LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25553-2019 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO SFERRAZZA, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO;
– ricorrente –
contro
P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE MASTROCINQUE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 73/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 06/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa ESPOSITO LUCIA.
RILEVATO
CHE:
la Corte d’Appello di Bari riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato inammissibile, per intervenuta decadenza dall’azione giudiziaria, la domanda proposta da P.F. nei confronti dell’Inps per l’impugnazione del provvedimento che, con riguardo agli anni dal 2002 al 2006, aveva disposto la sua cancellazione dagli elenchi degli operai agricoli a tempo determinato, dichiarando il diritto del ricorrente alla iscrizione nei suddetti elenchi nominativi;
avverso la sentenza ha proposto ricorso l’Inps, sulla base di unico motivo, cui è seguita memoria;
P.F. ha resistito con controricorso;
la proposta del relatore è stata comunicata alla parte – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
CONSIDERATO
CHE:
l’INPS ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 38, comma 5, convertito nella L. 15 luglio 2011, n. 111, esponendo che il D.L. n. 98 del 2011, art. 38 aveva reintrodotto la previsione sulla decadenza (D.L. n. 7 del 1970, art. 22) e, ai sensi dell’art. 252 disp. att. c.c., il termine di decadenza aveva ripreso a decorrere quanto meno dall’entrata in vigore del D.L. n. 98 del 2011, sicchè era interamente decorso alla data di proposizione dell’azione giudiziaria (25 luglio 2012);
ritiene il Collegio che debba essere accolto il motivo;
il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, all’art. 38, comma 5 ha previsto che: “a far data dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto sono o restano abrogate le disposizioni elencate nell’Allegato A e salva l’applicazione della L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 14, commi 14 e 15.”, così sopprimendo la voce che abrogava la legge di conversione del D.L. n. 7 del 1970, con la conseguenza che dal 6 luglio 2011 (data di entrata in vigore del D.L. n.98 del 2011) la norma di decadenza di cui al D.L. n. 7 del 1970, art. 22 ha ripreso vigore, sicchè essa non è stata operante limitatamente al periodo dal 21.12.2008 al 5 luglio 2011;
la decadenza è applicabile alle situazioni giuridiche pendenti, secondo il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 22 luglio 2015 n. 15352, relativo alla fattispecie della introduzione, ex L. n. 238 del 1997, del termine di decadenza triennale per la presentazione della domanda di indennizzo per epatite postrasfusionale, termine che la pronuncia citata ha ritenuto applicabile anche nel caso di epatite manifestatasi prima della entrata in vigore della L. n. 238 del 1997;
si è evidenziato nella citata pronuncia che l’interesse alla conservazione del previgente regime più favorevole di esercizio del diritto non si traduce in una situazione giuridica consolidata ma in un mero affidamento di fatto, ingenerato dalla vigenza della disciplina anteriore, affidamento tutelato dall’art. 252 disp. att. c.c., a tenore del quale per coloro che si trovavano nella situazione prevista dalla legge e soggetta a decadenza in epoca successiva il termine di decadenza comincia a decorrere soltanto dalla data di entrata in vigore della legge che l’ha introdotta;
il regime di cui all’art. 252 disp. att. c.c., comma 1 si riferisce, dunque, a tutte le ipotesi di introduzione di un termine all’esercizio di un diritto ed ha valore di regola generale, dalla applicazione del principio innanzi esposto derivando che per i provvedimenti di cancellazione dagli elenchi comunicati anteriormente al 6 luglio 2011 – e per i quali la decadenza non era maturata al 21.12.2008 – il termine di 120 giorni di cui al D.L. n. 7 del 1970, art. 22 ha ripreso a decorrere ex novo il 6 luglio 2011;
la Corte territoriale, pur avendo dato atto del ripristino della norma di decadenza dal 6 luglio 2011 per effetto del D.L. n. 98 del 2011, non si è conformata all’indicato principio di diritto, in quanto non ha ritenuto di dovere applicare la decadenza, come ripristinata, alla fattispecie di causa, nella quale la azione veniva proposta con ricorso depositato il 25.7.2012, allorchè il termine di decadenza di 120 giorni, decorrente dal 6 luglio 2011, era decorso (in tal senso Cass. n. 16661 del 25/06/2018, alla cui ampia motivazione si rinvia);
la sentenza impugnata, pertanto, deve essere pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito con rigetto della domanda, per intervenuta decadenza dalla impugnazione della cancellazione;
le spese dell’intero giudizio si compensano, per la novità delle questioni trattate, in quanto gli arresti di questa Corte sulle questioni decisive del giudizio sono intervenuti in corso di causa;
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda originaria. Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 20 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021