Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.790 del 19/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10207-2018 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO, LIDIA CARCAVALLO, ANTONELLA PATTERI;

– ricorrente –

contro

P.N., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato PAOLO BOER, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 39/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 25/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 07/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa LEONE MARGHERITA MARIA.

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza pubblicata in data 25/1/2018, ha rigettato l’appello proposto dall’Inps contro la sentenza del Tribunale di Pescara che, in accoglimento del ricorso proposto da P.N., titolare di pensione di vecchiaia, aveva riconosciuto alla suddetta il diritto alla riliquidazione della pensione in godimento, in applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 264 del 1994, sul presupposto che “la riduzione della retribuzione ha avuto inizio anteriormente alle ultime 260 settimane di contribuzione”;

nel rigettare l’impugnazione, la Corte non ha condiviso la tesi dell’Inps secondo cui al caso in esame non poteva trovare applicazione il principio enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 264 del 30/6/1994 (secondo cui la L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, comma 8, è costituzionalmente illegittimo “nella parte in cui non prevede che nel caso di esercizio durante l’ultimo quinquennio di contribuzione di attività lavorativa, meno retribuita, da parte del lavoratore che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell’età pensionabile, escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi di minore retribuzione, in quanto non necessari ai fini del requisito dell’anzianità contributiva minima”), considerato che la ricorrente aveva maturato l’anzianità contributiva minima di 15 anni alla data del 31/12/1992, che il nuovo rapporto di lavoro, in forza del quale aveva percepito una retribuzione inferiore a quella percepita in precedenza, era iniziato il 1 luglio 2001 e che il pensionamento era avvenuto il 31/12/2007, dal momento che il periodo di retribuzione ridotta di cui si chiedeva l’esclusione dal computo della pensione (calcolata con il metodo retributivo) si collocava fuori dal perimetro normativo, così come delineato dalla sentenza della corte costituzionale; al contrario, secondo la Corte aquilana, la Corte costituzionale aveva affermato un principio di carattere generale in forza del quale la contribuzione acquisita nelle fasi successive al perfezionamento del requisito minimo contributivo non può mai tradursi nel detrimento della misura della prestazione pensionistica già virtualmente maturata (citando Cass. 28/2/2014, n. 4868);

contro la sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo, al quale resiste la P. con controricorso;

la proposta del relatore, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata è comunicata alle parti;

l’Inps depositava successiva memoria.

CONSIDERATO

che:

1.- con l’unico motivo, l’Inps censura la sentenza ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. per violazione della L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 3: si assume che i principi affermati dalla Corte costituzionale non possano trovare applicazione alla fattispecie in esame, essendo pacifico in causa che la pensione di cui la P. è titolare ha decorrenza dal maggio 2012, sicchè le modalità di calcolo del trattamento ricadono nella disciplina del D.Lgs. n. 503 del 1992, che ha modificato i criteri alla stregua dei quali, a decorrere dal 1 gennaio 1993, deve essere individuata la retribuzione pensionabile;

in virtù di questa disciplina, il trattamento pensionistico consta di due quote: una “determinata sulla base dell’anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1992 e sulla media delle retribuzioni degli ultimi cinque anni, o meglio delle 260 settimane di contribuzione immediatamente precedenti la data di pensionamento”, e l’altra “determinata sulla base dell’anzianità contributiva maturata dal 1 gennaio 1993 alla data di decorrenza della pensione sulla media delle retribuzioni-redditi degli ultimi 10 anni per i lavoratori dipendenti”, in ossequio alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 3;

il principio della cosiddetta “neutralizzazione” dei periodi nei quali il pensionato ha percepito una minore retribuzione, incidente in senso deteriore sul trattamento pensionistico, può valere solo nel primo regime, ovvero esclusivamente con riguardo al quinquennio anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 503 del 1992;

il motivo merita accoglimento;

