Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.8 del 04/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5163/2020 proposto da:

B.H., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SIMONE GIUSEPPE BERGAMINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

avverso ORDINANZA n. 7/2020 del GIUDICE DI PACE di VERONA, depositata il 10/01/2020 R.G.N. 12507/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/7/2020 dal Consigliere Dott. AMENDOLA FABRIZIO.

RILEVATO

Che:

1. il giudice di pace di Verona ha respinto il ricorso proposto da B.H. avverso il provvedimento con cui il prefetto della città ha disposto l’espulsione dal territorio nazionale del cittadino marocchino in data 13 dicembre 2019;

2. il giudice monocratico, con ordinanza del 10 gennaio 2020, ha ritenuto – per quanto qui ancora interessa – che “all’espellendo è stata notificata copia conforme dell’unico originale di cui il cittadino straniero ha preso visione, mediante sottoscrizione per ricevuta del verbale di notifica”;

3. per respingere il ricorso, il giudice di pace ha poi argomentato: “che il ricorrente risulta essere stato condannato per il reato di spaccio e detenzione stupefacenti, per il reato di furto aggravato e per percosse nei confronti del coniuge, facendo quindi emergere una sua totale noncuranza per l’Autorità e nel contempo mettendo in evidenza una sua significativa pericolosità sociale che contrasta con la necessità di salvaguardia dell’ordine pubblico”; “che la materia relativa alla sussistenza o meno dei requisiti necessari per il soggiorno dei cittadini stranieri non è di competenza del Prefetto ma del Questore e i provvedimenti assunti da tale autorità sono ricorribili solo per via gerarchica ovvero per via giurisdizionale, con la conseguenza che la circostanza di essere genitore di figli minori non può essere motivo per ottenere l’annullamento avanti a questo Giudice del decreto di espulsione emesso dal Prefetto”; “che nel comportamento complessivo del ricorrente che ha continuato a delinquere anche dopo la nascita dei figli non emerge un reale interesse alla conservazione del nucleo familiare, come confermato peraltro dalla condanna per percosse nei confronti dell’asserita coniuge”; “che in ogni caso l’interesse dello straniero alla conservazione del nucleo familiare deve essere bilanciato con altri valori costituzionali, primo tra tutti quello al mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico, sottesi dalle norme sull’ingresso e sul soggiorno degli stranieri”;

4. per la cassazione di tale pronuncia propone ricorso il soccombente affidato a 2 motivi; il Ministero dell’Interno ed il Prefetto di Verona hanno resistito con atto denominato “controricorso”.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia: “violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis, così come modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2007, nonchè dell’art. 8 CEDU e della L. n. 241 del 1990, art. 3”; con esso il ricorrente lamenta “la mancanza nel provvedimento espulsivo di qualsiasi menzione della situazione socio-familiare del B. e, conseguentemente, la totale obliterazione della valutazione della situazione familiare e personale del ricorrente rispetto alle esigenze espulsive”, per cui il giudice di pace avrebbe dovuto limitarsi a constatare la mancanza e non compiere un “sindacato di merito ex post” sostituendosi all’autorità amministrativa”;

2. il motivo è infondato;

in merito alla espulsione di chi abbia figli minori, questa Corte ha già stabilito che la norma d’indirizzo generale di cui all’art. 3 della Convenzione di New York 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo (ratificata dalla L. 27 maggio 1991, n. 176, richiamata dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 28), prescrive sì che gli Stati vigilino affinchè il minore non sia separato dai genitori, ma fa comunque salva l’ipotesi in cui la separazione sia il risultato di provvedimenti legittimamente adottati da uno Stato-parte; pertanto, “nel caso in cui lo straniero sia colpito da un provvedimento di espulsione, le esigenze di legalità e sicurezza sottese a tale provvedimento non sono di per sè recessive rispetto all’interesse, pur preminente, del fanciullo” (Cass. n. 4197 del 2008; più di recente conf. Cass. n. 26831 del 2019); anche la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha ammesso che “in circostanze eccezionali, uno Stato membro può adottare una misura di espulsione (del genitore d’un minore residente nello stato membro, n.d.e.), a condizione che essa sia fondata sulla condotta personale di detto cittadino di uno Stato terzo, la quale deve costituire una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave che pregiudichi un interesse fondamentale della società di detto Stato membro, e che si basi su una presa in considerazione dei diversi interessi esistenti, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare” (CGUE 13.9.2016, in causa C-304/14, Secretary of State); nella motivazione di tale sentenza si afferma, inoltre, che di un pregiudizio al minore possa discorrersi solo quando l’espulso ne abbia la “cura esclusiva” (ancora Cass. n. 26831/2019 cit.); giova, infine, ricordare che, “in tema di immigrazione, l’espulsione dello straniero che convive in Italia con un parente non implica la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, la cui tutela, sancita anche dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, non è incondizionata, posto che l’ingerenza dell’autorità pubblica nella vita privata e familiare è consentita, ai sensi dell’art. 2 della CEDU, se prevista dalla legge quale misura necessaria ai fini della sicurezza nazionale, del benessere economico del Paese, della difesa dell’ordine e della prevenzione dei reati, della protezione della salute e della morale e della protezione dei diritti e delle libertà altrui” (cfr. Cass. n. 14610 del 2015; conf. Cass. n. 5879 del 2020);

