LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1955/2020 proposto da:
P.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO N. 38, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIORANA, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Perugia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 453/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 26/07/2019 R.G.N. 651/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.
RILEVATO
Che:
1. la Corte di Appello di Perugia, con sentenza pubblicata il 26 luglio 2019, ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da P.E., dichiaratosi cittadino *****, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione sussidiaria proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;
2. la Corte ha confermato – per quanto qui ancora interessa – l’assunto del primo giudice secondo cui il racconto dell’istante non era credibile, perchè, come ritenuto dalla Commissione territoriale, “generico e poco circostanziato” oltre che “inverosimile”, in relazione ad una vicenda in cui P.E. paventava di essere arrestato in Nigeria e di non poter più uscire di galera; circa la richiesta protezione sussidiaria la Corte ha comunque ritenuto infondata la domanda, “anche se per ipotesi si volesse credere al racconto del richiedente”, perchè “provenendo le minacce da soggetti privati, si tratterebbe di semplici tensioni tribali”, non idonee ad integrare i requisiti imposti dal D.Lgs. n. 251 del 2007;
3. quanto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, la Corte ha osservato che i fatti posti a fondamento di essa “non valgono a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria”, aggiungendo che “l’affermazione di una pretesa integrazione del richiedente nella società italiana genericamente fondata sui ‘documenti prodottì di cui neanche si specifica il contenuto… appare del tutto inconsistente”;
4. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con 2 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
Che:
1. il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per avere i giudici del merito ritenuto non credibile il narrato del richiedente protezione;
la censura è inammissibile;
in tema di valutazione della credibilità di quanto narrato dal richiedente protezione questa Corte, ancora di recente (cfr. Cass. n. 14674 del 2020), ha ribadito i seguenti principi:
la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere affidata alla mera opinione del giudice ma deve essere il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiere non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto (Cass. n. 26921 del 2017; Cass. n. 19716 del 2018; Cass. n. 2956 del 2020); solo sulla base di un esame effettuato nel modo anzidetto, le dichiarazioni del richiedente possono essere considerate inattendibili e come tali non meritevoli di approfondimento istruttorio officioso; la dispensa dalla cooperazione istruttoria vale tuttavia soltanto per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ma non per l’accertamento dei presupposti per la protezione sussidiaria di cui dell’art. 14 cit., lett. c), la quale non è subordinata alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico nella violenza indiscriminata ivi contemplata, a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale; essa neppure può valere ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria in quanto il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, delle diverse circostanze che rilevano ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (vedi, per tutte: Cass. n. 10922 del 2019; Cass. n. 2960 del 2020; Cass. n. 2956 del 2020);
ove la valutazione della sussistenza o meno della credibilità soggettiva sia stata effettuata con il metodo indicato dalla specifica normativa attuativa di quella di origine UE e, quindi, in conformità alla legge ed il ricorrente per cassazione non abbia indicato “in qual modo si sarebbe discostato dai criteri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3” (così Cass. n. 12086 del 2020), essa può dare luogo ad un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, come tale censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo novellato, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (v. ex multis Cass. n. 30105 del 2018; Cass. n. 3340 del 2019; Cass. n. 29279 del 2019; Cass. n. 8020 del 2020);
nel caso, la Corte d’Appello ha confermato la valutazione già compiuta in prime cure dell’esame delle dichiarazioni del richiedente, ritenendole non credibili e comunque inidonee ad integrare i presupposti per la protezione richiesta, sicchè la doglianza in esame, che non specifica i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, che si assumono violati nello scrutinio dell’attendibilità del narrato, costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto, neppure censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 novellato, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte (sent. nn. 8053 e 8054 del 2014), peraltro precluso anche per la ricorrenza di una cd. “doppia conforme” (art. 348 ter c.p.c., u.c., in base al quale il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; tra le altre v. Cass. n. 23021 del 2014);
2. il secondo motivo critica la sentenza impugnata per non avere riconosciuto allo straniero il permesso di soggiorno per motivi umanitari, lamentando omessa applicazione dell’art. 10 Cost., omessa valutazione delle fonti informative relativamente alla situazione economico-sociale del paese di provenienza nonchè omesso esame delle condizioni personali per l’applicabilità della protezione umanitaria e della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del paese di provenienza;
il motivo, per come formulato, è inammissibile;
le Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 29459 del 2019) hanno condiviso l’orientamento che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (inaugurato da Cass. n. 4455 del 2018, seguita, tra varie, da Cass. n. 11110 del 2019 e da Cass. n. 12082 del 2019), puntualizzando però che non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. n. 17072 del 2018); si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 9304 del 2019), tanto da indurre le Sezioni unite ad accogliere nell’occasione il ricorso proposto dal Ministero, in quanto la decisione del giudice d’appello si era fondata sul solo elemento, isolatamente considerato, della recente assunzione del richiedente alle dipendenze di un datore di lavoro italiano;
orbene, nella specie, la Corte territoriale ha esplicitamente argomentato che “i fatti posti a fondamento della domanda di protezione sussidiaria, già per l’assorbente rilievo della loro mancata prova, non valgono neppure a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria”, aggiungendo che “l’affermazione di una pretesa integrazione del richiedente nella società italiana genericamente fondata sui “documenti prodotti” di cui neanche si specifica il contenuto… appare del tutto inconsistente”;
ciò posto, in ricorso non viene adeguatamente specificato nè quando nè come siano stati sottoposti all’attenzione del giudice di merito quegli elementi di fatto individualizzanti che consentissero di enucleare una condizione di vulnerabilità, tenuto conto che anche per la giurisprudenza unionale l’unico ad essere in possesso delle informazioni relative alla sua storia personale è proprio chi richiede la protezione che deve indicare gli elementi relativi all’età, all’estrazione sociale, ai rapporti familiari, ai luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, alle domande eventualmente già presentate (CGUE, 5 giugno 2014, causa C146/14); nel caso che ci occupa il ricorrente deduce formule generiche ed invoca una diversa valutazione in ordine alla situazione socio-politica del paese di provenienza, trascurando di considerare che – per i principi innanzi richiamati – il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza, perchè si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea) al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 9304 del 2019);
3. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; nulla va liquidato per le spese in quanto il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021