la questione è stata già esaminata nella recente sentenza di questa Corte, n. 28025 del 2/11/2018, che ha enunciato il seguente principio di diritto: “I trattamenti pensionistici liquidati dopo il 1 gennaio 1993 sono determinati, avuto riguardo alla disciplina di cui alla L. n. 421 del 1992 e al D.Lgs. n. 503 del 1992, sulla base di una progressiva estensione del periodo di calcolo della retribuzione pensionabile, che obbedisce alla “ratio” di rendere l’importo della pensione il più possibile aderente all’effettiva consistenza di quanto percepito dal lavoratore nel corso della sua vita lavorativa; ne consegue che, rispetto ad essi, non opera, anche con riferimento ai lavoratori che, alla predetta data, abbiano maturato un’anzianità superiore a 15 anni, il rimedio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, della cd. “neutralizzazione” dei periodi a retribuzione ridotta, il quale ha la finalità di evitare un decremento della prestazione previdenziale nell’assetto legislativo delineato dalla L. n. 287 del 1982, art. 3, incentrato sulla valorizzazione del maggior livello retributivo tendenzialmente raggiunto negli ultimi anni di lavoro”;

la L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, dispone che la retribuzione pensionabile per le pensioni liquidate con decorrenza successiva al 30 giugno 1982, è “costituita dalla quinta parte della somma delle retribuzioni percepite in costanza di rapporto di lavoro, o corrispondenti a periodi riconosciuti figurativamente, ovvero ad eventuale contribuzione volontaria, risultante dalle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione”;

il riferimento alle sole retribuzioni percepite negli ultimi cinque anni di lavoro era fondato, nel sistema introdotto dal legislatore del 1982, sul presupposto che le retribuzioni dell’ultimo ciclo della vita lavorativa fossero quelle più favorevoli per il lavoratore;

il descritto quadro normativo è radicalmente mutato per effetto della legge di delegazione, 23 ottobre 1992, n. 421;

la predetta legge di delegazione è stata attuata con i decreti legislativi 30 dicembre 1992, n. 503 e 11 agosto 1993, n. 373; per quanto in questa sede rileva, occorre aver riguardo alla L. n. 503 del 1992, secondo cui, per i lavoratori con anzianità contributiva inferiore a 15 anni alla data del 31 dicembre 1992, “la retribuzione annua pensionabile è determinata con riferimento ai periodi indicati alla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, commi 8 e 14, incrementati dai periodi contributivi che intercorrono tra la predetta data e quella immediatamente precedente la decorrenza della pensione”;

l’arco temporale entro il quale si calcola la retribuzione pensionabile risulta, dunque, ampliato, rispetto alle 260 settimane previste dalla L. n. 297 del 1982 citata, dovendo sommarsi, ad esse, le settimane comprese fra il 10 gennaio 1993 e la decorrenza della pensione;

per i lavoratori che possano far valere un’anzianità contributiva superiore ai 15 anni, la retribuzione annua pensionabile, di cui alla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, commi 8 e 14, “è determinata con riferimento alle ultime 520 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione con conseguente adeguamento dei criteri di calcolo ivi previsti”;

con disposizione transitoria, il D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 13, per le pensioni liquidate dopo il 10 gennaio 1993, dispone che l’importo della pensione sia determinato dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1 gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta (determinata sulla retribuzione pensionabile corrispondente alle ultime 260 settimane) che a tal fine resta confermata in via transitoria; b) della quota di pensione corrispondente all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1 gennaio 1993, calcolato secondo le nuove regole introdotte dal D.Lgs. n. 503 del 1992;

i trattamenti pensionistici liquidati dopo il 1 gennaio 1993 sono l’esito della sommatoria delle due quote appena indicate (quota A e quota B), con una progressiva estensione del periodo di calcolo della retribuzione pensionabile fino ad arrivare, a regime, a far coincidere detto periodo con l’intera vita lavorativa dell’assicurato (D.Lgs. n. 373 del 1993, art. 1);

la neutralizzazione richiesta in questo ricorso, incentrata sull’asserita dilatazione oltre il quinquennio, non ha pertanto fondamento normativo, giacchè non tiene conto del mutato contesto normativo e del nuovo sistema di calcolo della pensione;

la giurisprudenza costituzionale in tema di neutralizzazione (in particolare, Corte Cost. n. 428 del 1992, Corte Cost. n. 264 del 1994, Corte Cost. n. 388 del 1995, tutte richiamate, da ultimo, da Cass. 14 maggio 2018, n. 11649, alla quale si rinvia) dalle quali si pretende di desumere un principio generale di irriducibilità del livello virtuale di pensione raggiunto in itinere, alla stregua del quale una volta perfezionato il requisito minimo, l’ulteriore contribuzione non potrebbe compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata fino a quel momento, ha scrutinato esclusivamente la L. n. 297 del 1982 e vagliato lo specifico sistema di calcolo introdotto in quel contesto normativo;

