Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.788 del 19/01/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Presidente di Sez. –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 32985/2019 proposto da:

CONSORZIO DI BONIFICA STORNARA E TARA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Ferrari 11, presso lo studio dell’avvocato Beniamino La Piscopia, rappresentato e difeso dall’avvocato Vittoria Ciavarella;

– ricorrente –

contro

ACQUEDOTTO PUGLIESE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Angelo Schittulli;

L.A., S.M.C., elettivamente domiciliati in Roma, Via Dardanelli 37, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Campanelli, rappresentati e difesi dagli avvocati Lucia Liuzzi, Giovanni Pignatelli, e Lucia Sardone;

– controricorrenti –

e contro

COMUNE DI FAGGIANO, REGIONE PUGLIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 104/2019 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 25/03/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2020 dal Presidente Dott. Luigi Giovanni Lombardo;

Udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito l’Avvocato Giuseppe Campanelli.

FATTI DI CAUSA

1. – L.A. e S.M.C. convennero, dinanzi al Tribunale di Taranto, il Comune di Faggiano, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni cagionati al loro fondo agricolo dalla tracimazione del canale “*****”.

Nella resistenza del Comune convenuto, che eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva, dopo l’espletamento di C.T.U., l’adito Tribunale dichiarò la propria incompetenza in favore del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Napoli, dinanzi al quale la causa fu riassunta.

Previa autorizzazione del giudice, il Comune di Faggiano chiamò in causa la Regione Puglia, l’Acquedotto Pugliese s.p.a. e il Consorzio di Bonifica Stornara e Tara, indicandoli come responsabili della mancata manutenzione del canale.

Ultimata l’istruzione della causa, il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Napoli accolse la domanda attorea nei confronti della Regione e del Consorzio di Bonifica, che condannò in solido al risarcimento dei danni in favore degli attori; rigettò invece la domanda risarcitoria nei confronti del Comune di Faggiano e dell’Acquedotto Pugliese.

2. – Sui gravami proposti in via principale dal Consorzio di Bonifica Stornara e Tara e in via incidentale dagli attori nei confronti del Comune di Faggiano, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche rigettò l’appello principale e dichiarò cessata la materia del contendere in ordine all’appello incidentale.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso il Consorzio di Bonifica Stornara e Tara sulla base di quattro motivi.

Hanno resistito, con separati controricorsi, l’Acquedotto Pugliese s.p.a., nonchè L.A. e S.M.C.. Le altre parti sono rimaste intimate.

In prossimità dell’udienza, la parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il Tribunale Superiore delle acque pubbliche ritenuto la legittimazione passiva del Consorzio relativamente alla domanda risarcitoria proposta dagli attori. Secondo il ricorrente, la circostanza che il Ministero delle Politiche agricole e forestali, con Decreto n. 10038 del 2012, avesse affidato al Consorzio i lavori di sistemazione idraulica del canale ***** escluderebbe la legittimazione passiva del Consorzio, non potendosi configurare una responsabilità del Consorzio per danni, quali quelli lamentati dagli attori (risalenti agli anni dal 2009 fino all’inizio dell’anno 2012), verificatisi prima della esecuzione dei detti lavori. Trattandosi di acque pubbliche, la responsabilità per la cattiva manutenzione del canale sarebbe da ascrivere alla Regione Puglia, titolare delle funzioni di polizia delle acque.

