LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1994/2020 proposto da:
U.S., domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE SPINICELLI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Firenze – Sezione di Perugia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 461/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 26/07/2019 R.G.N. 73/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.
RILEVATO
Che:
1. la Corte di Appello di Perugia, con sentenza pubblicata il 26 luglio 2019, ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da U.S., cittadino *****, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;
2. la Corte – per quanto qui ancora interessa – ha ritenuto “poco credibile” il racconto del richiedente asilo che aveva riferito di essere fuggito dal Paese di origine per violenze esercitate “dal gruppo armato ***** nei confronti di membri della sua famiglia, attaccati nel villaggio dove vivevano, senza però circostanziare tale assunto”;
ha aggiunto “che da parte del ricorrente non è stata data la prova di situazioni attuali di insicurezza generale e di assenza di protezione da parte delle autorità statali, situazioni, queste, riconducibili quanto meno alla protezione sussidiaria, nè a situazioni di persecuzioni o trattamenti inumani o degradanti”;
infine la Corte ha ritenuto che “non sussistono i presupposti per la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”;
4. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con 5 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
Che:
1. il primo motivo denuncia nullità della sentenza impugnata per “incomprensibilità del percorso argomentativo seguito dalla Corte di Appello per dar conto della genericità delle dichiarazioni del richiedente e/o della non “riconducibilità” degli eventi raccontati ad atti rilevanti ai fini del riconoscimento delle forme di protezione richieste, tale da determinarne la mera apparenza”; il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di numerose disposizioni normative per non avere la Corte territoriale svolto, anche ex officio, “ogni utile accertamento finalizzato a ricostruire le condizioni della nazione di origine del richiedente”; il terzo ancora lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, nonchè omesso esame delle fonti informative ed omessa applicazione dell’art. 10 Cost.; si rammenta che per il riconoscimento della protezione sussidiaria il giudice di merito è tenuto, anche d’ufficio, a verificare tramite C.O.I. o altra documentazione probante “se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente”;
2. i tre motivi, congiuntamente esaminabili per connessione, sono fondati;
2.1. avuto riguardo alla censura contenuta nel primo di essi, occorre rilevare come l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il racconto del richiedente – che “ha riferito di essere cittadino della Nigeria e di essere dovuto fuggire dal Paese di origine per ragioni dovute a violenze, esercitate dal gruppo armato ***** nei confronti dei membri della sua famiglia, attaccati nel villaggio dove vivevano” – non sarebbe circostanziato, appare apodittica, tanto più perchè non supportata da alcuna indagine in ordine all’operatività del gruppo terroristico ***** nella regione di provenienza del richiedente protezione (Borno);
come noto le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno sancito che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile alla controversia, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”; in particolare si è ritenuto che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016);
è questo il caso all’attenzione del Collegio, laddove la pronuncia impugnata rivela una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, esprimendosi la motivazione in una mera asserzione, non sorretta da alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè da alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. proprio in materia di protezione internazionale Cass. n. 3819 del 2020; Cass. n. 17755 del 2020);
2.2. per quanto riguarda poi gli altri due motivi, questa Corte ha chiarito che, ai fini della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il giudice è tenuto anche d’ufficio a verificare – utilizzando fonti attendibili per scrutinare le “COI” (Country of origin information) – se nel Paese di origine sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente (Cass. n. 19716 del 2018); del resto, è del D.Lgs. n. 25 del 2008, stesso art. 8, comma 3, ad imporre l’acquisizione di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati (ex plurimis, da ultimo, Cass. 5192 del 2020);
di conseguenza, è orientamento consolidato che “nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente” (ex plurimis, Cass. n. 17069 del 2018, n. 3016 del 2019, n. 13897 del 2019);
nella specie, la motivazione della sentenza impugnata si riduce ad una laconica affermazione che nega la protezione sussidiaria senza indicare le fonti attendibili ed aggiornate dalle quali trae il convincimento che non ricorrano le condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (in caso analogo v. Cass. n. 13192 del 2020);
3. pertanto i primi tre motivi del ricorso vanno accolti, con assorbimento del quarto e del quinto motivo con cui si censura la negazione della protezione umanitaria, in quanto tale domanda dev’essere trattata solo ove vengano rigettate nel merito le domande rivolte verso gli strumenti tipici di protezione internazionale (Cass. n. 11261 del 2019; Cass. n. 20281 del 2020); la cassazione della sentenza impugnata comporta il rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, liquidando anche le spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Perugia, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021