alla stregua di quanto esposto e fatti salvi i divieti di espulsione tassativamente previsti dalla legge, nella specie il giudice di pace, pur errando in premessa nell’affermare che l’essere genitore di figli minori non può costituire ragione dell’annullamento dell’espulsione, ha poi operato in concreto una valutazione della condizione familiare dell’espellendo in relazione con i vari e gravi reati commessi dal medesimo, compreso quello di percosse in danno della moglie, giungendo a ritenere prevalenti le esigenze di legalità e sicurezza, con un giudizio che concreta un apprezzamento di fatto non sindacabile in questa sede di legittimità ove la motivazione che lo esprime superi la soglia del cd. “minimo costituzionale” sia sotto il profilo contenutistico che logico;

3. il secondo motivo denuncia: “violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 18, nonchè per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; in riferimento all’eccezione, formulata innanzi al giudice di pace, relativa alla nullità del provvedimento espulsivo “per mancanza della necessaria forma comunicatoria”, si deduce che il ricorrente ha “ricevuto la notifica di una mera copia del decreto espulsivo – seppure recante l’attestazione di conformità all’originale – senza mai poter prendere visione dell’atto originale”;

4. il motivo, in disparte i profili di inammissibilità derivanti dalla promiscuità della sua formulazione (si deduce contemporaneamente il vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) oltre che dalla mancata specifica indicazione dei contenuti dell’attestazione di conformità all’originale, non è meritevole di accoglimento;

vero è che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio secondo cui – in tema di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato – sussiste il radicale vizio della nullità del relativo provvedimento prefettizio, per difetto della sua necessaria formalità comunicatoria, tutte le volte in cui all’espellendo venga comunicata una mera copia, libera ed informale, dell’atto, non sottoscritta dal Prefetto nè recante attestazione di conformità all’originale, e senza che, neanche successivamente, gli venga consegnata altra copia debitamente autenticata, irrilevante essendo, ai fini dell’eventuale sanatoria della detta nullità, che tale copia venga invece prodotta soltanto in giudizio, e al solo fine di attestare al Giudice che, nell’ufficio depositario, giace l’originale dell’atto opposto: tale produzione persegue, difatti, finalità estranee a quella delineata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, commi 3 e 7 e della L. n. 15 del 1968, art. 14 e risulta del tutto inidonea a sanare il vizio di nullità dell’atto, non rappresentando tempestivo esercizio di autotutela da parte dell’organo amministrativo (Cass. n. 17960 del 2004; Cass. n. 28884 del 2005; Cass. n. 17569 del 2010; Cass. n. 13304 del 2014; inoltre, per Cass. n. 33507 del 2019 è sufficiente che il provvedimento prefettizio sia comunicato all’espellendo mediante consegna di una copia dell’atto via fax, purchè recante l’attestazione di conformità all’originale; conf. Cass. n. 17569 del 2010);

tuttavia, nella specie, la parte ricorrente si duole di non aver preso visione dell’originale, mentre non contesta che la copia a lui notificata recasse l’attestazione di conformità e neanche indica la norma in base alla quale sarebbe previsto che l’espellendo debba prendere visione dell’originale dell’atto, senza poi specificare quale concreta lesione del diritto di difesa avrebbe subito;

5. conclusivamente il ricorso deve essere respinto;

nulla per le spese, in considerazione del fatto che l’atto notificato da parte del Ministero e della Prefettura di Verona nel presente giudizio di legittimità non integra i requisiti minimi del controricorso in quanto consta della sola seguente argomentazione “…Invero legittimo appare il provvedimento di espulsione emesso dalla comparente Prefettura nonchè sufficientemente motivato, oltrechè immune da vizi logico-giuridici il provvedimento giurisdizionale ex adverso impugnato” (cfr. Cass. 7205 e 7206 del 2020);

non è dovuto il raddoppio del contributo trattandosi di materia esente ex lege a mente del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18 (cfr., tra le ultime, Cass. nn. 6285, 11493 e 11954 del 2020; in precedenza Cass. n. 3305 del 2017, in motivazione).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2021

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