Unitamente al primo motivo va esaminato, in ragione della stretta connessione, il secondo motivo di ricorso, col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il Tribunale Superiore ritenuto che il canale “*****” avesse natura di canale di bonifica. A dire del ricorrente, innanzitutto il Tribunale Superiore avrebbe erroneamente identificato il canale “*****” col canale “*****”, mentre si tratterebbe di due corsi d’acqua diversi; il giudice di appello non avrebbe poi considerato che il Comune di Faggiano, appositamente autorizzato dalla Provincia di Taranto e dal Genio civile, utilizzava il canale per lo scarico delle acque reflue del centro abitato e doveva pertanto essere considerato unico proprietario del canale; il Tribunale Superiore non avrebbe ancora considerato che la L.R. Puglia n. 17 del 2000, art. 26, delegava ai comuni la polizia idraulica e l’esecuzione delle piccole opere di manutenzione dei corsi d’acqua (come confermato anche dal successivo D.P.G.R. n. 178 del 2010), dovendosi così escludere che il canale ***** potesse essere qualificato come canale di bonifica.

2. – I due motivi, unitariamente considerati, non possono trovare accoglimento.

Va premesso che il T.S.A.P., sulla base della esperita C.T.U. e degli elementi di prova acquisiti, ha accertato che il canale ***** è un corso d’acqua naturale aperto, inserito negli elenchi delle acque pubbliche (in cui è riportato con la dizione “canale di scolo *****”) e “di bonificazione”; ha accertato ancora che il detto canale è parte integrante di una piattaforma di opere pubbliche con funzione scolante e irrigua ed è dotato di un bacino caratterizzato dalla presenza mista di corsi d’acqua naturali e artificiali, con tipica funzione di bonifica.

In sostanza, il T.S.A.P. ha accertato che il canale per cui è causa è inserito nel comprensorio di bonifica affidato al Consorzio convenuto ed ha carattere di “bonifica”.

Orbene, l’accertamento dell’appartenenza del canale al comprensorio di bonifica affidato al consorzio e del suo carattere di “bonifica” costituisce un tipico accertamento di fatto, come tale non censurabile in sede di legittimità, risultando peraltro la motivazione della sentenza impugnata sul punto non apparente nè manifestamente illogica (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053 del 07/04/2014). Parimenti incensurabile in sede di legittimità è l’identificazione del canale ***** nel canale “*****” riportato negli elenchi delle acque pubbliche, poichè, anche in questo caso, non si lamenta la violazione di una norma di diritto, ma un preteso errore sul fatto.

Dalla accertata appartenenza del canale “*****” al comprensorio di bonifica affidato al Consorzio e dal suo carattere di canale di bonifica deriva l’obbligo della sua manutenzione a carico del Consorzio e, dunque, la responsabilità di quest’ultimo per i danni conseguenti alla mancata manutenzione.

Non rileva allora il fatto che i danni lamentati dagli attori si siano verificati prima che il Ministero delle Politiche agricole e forestali, con Decreto n. 10038 del 2012, avesse affidato al Consorzio l’esecuzione di lavori di sistemazione idraulica del canale, giacchè quest’ultimo, facendo parte del comprensorio di bonifica, era già affidato alla gestione e alla manutenzione del Consorzio “Stornarti e Tara”, ben prima dell’affidamento dei detti lavori.

Sul punto, non è pertinente il richiamo del ricorrente al precedente di queste Sezioni Unite n. 616 del 2019, secondo cui “Ove un consorzio di bonifica abbia provveduto su concessione amministrativa (della Regione) ad eseguire opere di sistemazione idraulica su di un corso d’acqua iscritto nell’elenco delle acque pubbliche, ciò non implica di per sè che, ad opere compiute, il consorzio stesso sia responsabile della manutenzione di quel corso d’acqua; la quale spetta, invece, allo Stato o ad altri enti, come gli appositi consorzi per le opere idrauliche nettamente distinti dai consorzi di bonifica. Tale responsabilità, con conseguente obbligazione risarcitoria per i danni cagionati da difetto di manutenzione a carico del consorzio di bonifica, può sorgere solo quando il rapporto effettivamente instauratosi fra questo concessionario delle opere suddette e l’ente concedente possa, alla stregua dei rispettivi comportamenti, risultare idoneo alla produzione di un tale effetto, come nel caso in cui la manutenzione sia stata affidata in via esclusiva allo stesso consorzio di bonifica fornitore delle opere”. Invero, tale precedente attiene ad una fattispecie nella quale il canale (si trattava del canale Capo d’Acqua, sito sempre nella Regione Puglia) non risultava – a differenza di quello oggetto del presente giudizio – far parte, prima dell’affidamento dei lavori, di un comparto di bonifica nè risultava avere il carattere di canale di bonifica.

