Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.820 del 19/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1991/2020 proposto da:

M.J., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE SPINICELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Firenze – Sezione di Perugia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 754/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 09/12/2019 R.G.N. 1068/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

RILEVATO

Che:

1. la Corte di Appello di Perugia, con sentenza pubblicata il 9 dicembre 2019, ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da M.J., cittadino del *****, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria; l’istante aveva raccontato alla Commissione che, all’età di 11 anni, aveva assistito ad una rissa, in seguito alla quale era morto un uomo ed era stata sporta una denuncia contro di lui ed altre 11 persone; fuggito dalla famiglia di origine per il timore di essere arrestato, era stato accolto da un’altra famiglia con cui era vissuto per alcuni anni fino a quando la stessa donna che lo aveva accolto gli aveva suggerito di lasciare il Bangladesh; quindi, nel 2016, grazie ad un passaporto fornitogli da uno zio, si era imbarcato per la Libia, dove aveva lavorato come muratore, senza essere pagato e sottoposto a percosse, per cui era fuggito in Italia;

2. la Corte – per quanto qui ancora interessa – ritenuto “il complesso del narrato… poco credibile” ha poi escluso che le situazioni descritte potessero comunque consentire il riconoscimento della “qualità di rifugiato”, così come “situazioni di disagio economico” legittimassero la richiesta di protezione sussidiaria, anche a mente del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), visto che “la minaccia alla vita non deriva dalla situazione di violenza indiscriminata per un conflitto, ma dalla generica situazione economica del Bangladesh”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con 4 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

CONSIDERATO

Che:

1. il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatto decisivo che sarebbe rappresentato dalla circostanza che il ricorrente, a sostegno della sua richiesta di protezione sussidiaria, avrebbe “dedotto ed allegato tutte le suindicate “allegazioni e deduzioni” (con relativo richiamo anche a fonti internazionali) e non soltanto ragioni di mero carattere economico”;

la censura è inammissibile atteso che il vizio evocato deve riguardare l’omesso esame di un fatto storico che ha dato origine alla controversia e non l’eventuale mancata valutazione di “allegazioni e deduzioni” difensive;

invero le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno espresso sulla novellata formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., i seguenti principi di diritto (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici): a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso;

poichè il motivo in esame risulta largamente irrispettoso di tali enunciati, piuttosto lamentando che il giudice non avrebbe adeguatamente valutato allegazioni e deduzioni difensive, lo stesso non può che essere dichiarato inammissibile;

2. il secondo motivo denuncia: “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14. Omesso esame delle fonti informative. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.. Motivazione apparente”; si rammenta che per il riconoscimento della protezione sussidiaria il giudice di merito è tenuto, anche d’ufficio, a verificare tramite C.O.I. o altra documentazione probante “se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente”;

il motivo è fondato;

questa Corte ha chiarito che, ai fini della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il giudice è tenuto anche d’ufficio a verificare utilizzando fonti attendibili per scrutinare le “COI” (Country of origin information) – se nel Paese di origine sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente (Cass. n. 19716 del 2018); del resto, è il D.Lgs. n. 25 del 2008, stesso art. 8, comma 3, ad imporre l’acquisizione di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati (ex plurimis, da ultimo, Cass. 5192 del 2020);

di conseguenza, è orientamento consolidato che “nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente” (ex plurimis, Cass. n. 17069 del 2018, n. 3016 del 2019, n. 13897 del 2019);

nella specie, la motivazione della sentenza impugnata si riduce ad una laconica affermazione che nega la protezione sussidiaria senza indicare le fonti attendibili ed aggiornate dalle quali trae il convincimento che non ricorrano le condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (in caso analogo v. Cass. n. 13192 del 2020);

3. pertanto, dichiarato inammissibile il primo motivo, va accolto il secondo, con assorbimento del terzo e del quarto motivo con i quali si censura la negazione della protezione umanitaria, in quanto tale domanda dev’essere trattata solo ove vengano rigettate nel merito le domande rivolte verso gli strumenti tipici di protezione internazionale (Cass. n. 11261 del 2019; Cass. n. 20281 del 2020); la cassazione della sentenza impugnata comporta il rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, liquidando anche le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte, dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e dichiara assorbiti il terzo ed il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Perugia, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

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