Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.777 del 19/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10173/2017 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 278, presso lo studio dell’avvocato CLAUDICA CANNIZZARO, rappresentato e difeso da sè stesso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, *****, MINISTERO DIFESA, *****, IN PERSONA DEI RISPETTIVI MINISTRO PRO TRMPORE, PUBBLICO MINISTERO TRIBUNALE BRINDISI;

– intimati –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di BRINDISI, depositata il 03/03/2017; (Rg. 5006/15);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN FATTO

è stata impugnata da S.A. l’ordinanza, D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 84 e 170, D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15 e art. 702-ter c.p.c., emessa il 3 marzo 2017 dal Tribunale di Brindisi.

Con tale provvedimento veniva rigettata l’opposizione proposta avverso il decreto di liquidazione dei compensi in favore dell’avv. S. in relazione al procedimento civile n. 2354/2016 R.G. Lav. (nel quale era parte ammessa a gratuito patrocinio l’assistita D.C.).

Il ricorso è fondato su un unico articolato motivo e non è resistito dalle parti intimate.

Giova, anche al fine di una migliore comprensione della fattispecie in giudizio, riepilogare, in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue.

La gravata ordinanza, in particolare, confermava l’impugnato decreto di liquidazione, che aveva dimidiato i compensi richiesti (dal difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio) rispetto a quelli liquidati nella sentenza di cui al citato procedimento in favore della controparte risultata vittoriosa in giudizio.

L’esame del ricorso, già assegnato alla Sezione Sesta civile – II veniva, con ordinanza interlocutoria del 15 marzo 2018, rinviato alla pubblica udienza.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Col motivo del ricorso si censura, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, il vizio di violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82,130 e 133, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Nella sostanza parte ricorrente lamenta la subita diminuzione delle spese liquidate rispetto a quelle dovute da parte del soccombente nella causa in cui veniva espletata la difesa in favore dell’ammesso al gratuito patrocinio.

1.1- L’impugnata ordinanza ha ritenuto che non vi era necessità di equivalenza fra le due suddette entità delle spese.

La decisione gravata risulta conforme all’orientamento, ormai consolidato ed in questa sede ribadito, che esclude la necessità -quanto al giudizio civile – della necessaria coincidenza delle liquidazioni dei compensi in favore dello Stato e del difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio.

Per la verità – quanto al giudizio penale – è nota l’interpretazione, in punto di liquidazione delle stesse, data a suo tempo da questa Corte (Cass. civ., Sez. VI – 2a, Ord. 16 settembre 2016 n. 18167).

Con quella ordinanza, con specifico riguardo alla regolamentazione delle spese nel processo penale, si affermo che “qualora nell’ambito di un giudizio civile risulti vittoriosa la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il giudice è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 103 del medesimo Decreto, al fine di evitare che l’eventuale divario possa costituire occasione di ingiusto profitto dello Stato a discapito del soccombente ovvero, al contrario, di danno erariale”.

Tale decisione traeva, invero, spunto da precedente sentenza (la n. 46537/2011, citata e, peraltro, ampiamente riportata nella parte motiva della stessa succitata ordinanza), con la quale si sanciva il principio che “qualora, nell’ambito di un giudizio penale, l’imputato sia condannato anche alla refusione delle spese giudiziali in favore della parte civile ammessa a gratuito patrocinio, la quantificazione degli onorari e delle spese ex artt. 82 e segg. T.U., liquidate dallo Stato a favore del difensore del non abbiente, deve necessariamente corrispondere alla quantificazione delle somme dovute dall’imputato allo Stato anticipatario, secondo il meccanismo dell’art. 110 T.U.”. Orbene la sentenza, citata nella detta ordinanza del 2016, ha dato modo a questa stessa Corte di puntualizzare, con successiva e consolidata giurisprudenza, la differenza al riguardo fra i meccanismi di quantificazione delle spese nell’ambito del processo civile e penale.

Ed, infatti, si è di seguito chiarito che “in tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora risulti vittoriosa la parte ammessa al detto patrocinio, il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo D.P.R., alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130. In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l’eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità” (Cass. civ., Sez. seconda, Ord. 11 settembre 2018, n. 22017).

Questo orientamento è stato, di seguito, costantemente confermato (Cass., Sez. Sesta – Lav., Ord. 3 maggio 2019, n. 11590, nonchè Cass. n.ri 19/2020 e 136/2020).

La stessa parte ricorrente ammette espressamente di aver preso atto che “il Supremo Collegio ha cambiato orientamento in punto di coincidenza delle due liquidazioni, affermando che in sede civile non troverebbe applicazione il suddetto principio, valevole, unicamente, nei giudizi penali” (cfr.: memoria ex art. 378 c.p.c., p. 2).

Orbene (e come rilevato dal P.G.), poichè la ratio della gravata decisione finisce per andare proprio nel senso delle anzidette pronunce dal 2018 in poi di questa Corte, l’articolato motivo del ricorso non può ritenersi fondato.

A nulla, in senso contrario, può valere la prospettazione da ultimo formulata dalla odierna parte ricorrente e secondo cui sarebbe intervenuto il giudicato in tema di necessaria coincidenza delle liquidazioni giacchè la ragione della decisione impugnava verteva sul difetto di interesse del difensore a dolersi della svolta e contestata liquidazione. Per la verità la questione dell’interesse ad agire fu, con l’ordinanza impugnata, svolta con riferimento alla posizione, in quel procedimento, della parte D.C. ritenuta mancante di legittimazione ad agire ai sensi e conformemente a Cass. n. 10705/2014 (secondo cui è il solo difensore e non la parte personalmente a poter legittimamente impugnare il decreto di liquidazione del compenso).

Neppure la mera affermazione, di cui nel testo della motivazione del provvedimento gravato, di non condividere “il ragionamento seguito dal Giudice del lavoro”, che – aveva già ritenuto la non applicabilità anche al processo civile della necessaria coincidenza delle liquidazioni valevole per il procedimento penale – può ritenersi costituire giudicato che consenta oggi l’accoglimento (con pronunzia contraria a principio di diritto ed alla esplicita ratio, quantomeno del primo giudice) del motivo qui in esame.

Quest’ultimo va, quindi, respinto.

2.- Il ricorso deve, dunque, essere rigettato.

3.- Nulla per le spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’Amministrazione intimata.

4.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

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