Non rileva neppure il fatto che la L.R. Puglia n. 17 del 2000, art. 26, attribuisca ai Comuni le funzioni di polizia idraulica e di piccola manutenzione degli alvei dei fiumi, dei torrenti e dei corsi d’acqua. Tale obbligo dei Comuni non esclude certo la responsabilità generale della Regione, titolare del demanio idrico, e dei Consorzi di bonifica, qualora – come nel caso di specie – i corpi idrici abbiano funzione di bonifica.

Infine, parimenti ininfluente è il fatto che il Comune di Faggiano utilizzi, debitamente autorizzato dalla Provincia di Taranto e dal Genio civile, il canale de quo per lo scarico delle acque reflue del centro abitato. Trattasi di circostanza che non esclude certo la qualificazione del canale come opera di bonifica nè esclude la responsabilità del consorzio per la sua custodia e manutenzione.

3. – Col terzo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il difetto di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere il giudice di appello ritenuto che il Consorzio di bonifica avesse la custodia del canale ***** e per avere escluso che gli eventi metereologici che avevano provocato i danni potessero qualificarsi come “caso fortuito”, tale da escludere la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c..

Il motivo è in parte assorbito nel rigetto dei primi due motivi, in parte inammissibile.

E’ assorbito relativamente alla contestazione dell’obbligo di custodia del canale da parte del Consorzio di bonifica, in quanto tale obbligo consegue all’accertato carattere di bonifica del canale stesso.

E’ inammissibile quanto alla contestazione del giudizio del T.S.A.P. circa la mancata prova del caso fortuito, trattandosi di accertamento in fatto, congruamente motivato, come tale insindacabile in cassazione (il T.S.A.P. ha accertato che gli eventi metereologici non sono stati nè eccezionali nè straordinari e che la tracimazione è dipesa dalla cattiva manutenzione del canale).

4. – Col quarto motivo, si deduce infine la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere il Tribunale superiore condannato il Consorzio a rifondere le spese del giudizio di appello a tutti gli appellati, ivi compreso l’Acquedotto Pugliese s.p.a., mentre – a suo dire – la rifusione delle spese in favore di quest’ultimo avrebbe dovuto essere posta a carico del Comune di Faggiano, che lo aveva arbitrariamente chiamato in garanzia. Lamenta, inoltre, che la Regione, pur ritenuta responsabile del danno, non sia stata condannata in solido a rifondere le spese del giudizio di gravame.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in quanto il ricorrente non si confronta col principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c. e con quello della causalità della lite, ad esso sotteso (sul punto, cfr. Cass., Sez. Un., n. 23745 del 28/10/2020); nè considera il principio, dettato da questa Suprema Corte, secondo cui le spese processuali sostenute dal chiamato in causa debbono essere rifuse (salva l’ipotesi di compensazione integrale) dalla parte soccombente (Cass., n. 5262 del 09/04/2001).

Ora, essendo stato il Consorzio (già soccombente in primo grado) a dare causa al giudizio di appello e a convenire in tale giudizio l’Acquedotto Pugliese s.p.a., esattamente il T.S.A.P. ha condannato l’appellante, la cui impugnazione è stata interamente rigettata, alla rifusione delle spese nei confronti del detto Acquedotto. Tali spese, peraltro, non potevano essere poste a carico della Regione Puglia, neppure in via solidale, avendo la Regione rinunciato ad impugnare la sentenza di primo grado, così determinando il passaggio in giudicato della stessa nei suoi confronti.

5. – Il ricorso va, pertanto, rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

6. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472