Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.80 del 07/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 616/2020 proposto da:

R.J., nella sua qualità di genitore di R.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio dei Dott.ri GIUSEPPE ed ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato UMBERTO DE GREGORIO;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 23/10/2019 R.G.N. 561/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/09/2020 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

RILEVATO

Che:

1. R.J., cittadino ***** e padre del minore R.B. (nato a *****), aveva avanzato la richiesta per essere autorizzato alla permanenza in Italia ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, facendo presente di avere avuto timore di correre il fondato rischio di essere rimpatriato, stante la condanna (peraltro non definitiva, in due gradi di merito) per spaccio di sostanze stupefacenti nel territorio italiano, rimpatrio che comporterebbe gravissimo nocumento allo sviluppo psico-fisico del minore sia in caso che lo stesso seguisse il padre in ***** sia in caso di permanenza in Italia con la madre.

2. La Corte di appello di Bologna ha confermato il provvedimento del Tribunale per i Minorenni della medesima sede che aveva rigettato la richiesta, in considerazione della pericolosità sociale del R., della non occasionalità della condotta criminogena, dell’assenza di elementi che confermino l’inserimento stabile nel tessuto sociale (oltre che di una fonte lecita di reddito), aggiungendo che non vi era alcun riscontro documentale di un preteso ritardo nel linguaggio del figlio che veniva mantenuto dalla madre e, in caso di condanna divenuta definitiva, sarebbe stato in ogni caso privato (in considerazione della detenzione) della presenza del padre.

3. Avvero il decreto R.J. ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo.

4. La Procura generale presso la Corte di appello di Bologna è rimasta intimata.

CONSIDERATO

Che:

1. Con l’unico motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 28 e 31, avendo – la Corte territoriale – trascurato di procedere ad una attenta valutazione del superiore interesse del figlio minore, che subirebbe un grave nocumento sia dall’assenza del padre, in caso di permanenza in Italia con la madre, sia dallo sradicamento dal paese di nascita, in caso di rientro in ***** con il padre;

2. il ricorso non è fondato, essendosi conformato – il decreto impugnato all’orientamento consolidato di questa Corte;

3. va ricordato che il D.Lgs. cit., art. 31, comma 3, prevede “3. Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge. L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza”;

4. come puntualizzato da questa Corte l’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso temporaneo in Italia, prevista dalla normativa in esame costituisce una misura incisiva a tutela e a protezione del diritto fondamentale del minore a vivere con i genitori, mentre l’interesse del familiare ad ottenere tale autorizzazione riceve tutela in via riflessa, ovvero nella misura in cui sia funzionale a salvaguardare lo sviluppo psicofisico del minore, che è il bene giuridico protetto dalla norma nonchè la ragione unica del provvedimento autorizzatorio (Cass. Sez. U. n. 15750 del 2019);

5. inoltre, secondo l’orientamento di questa Corte la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31 cit., non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare (Cass. Sez. U. n. 21799 del 2010);

6. in altri termini, i “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico” ex art. 31, comma 3, cit., sono rappresentati da situazioni oggettivamente gravi comportanti una seria compromissione dell’equilibrio psicofisico del minore, non altrimenti evitabile se non attraverso il rilascio della predetta misura autorizzativi.

7. pertanto, la norma in esame non si presta ad essere intesa come generica tutela del diritto alla coesione familiare del minore e dei suoi genitori, interpretazione che, proprio come affermato dalle Sezioni Unite con la pronuncia sopra citata, avrebbe l’effetto di superare e porre nel nulla la disciplina del ricongiungimento familiare “tutte le volte in cui per effetto dell’espulsione del genitore irregolare si realizzi la rottura dell’unità familiare comprendente un minore, muovendo dal presupposto che quest’ultima comporti per lui sempre e comunque un danno psichico”: ne conseguirebbe l’applicazione automatica dell’autorizzazione de qua, in tal modo trasformata da eccezione a regola (cfr. Cass. n. 9391 2018);

8. alla stregua di tali principi, quindi, le situazioni che possono integrare i “gravi motivi” di cui al cit. art. 31, non si prestano ad essere catalogate o standardizzate, di guisa che incombe sul richiedente l’autorizzazione l’onere di allegazione della specifica situazione di grave pregiudizio che potrebbe derivare al minore dall’allontanamento del genitore (Cass. n. 9391 del 2018 e Cass., n. 26710 del 2017), non essendo sufficiente la mera indicazione del pericolo di disgregazione familiare, della necessità di entrambe le figure genitoriali, o l’allegazione di un disagio in caso di rimpatrio insieme ai genitori o a causa dell’allontanamento di un genitore: spetta, infine al giudice del merito valutare le circostanze del caso concreto con particolare attenzione (Cass. n. 4197 del 2018; Cass. n. 773 del 2020);

9. ebbene, nel caso di specie, il ricorrente non prospetta, se non in maniera del tutto generica e astratta, alcuna concreta situazione di grave pregiudizio per il minore trascendente la possibilità per lo stesso o di permanere in Italia con la madre (che lo mantiene) o di seguire il padre in ***** con eventuale peggioramento delle condizioni di vita in quel nuovo contesto, mancando altresì di censurare in maniera specifica quanto affermato, in maniera del tutto condivisibile, dal giudice di merito circa l’impossibilità di valorizzare il radicamento del minore sul territorio nazionale e il suo inserimento nel contesto sociale (avendo il ricorrente presentato l’istanza nel *****, soltanto pochi mesi dopo la nascita del figlio), oltre che l’assenza di patologie o disagi psicofisici pregiudizievoli a carico del minore, il pregiudizio alla serenità familiare determinato dalla condotta criminosa del R., l’assenza – in ogni caso – per oltre un triennio dal nucleo familiare in caso di passaggio in giudicato della sentenza penale di secondo grado;

10. in conclusione, il ricorso deve essere rigettato, senza provvedere in ordine alle spese processuali in considerazione della mancata attività difensiva della parte intimata.

11. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021

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