le menzionate decisioni della Corte costituzionale (cui adde Corte Cost. n. 82 del 2017) hanno vagliato la conformità ai canoni costituzionali della legislazione pensionistica volta a valorizzare il maggior livello retributivo tendenzialmente raggiunto negli ultimi anni della vita lavorativa, ma non sono applicabili al mutato contesto normativo che, con la regolazione in via transitoria a corredo della riforma pensionistica del 1992 e la sommatoria delle due quote, vede la posizione dei pensionati coinvolti nel nuovo sistema di calcolo del trattamento pensionistico adeguatamente tutelata con la previsione della quota A della pensione, calcolata in ossequio al disposto della L. n. 297 del 1982, art. 3, con la neutralizzazione delle eventuali retribuzioni ridotte percepite nelle ultime 260 settimane di contribuzione, arco di tempo entro il quale la norma prevede debba calcolarsi la retribuzione pensionabile;

quanto argomentato risulta in continuità con i precedenti di questa Corte (v. Cass. 3 novembre 2016, n. 22315) secondo cui “la sentenza della Corte Costituzionale (Corte cost, n. 264 del 1994)…si riferisce ad una legislazione diversa e ad un periodo diverso e…sarebbe arbitrario applicarla a seguito dell’entrata in vigore di un regime legislativo nuovo”;

conseguentemente, deve escludersi il denunciato contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost. considerato che “nel nuovo sistema l’individuazione del periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile, che… rientra nell’ambito della discrezionalità politica, non persegue la finalità di garantire al lavoratore una più favorevole base di calcolo per la liquidazione della pensione onde rispetto al sistema oggetto di sindacato nella pronuncia invocata…non appare dar luogo a risultati palesemente irrazionali o comunque contrari ai principi costituzionali” (così Cass. n. 22315 del 2016 cit.);

più di recente, inoltre, questa Corte (v. Cass. n. 11649 del 2018 cit.) ha espressamente reputato non condivisibile la pretesa di estendere la neutralizzazione a periodi anteriori all’ultimo quinquennio, richiamando altra decisione del Corte costituzionale, sentenza n. 82 del 2017 che, nell’accogliere l’eccezione di inammissibilità svolta dall’Avvocatura generale dello Stato, con riguardo alla richiesta di estendere la neutralizzazione dei contributi per disoccupazione e integrazione salariale anche oltre i limiti dell’ultimo quinquennio che prelude alla decorrenza della pensione, ha precisato che: “L’intervento auspicato si riverbera sulla determinazione del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile, che esprime una scelta eminentemente discrezionale del legislatore (sentenza n. 388 del 1995, punto 4 del Considerato in diritto, e sentenza n. 264 del 1994, punto 3 del Considerato in diritto), volta a contemperare le esigenze di certezza con le ragioni di tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori”;

va dunque ribadito, con Cass. n. 11649 del 2018, da ultimo richiamata, che l’opzione chiaramente espressa dalla Corte Costituzionale induce ad escludere profili di irrazionalità nel limite temporale alla neutralizzazione posto dalle disposizioni sopra citate e nel diverso meccanismo di determinazione della retribuzione pensionabile non più correlato all’ultimo scorcio della vita lavorativa;

va riaffermato (con Corte Cost. n. 82 del 2017 citata) che il rimedio eccezionale della neutralizzazione, connaturato ad un sistema di calcolo del trattamento pensionistico preordinato a garantire al lavoratore una più favorevole base di calcolo per la liquidazione della pensione, correlata all’ultimo scorcio della vita lavorativa, quale quello delineato dalla L. n. 297 del 1982, art. 3, non si presta ad essere applicato oltre i limiti indicati dalle sentenze della Corte costituzionale;

da tale orientamento ermeneutico il Collegio non intende discostarsi, non ravvisando nelle argomentazioni della parte ricorrente elementi di giudizio che già non siano stati tenuti presenti dalle precedenti decisioni di legittimità assunte al riguardo;

la sentenza impugnata, dunque, che non si è attenuta a tali principi, deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa con il rigetto dell’originaria domanda;

la particolare complessità ricostruttiva e il consolidamento del richiamato orientamento giurisprudenziale di legittimità solo in epoca successiva all’introduzione del giudizio consigliano la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

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