LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17342-2019 proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V. DARDANELLI 13, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO ALESII, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA, 71, presso lo studio dell’avvocato WALTER FELICIANI, rappresentato e difeso dall’avvocato RICCARDO LEONARDI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 407/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 28/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.
RILEVATO
CHE:
la Corte di appello di Ancona ha respinto il gravame di RFI Rete Ferroviaria Italiana – e confermato la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva respinto l’opposizione della società avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore di P.A., a titolo di differenze retributive sulla base di una sentenza di condanna generica;
per la cassazione della pronuncia, ha proposto ricorso RFI sulla base di due motivi;
ha resistito, con controricorso, P.A.;
la proposta del relatore è stata ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;
RFI ha depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – è dedotta la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 287 e 288 c.p.c.; parte ricorrente imputa alla sentenza impugnata di non avere correttamente valutato che la pronuncia di condanna generica, posta a fondamento della procedura monitoria, non fosse stata corretta, con la procedura dell’errore materiale, nella parte in cui difettava dell’indicazione, nell’epigrafe, del nominativo del lavoratore che aveva agito in via monitoria per il pagamento delle somme;
la censura è da respingere;
in estrema sintesi, la sentenza impugnata ha fondato la decisione sulla assorbente considerazione che l’omessa correzione dell’errore materiale contenuto nell’intestazione della pronuncia di condanna generica, utilizzata quale prova scritta del credito azionato in via monitoria, non fosse di ostacolo, all’esito del giudizio di opposizione, all’accoglimento della domanda, comunque fondata perchè non specificamente contestata e supportata da (ulteriori) elementi di prova;
il ragionamento della Corte di merito risulta, nella sostanza, corretto ove si consideri la natura del giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c., quale azione non di impugnazione della validità del decreto ingiuntivo ma introduttiva di un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione sulla fondatezza della domanda, in relazione alla quale il giudice ha comunque l’obbligo di pronunciarsi, nel senso che è tenuto ad accoglierla (o a rigettarla) qualora ritenga provato (o meno) il credito dedotto, e ciò indipendentemente dalla validità, sufficienza e regolarità degli elementi posti a fondamento della pretesa monitoria e/o dall’ammissibilità di detto strumento processuale a tutela del diritto azionato (cfr., tra le tante, in motivazione – p. 2.2.- Cass. n. 20858 del 2012 con i numerosi precedenti ivi richiamati);
in altre parole, quand’anche il decreto ingiuntivo fosse stato emesso senza adeguata prova scritta – per non essersi proceduto alla correzione materiale della sentenza di condanna generica – ciò che la Corte di appello doveva valutare – ed ha valutato – era che, al momento della decisione del giudizio di opposizione, la pretesa azionata dall’attore in senso sostanziale risultasse provata, restando indifferente che, per ipotesi, non lo fosse all’atto del deposito del ricorso per ingiunzione;
con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – è dedotta la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2,24 e 111 Cost., e dell’art. 88 c.p.c., per abuso del processo; la parte ricorrente assume il frazionamento della domanda al fine di ottenere la medesima pretesa creditoria;
il motivo è manifestamente infondato, giacchè la possibilità di formulare, in via separata, una domanda sull’an debeatur ed una successiva sul quantum è pacificamente riconosciuta nel nostro ordinamento (v. Cass. n.6343 del 2019, in motiv. p. 16), come si ricava anche dalla pronuncia delle sezioni unite n. 4090 del 2017 (v., in motivazione, p. 3, secondo periodo), richiamata in ricorso a fondamento della censura; in detta pronuncia, si osserva che il sistema processuale prevede – e non esclude – la possibilità di proporre in tempi e processi diversi domande intese al recupero di crediti facenti capo ad un unico rapporto esistente tra le parti, come autorizza a ritenere, tra l’altro, proprio la “contemplata possibilità di condanna generica”;
venendo al caso in esame, la domanda sull’an era finalizzata a risolvere una pregiudiziale situazione di incertezza relativa al computo, nell’anzianità di servizio, del periodo di formazione e lavoro; incertezza non eliminabile senza l’intervento del giudice; la successiva azione è stata avanzata, dai singoli lavoratori, per la determinazione delle somme a ciascuno spettanti, una volta che la detta situazione di incertezza era stata risolta;
conclusivamente, il ricorso va rigettato;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo; sussistono, altresì, i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021