Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.782 del 19/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente di Sez. –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10983/2019 proposto da:

V.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GARGANO 26, presso lo studio dell’avvocato CAROLA CICCONETTI, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIO BARRA, e GIUSEPPE OLIVIERI;

– ricorrente –

contro

ABC – ACQUA BENE COMUNE NAPOLI AZIENDA SPECIALE, (già ARIN AZIENDA RISORSE IDRICHE DI NAPOLI S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tepore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato LIVIO LAVITOLA, rappresentata e difesa dall’avvocato MANLIO ROMANO;

– controricorrente –

e contro

REGIONE CAMPANIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 70/2019 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 21/02/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Livio Lavitola per delega dell’avvocato Manlio Romano.

FATTI DI CAUSA

V.C. ricorreva innanzi al T.A.R. della Campania avverso un decreto di acquisizione sanante, D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 42-bis, delle aree di proprietà di cui in atti emesso dalla Azienda Risorse Idriche S.p.a. (d’ora innanzi Arin).

Il ricorso era inteso al fine di ottenere, nei confronti della Arin, oggi ABC – Acqua Bene Comune Napoli Azienda Speciale, l’annullamento del decreto ed, inoltre, al condanna al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno derivante dall’acquisizione.

Quest’ultima era relativa ad aree di proprietà del ricorrente ubicate in Comune di Manocalzati (f. *****, part.lla *****) ed era conseguente all’occupazione, avutasi nel 1988, delle aree da parte del Consorzio GOI S.c.a.r.l (cui, nel tempo, subentrava la succitata ARIN) al fine della realizzazione di opera di trasformazione della pressione dell’acquedotto del *****.

L’adito T.A.R., con sentenza n. 5755/2015 del 16 dicembre 2015, dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione del Giudice amministravo in favore del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.

Il V. provvedeva, quindi, a riassumere il giudizio innanzi al T.S.A.P. con ricorso notificato il 22 luglio 2016.

Radicatosi il contraddittorio, il suddetto Tribunale, con sentenza n. 70/2019, dichiarava il ricorso inammissibile in quanto tardivo, compensando le spese di lite.

Con tale decisione si statuiva che il detto ricorso in riassunzione, proposto il 2 luglio 2016, era intempestivo in quanto svolto dopo il 15 giugno 2016, giorno di scadenza del termine di riassunzione del termine trimestrale per la riassunzione decorrente dal passaggio in giudicato della succitata decisione del T.A.R. verificatasi il 15 marzo 2016 per effetto della mancata impugnazione della stessa e giusta la dimidiazione dei termini (trimestrali, quindi, e non semestrali) per il passaggio in giudicato e la proposizione di appello giusta la previsione dell’art. 119 ed art. 11, comma 2 c.p.a..

Avverso la sentenza del T.A.S.P. ricorre, chiedendone la cassazione con tutte le conseguenze di legge, il V. con atto affidato a quattro motivi e resistiti con controricorso della azienda ABC. Le parti hanno depositato memorie.

Parte ricorrente, con nota pervenuta a mezzo P.E.C. in data 2 novembre 2020, ha svolto istanza di rinvio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- In primo luogo va esaminata l’istanza di rinvio.

La stessa va disattesa.

La mera allegazione del fatto che i difensori istanti sono, “per ragioni di età, soggetti fragili…considerata l’evoluzione della pandemia da Covid 19” non sostanzia una ragione di assoluta impossibilità ad essere presente alla odierna udienza svolta nel rispetto delle previste norme di prevenzione per il contenimento della pandemia in corso.

2.- Con il primo motivo del ricorso si deduce l’inapplicabilità, nella fattispecie, della riduzione dei termini di cui all’art. 119 c.p.c., al procedimento (in unico grado) davanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, regolato da rito speciale.

3.- Con il secondo motivo si denuncia l’erroneità della impugnata decisione in quanto la riproposizione della domanda avanti al Giudice investito della giurisdizione, ai sensi dell’art. 11, comma 2 c.p.a. darebbe luogo ad un nuovo giudizio, con conseguente esclusione della riduzione dei termini norma dell’art. 119 c.p.c., comma 2.

