situati l’uno in Genova e l’altro in Milano, la limitata superficie del quale ultimo non fa venir meno il rilievo che la disponibilità di un ulteriore, pur esiguo studio, in città diversa dalla propria, fulcro peraltro delle attività produttive del Paese, ecceda il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, restando pertanto del pari irrilevante la non compiuta disamina, da parte del giudice di merito, della natura dei compensi a terzi, in via generale necessaria, stante il principio, pur affermato da questa Corte, secondo cui il valore assoluto dei compensi e dei costi ed il loro reciproco rapporto percentuale non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista (cfr. la già citata Cass. ord. n. 8075/2019; Cass. sez. 6-5, ord. 8 novembre 2016, n. 22705).
5. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti, nei termini sopra precisati quanto al secondo, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, che, nel’uniformarsi ai principi di diritto sopra indicati, provvederà anche in ordine alla spese del giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021