Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.81 del 07/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 633/2020 proposto da:

H.Y., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 6315/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/10/2019 R.G.N. 1561/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/09/2020 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

RILEVATO

Che:

1. la Corte di appello di Roma, con sentenza pubblicata il 21.10.2019, ha respinto l’appello proposto da H.Y., cittadino *****, di religione cristiana evangelica, avverso il provvedimento con il quale il Tribunale aveva, a sua volta, rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;

2. la Corte territoriale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente – secondo cui era fuggito per aver subito due arresti, violenze fisiche e torture, per l’affiliazione alla chiesa domestica non riconosciuta “*****” – evidenziando la genericità e la contraddittorietà dell’episodio narrato, la contraddizione del rilascio di un regolare passaporto e di un visto turistico con la situazione paventata di persecuzione e la dissonanza con le notizie reperite sulle condizioni di sicurezza e socio-economiche della regione (*****) di provenienza, da cui risulta che la stessa non vive una situazione di conflitto armato bensì di stabile tranquillità (essendo solamente sconsigliato attraversare i confini con l’Afghanistan, la Birmania, il Pakistan e le zone di confine con il Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan) nè essendo stata data prova alcuna di uno stato di vulnerabilità fisica e psicologica e di adeguata integrazione nel territorio nazionale;

3. il ricorso di H.Y. domanda la cassazione del suddetto provvedimento per cinque motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non avendo, – la Corte territoriale – approfondito, ai fini della credibilità del richiedente, la professione della fede religiosa e la conseguente pericolosità della sua professione nel paese di origine;

2. con il secondo motivo si denuncia errato e contraddittorio esame delle dichiarazioni rese dal dichiarante essendosi sottratto – il Tribunale – al dovere di cooperazione a fronte del manifestato timore di repressione religiosa;

3. con il terzo motivo si denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, potendosi facilmente evincere, da notizie reperibili sui siti di maggiore affidabilità, lo stato di pericolo che vivono gli aderenti alle chiese domestiche cristiane e l’assenza di protezione da parte dello Stato cinese che è il diretto persecutore;

4. con il quarto motivo si denuncia violazione di numerose norme del D.Lgs. n. 251 del 2007, nonchè difetto di motivazione in considerazione dell’assoluta carenza di istruttoria in merito alle condizioni del paese di origine ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ed umanitaria;

5. con il quinto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, essendosi sottratta – la Corte territoriale – all’obbligo di cooperazione istruttoria in ordine alla situazione oggettiva relativa al paese di origine;

6. i motivi, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili;

7. questa Corte è già reiteratamente intervenuta a chiarire quale sia ed in qual senso debba essere inteso il “ruolo attivo” nell’istruttoria della domanda che (l’autorità amministrativa e) il giudice del merito sono chiamati a svolgere in base al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in particolare comma 5 (per tutte v. Cass. n. 8905 del 2019);

8. al riguardo è stato precisato che tale “ruolo attivo” comporta in favore del richiedente l’attenuazione del principio dispositivo proprio del giudizio civile (senza preclusioni o impedimenti processuali) e si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, visto che l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, essendo il richiedente tenuto a presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio;

9. infatti, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerate veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere… ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

10. la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere, affidata alla mera opinione del giudice ma deve essere il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiere non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e tenendo conto “della situazione individuale ella circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c, del D.Lgs. cit.), senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto (Cass. 14 novembre 2017, n. 26921; Cass. 25 luglio 2018, n. 19716; Cass. 7 febbraio 2020, n. 2956 e ivi ampi richiami di giurisprudenza);

11. invero, solo sulla base di un esame effettuato nel modo anzidetto, le dichiarazioni del richiedente possono essere considerate inattendibili e come tali non meritevoli di approfondimento istruttorio officioso, salvo restando che ciò vale soltanto per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ma non per l’accertamento dei presupposti per la protezione sussidiaria di cui dell’art. 14 cit., lett. c) – la quale non è subordinata alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico nella violenza indiscriminata ivi contemplata, a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale – neppure può valere ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria in quanto il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, delle diverse circostanze che rilevano ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (vedi, per tutte: Cass. 18 aprile 2019, n. 10922; Cass. 7 febbraio 2020, n. 2960; Cass. 7 febbraio 2020, n. 2956 cit.);

12. solo a condizione che la suddetta valutazione – circa la sussistenza o meno della credibilità soggettiva – risulti essere stata effettuata con il metodo indicato dalla specifica normativa attuativa di quella di origine UE e, quindi, in conformità della legge, essa può dare luogo ad un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, come tale censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 – come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (tra le tante: Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);

13. nel caso di specie, la Corte di appello, perfettamente consapevole dei principi innanzi richiamati, ha scrutinato con accuratezza le dichiarazioni dell’istante, ritenendo “la narrazione dei fatti, così come riportati dal ricorrente,.. scarsamente credibile e finanche contraddittoria, come ritenuto sia dalla Commissione Territoriale che dal giudice di prime cure” e sottolineando la genericità degli elementi riferiti in ordine al ruolo di predicatore religioso, all’adesione alla fede cristiana e alle motivazioni della conversione ad una religione fortemente osteggiata dal Governo cinese, e l’assenza di notizie relative alla chiesa “*****” e all’esistenza di una tale comunità religiosa; ha, inoltre, aggiunto che la regione di appartenenza del richiedente non registra alcuna situazione di conflitto generalizzato e che non è stata indicato alcun specifico stato di vulnerabilità fisica e psicologica;

14. pertanto, la doglianza proposta dal ricorrente costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone sufficiente spiegazione, doglianza neppure adeguatamente censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 novellato, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte (sentt. nn. 8053 e 8054 del 2014), scrutinio peraltro precluso anche per la ricorrenza di una cd. “doppia conforme” (art. 348 ter c.p.c., u.c., in base al quale il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; tra le altre v. Cass. n. 23021 del 2014);

15. inoltre, posto che la Corte di appello ha ampiamente e congruamente illustrato le ragioni della ritenuta non credibilità della narrazione del ricorrente in ordine all’affiliazione religiosa, i motivi sono chiaramente distonici con la ratio decidendi della sentenza, visto che il ricorrente postula il riconoscimento della dedotta appartenenza religiosa, che è stata invece esclusa;

16. il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile; alla reiezione del ricorso, non consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, non avendo l’intimato svolto attività difensive;

17. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021

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