4.- I primi due motivi, in quanto fra loro connessi, possono essere trattati congiuntamente.

Parte ricorrente, nella sostanza, tende all’affermazione della esclusione dell’applicabilità dell’art. 119 cit.. Tanto in relazione ad una propria interpretazione per cui la dimidiazione del termine processuale sarebbe disposta in ordine al rapporto portato in causa e non anche in dipendenza dell’autorità giudiziaria davanti alla quale quel rapporto è stato dedotto.

La censura svolta non è fondata.

Quanto argomentato dalla parte ricorrente non può essere condiviso. Il TSAP non ha applicato l’art. 119 cit. al proprio procedimento, avviato con l’introduzione del giudizio a mezzo di ricorso in riassunzione del 22 luglio 2016.

Lo stesso Tribunale Superiore ha, invece e semplicemente, verificato se la domanda svolta e riproposta con la riassunzione era o meno rispettosa della norma di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 11 – c.p.a., che stabilisce come limite temporale perentorio il termine nell’ipotesi non rispettato per la riproposizione della causa avviata presso un giudice non munito di giurisdizione.

E, quando – così come nella fattispecie – il giudizio rientrava nell’ambito per il quale la disciplina del processo amministrativo prevede la riduzione alla metà di “tutti” i termini processuali, compreso quello che delimita la possibilità di impugnare la decisione, ed il cui superamento comportava la formazione del giudicato.

L’art. 11 cit. non poteva, quindi, che essere necessariamente applicato dal secondo giudice per poter stabilire se la norma sulla traslatio era stata o meno rispettata.

E’, quindi, infondata l’obiezione del ricorrente secondo cui, in tal modo, sarebbe stato dato rilievo al “tipo” di giudice adito più che alla natura del rapporto dedotto in giudizio.

I motivi vanno, quindi, respinti.

5.- Con il terzo motivo del ricorso si deduce, in via subordinate, che la violazione del termine trimestrale per la riproposizione della domanda (e non per la riassunzione della causa) davanti al Giudice ad quem non comporterebbe l’inammissibilità della svolta domanda, ma soltanto la perdita degli effetti sostanziali e processuali della domanda già svolta davanti al Giudice dichiaratosi privo della giurisdizione, irrilevante nei giudizi risarcitori nei quali non opererebbero i termini decadenziali.

Il motivo è infondato per la parte della domanda svolta dal ricorrente e tendente alla declaratoria di annullamento del decreto dell’autorità amministrativa.

La mancata rituale prosecuzione (o riproposizione e o riassunzione, che dir si voglia) del giudizio determinava in ogni caso l’esito della preclusione all’impugnativa avverso l’acquisizione sanante.

Ed anche l’analisi del distinguo fra riassunzione e riproposizione (di cui a Cass. civ., S.U. n. 27163/2018) non altera l’anzidetto esito.

In ordine, poi, al profilo – pure denunciato col motivo in esame – della statuizione nel merito sulla domanda risarcitoria (anche ammettendo di versare nell’ipotesi di domanda nuova ed autonoma), deve osservarsi quanto segue.

L’eventuale inesattezza decisoria, in punto, del TSAP – in quanto riconducibile all’art. 112 c.p.c., sotto il profilo dell’omessa pronuncia limitatamente alla detta parte della svolta domanda – sarebbe ovviabile e tutela bile attraverso lo strumento proprio della rettificazione di cui al R.D. n. 1175 del 1933, art. 204 e non a mezzo dell’impugnazione in Cassazione (ex plurimis: Cass. S.U. n. 488/2019).

Il motivo deve, dunque e nel suo complesso, essere respinto.

6.- Il quarto motivo del ricorso è relativo al carattere di motivazione apparente della decisione impugnata in relazione al diniego della rimessione in termini di cui all’art. 37 c.p.c..

La censura è del tutto infondata poichè, contrariamente a quanto lamentato, la motivazione della sentenza impugnata (v., in particolare p. 5) esplicita la ragione per cui non sussistevano le condizioni per la scusante e la giustificabile rimessione.

Il motivo va, pertanto, respinto.

7.- Il ricorso deve, quindi, essere rigettato.

8.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.

9.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte;

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore delle parte controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 5.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

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