LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 708/2020 proposto da:
N.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANBATTISTA SCORDAMAGLIA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE presso LA PREFETTURA
– UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI CROTONE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 939/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 02/05/2019; r.g.n. 154/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/09/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.
RILEVATO
Che:
1. La Corte di appello di Catanzaro ha confermato l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro del 12.12.2017 che aveva rigettato la domanda con la quale N.M. aveva chiesto che si riconoscesse il suo stato di rifugiato ed protezione sussidiaria, in via subordinata, il suo diritto alla protezione umanitaria domande già respinte dalla Commissione territoriale competente.
2. Il giudice di appello ha ritenuto destituite di fondamento le domande avanzate osservando in primo luogo che non era necessario procedere ad una nuova audizione del ricorrente già sentito dalla Commissione territoriale.
2.1. Inoltre – nel rammentare i presupposti necessari per ottenere il riconoscimento dello stato giuridico di rifugiato (ai sensi dell’art. 2 e dei successivi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 8) ovvero per conseguire la protezione sussidiaria (ai sensi dell’art. 14, lett. g) e h) del medesimo Decreto), come interpretati sia dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea che dalla Corte di Cassazione – ha ritenuto che la condizione di omosessualità, che a dire del ricorrente lo aveva indotto a lasciare il suo paese di origine, la Mauritania, e le circostanze che ne avevano determinato l’insorgere e poi la scoperta da parte della famiglia di provenienza e di quella della futura moglie, non erano sufficientemente circostanziate e non apparivano veridiche.
2.2. Indimostrata l’omosessualità del ricorrente, la Corte ha poi escluso che vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria non essendovi una situazione oggettiva di pericolo di persecuzione a danno del ricorrente ovvero di danno grave alla persona tenuto conto di un’assenza del potere statuale.
2.4. Con riguardo poi al riconoscimento della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, stante l’inapplicabilità ratione temporis del D.L. n. 113 del 2018, ha osservato che “i gravi motivi di carattere umanitario” che impongono il riconoscimento della tutela, atipica e residuale, richiedono l’esistenza di una situazione di vulnerabilità da valutare in concreto e con riguardo al singolo caso e di carattere transitorio. Quindi la Corte di merito ha evidenziato che nel caso di specie non risultava neppure allegata una situazione di emergenza che giustificasse il riconoscimento della tutela.
3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso N.M. affidato a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.
CONSIDERATO
Che:
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, con riguardo ai profili di credibilità delle dichiarazioni circostanziate rese dal ricorrente alla Commissione territoriale del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10 e 27, per non aver ottemperato all’obbligo di cooperazione istruttoria acquisendo, anche d’ufficio le informazioni relative alla situazione del paese di origine ed alla specifica condizione del richiedente la cui omosessualità restava confermata dai pur occasionali rapporti intrattenuti in Italia e sarebbe stata sufficiente per ottenere la chiesta protezione.
5. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 6,7 e 8, con riguardo al diritto al riconoscimento dello status di rifugiato e deduce di aver ampiamente illustrato nei suoi scritti la situazione degli omosessuali in Mauritania – discriminati e perseguitati al punto che ove dimostrata l’attività sessuale omosessuale consensuale tra uomini è punibile in base alla Sharia con la morte. Sostiene pertanto che erroneamente la Corte ha escluso che ricorressero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato al ricorrente, trascurando una serie di circostanze ed incorrendo così nella denunciata violazione di legge.
6. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e art. 14, comma 1 lett. a) e b). Ad avviso del ricorrente erra la Corte nel limitarsi a valutare, ai fini della protezione sussidiaria richiesta, l’esistenza o meno di una situazione di conflitto armato o di violenza diffusa laddove invece avrebbe dovuto tenere conto dei pericoli connessi all’omosessualità del ricorrente nel contesto sociale in cui viveva in Mauritania, al fondato timore di subire torture o trattamenti degradanti, che sarebbe ritornato attuale in caso di rimpatrio, trascurando così di prendere in considerazione sia la situazione in cui versano gli omosessuali nel paese di provenienza sia le circostanze allegate a riprova della sua condizione confermate dal fatto, riferito dalla stessa sentenza impugnata, dell’aver avuto rapporti omosessuali, seppur occasionali, anche durante la sua permanenza in Italia.
7. Con il quarto motivo, infine, è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e s.m.i. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione alla mancata comparazione tra integrazione sociale e situazione personale del ricorrente. Sostiene infatti il ricorrente che le segnalate gravi violazioni del diritto fondamentale della persona avrebbe dovuto determinare la Corte ad accogliere, quanto meno, la richiesta di protezione umanitaria ovvero di rilascio di un permesso di soggiorno per casi speciali del D.L. n. 113 del 2018, ex art. 1, comma 9, anche in considerazione delle violenze subite, dell’allontanamento coatto e del pericolo di ripercussioni in caso di rientro in Mauritania.
8. Le censure possono essere esaminate congiuntamente e sono fondate per le ragioni che di seguito si espongono.
8.1. E’ vero che secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).
E tuttavia è dovere del Giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente, anche se non suffragato da prove, laddove, come nella specie, le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano “coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. c) e il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. e).
Ed infatti la difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti, prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3 comma 5, consente al Giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia verosimile, anche perchè i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie aperte che lasciano ampio margine di valutazione al Giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali.
Tanto per ricordare che la coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) sono i criteri che devono guidare nell’attività valutativa che è senz’altro discrezionale.
In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Sorge il dovere di cooperazione istruttoria del giudice nel caso in cui le dichiarazioni possano essere giudicate attendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. In tal caso occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine. La vicenda personale del richiedente può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione sussiste sempre il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Cass., 31 gennaio 2019, n. 3016).
In definitiva da un canto è necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass. 02/07/2020 n. 13573). Dall’altro il giudice a fronte di tale prospettazione è tenuto a procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine. Orbene, nel caso in esame il ricorrente aveva allegato in maniera circostanziata la sua situazione di omosessualità ed aveva del pari allegato i rischi connessi al suo stato nella regione di provenienza ma la sentenza pur dando conto dei fatti allegati non spiega affatto perchè li ritiene inattendibili ed anzi trascura di valutare la circostanza, decisiva, che l’inclinazione sessuale del ricorrente aveva trovato espressione anche dopo la fuga dalla Mauritania. Si tratta di una ricostruzione perplessa e per certi versi apparente che vizia il provvedimento che per tale ragione deve essere cassato. In tale situazione infatti il giudice avrebbe dovuto attivare i suoi poteri officiosi ed approfondire la situazione. In tema di protezione internazionale, infatti, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” di cui al comma 3 dello stesso articolo, senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto. Solo se effettuata secondo i criteri previsti detta valutazione dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito. Laddove invece tali criteri non siano rispettati, come nella specie, essa è censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni (cfr. Cass. 09/07/2020 n. 14674).
In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata e (Ndr: testo originale non comprensibile) rinviata alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione che alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, terrà conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente risultanti dalle allegazioni del ricorrente di cui al comma 3 dello stesso articolo verificando la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato (Ndr: testo originale non comprensibile), protezione sussidiaria o del diritto dello stesso alla protezione umanitaria chiesta.
Alla Corte del rinvio è demandata inoltre la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021