LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2027/2020 proposto da:
S.M., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SIMONA MAGGIOLINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Siracusa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 528/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 22/08/2019 R.G.N. 294/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.
RILEVATO
Che:
1. la Corte di Appello di Caltanissetta, con sentenza pubblicata il 22 agosto 2019, ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da S.M., cittadino *****, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;
2. la Corte, al cospetto di motivi che impugnavano il diniego della protezione sussidiaria ed umanitaria, ha condiviso “la valutazione espressa dal primo giudice circa la complessiva non credibilità delle sue dichiarazioni”, in particolare perchè “non ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, una volta giunto in un paese Europeo nè ha dimostrato di aver un giustificato motivo per ritardarla” e perchè aveva prodotto un certificato di morte asseritamente relativo al padre non congruente rispetto alle vicende narrate;
3. ha escluso poi che “la situazione di sicurezza in Pakistan, con specifico riguardo al distretto del Punjab di provenienza del ricorrente, alla luce del più recente rapporto EASO sul Pakistan (ndr. ottobre 2018) integri il presupposto della violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno e internazionale”;
4. infine la Corte, richiamati i principi di diritto espressi da Cass. n. 4455 del 2018 quanto alla protezione umanitaria, ha affermato che “la valutazione individuale della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza dal Pakistan e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, unitamente alla considerazione che in Pakistan continuano a vivere i familiari dell’appellante (moglie, figli, suoceri), fanno ritenere a questa Corte non positivamente riscontrati i seri motivi di carattere umanitario che giustificano il rilascio del permesso di soggiorno”;
5. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con 4 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
Che:
1. il primo motivo denuncia violazione di legge, a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè “il Tribunale ordinario di Caltanissetta e la Corte di Appello hanno fondato il proprio convincimento su una breve audizione avvenuta presso la Commissione territoriale di Siracusa, senza aver posto il Signor S. nelle condizioni di spiegare il motivo delle presunte discordanze”;
la censura è inammissibile perchè non si misura con la concreta vicenda processuale e si fonda su di un presupposto errato, atteso che, come risulta alla pag. 4 della sentenza impugnata, vi è stata audizione personale dell’istante “all’udienza del 25 gennaio 2018 dinanzi al giudice del tribunale di Caltanissetta”, nè il ricorrente ha indicato e prodotto atti processuali che smentiscano tale assunto;
2. il secondo motivo denuncia: “violazione di legge in riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g, art. 3, comma 1 e art. 14, L. n. 241 del 1990, art. 3; art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 111 Cost., comma 6, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in relazione alla negata protezione sussidiaria;
si critica la sentenza impugnata “per aver escluso dal ragionamento e dalla decisione il racconto fatto dal ricorrente… sulla base di elementi non indagati a sufficienza”; si lamenta che la Corte territoriale si sarebbe “limitata a nominare il rapporto COI-EASO, senza indicare quali altre fonti siano state utilizzate per analizzare la situazione del Pakistan”; si riporta il contenuto del rapporto EASO dell’ottobre 2018 già esaminato dalla Corte, ritenendo che da esso emergerebbe una situazione “di instabilità e rischio per la vita dei civili… confermata da molteplici decisioni di Tribunali italiani”;
il motivo è innanzitutto inammissibile perchè contiene promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di plurime disposizioni di legge, sostanziale e processuale, nonchè di “omesso esame di un fatto decisivo”, senza alcuna specifica indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 dell’art. 360 c.p.c., così non consentendo una adeguata identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da… irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016; tra le più recenti v. Cass. n. 3141 del 2019, Cass. n. 13657 del 2019; Cass. n. 18558 del 2019; Cass. n. 18560 del 2019).
inoltre la censura si limita a proporre una diversa lettura delle fonti internazionali già esaminate dalla Corte di Appello, senza dimostrare che le stesse non siano aggiornate ovvero che ve ne siano diverse, decisive e più probanti, e senza neanche più fare riferimento alla vicenda individuale dell’istante, piuttosto riportando i contenuti di plurime decisioni di altri giudici di merito che avrebbero riscontrato una situazione di “instabilità” della regione pakistana;
3. il terzo motivo denuncia plurime violazioni di legge e omesso esame di fatto decisivo per avere i giudici negato anche la protezione umanitaria; si ribadisce che l’istante “lavora sin dal 2016 come aiuto cuoco all’interno di un ristorante di *****” e che non sarebbe stata sufficientemente indagata la situazione attuale del Pakistan; si aggiunge che “la vulnerabilità deve altresì essere riconosciuta sulla base degli anni che egli ha vissuto fuori dal Pakistan… infatti il ricorrente è stato imprigionato in Grecia per più di due anni, restando in tale luogo per ulteriori due anni, dove ha vissuto in un clima di violenza e razzismo” e tale “aspetto non è stato in alcun modo preso in considerazione dalla Corte di Appello”;
con il quarto motivo si denuncia violazione della Convenzione EDU, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, dell’art. 46 della direttiva UE n. 32/2013, dell’art. 111 Cost., nonchè omesso esame di fatto decisivo; a sostegno si deduce che “non può essere posto alla base della decisione la presunzione di non veridicità del racconto fatto dal ricorrente, senza esaminare compiutamente la storia personale e la situazione del Paese di provenienza, sia ex officio con una più precisa e completa analisi delle fonti ufficiali, sia mediante la diretta richiesta di spiegazioni al ricorrente stesso”;
4. entrambi i motivi risultano formulati in modo inammissibile;
quanto al richiamo al vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è appena il caso di rammentare che le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno espresso su tale norma i seguenti principi di diritto (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici): a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso; poichè entrambi i motivi in esame risultano largamente irrispettosi di tali enunciati, gli stessi palesano la loro inammissibilità;
circa le dedotte violazioni di legge, di Costituzione, di Convenzione EDU, di Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, variamente contenute nel terzo e quarto mezzo, le stesse risultano del tutto astratte, risolvendosi in una mera elencazione di norme e principi, senza l’osservanza del fondamentale cardine secondo cui i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non articoli specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa, avendo il ricorrente l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del giudizio di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione di identificare la critica mossa ad una parte ben specificata della decisione espressa (v., da ultimo, Cass. n. 2959 del 2020; conf. Cass. n. 1479 del 2018); pertanto, se nel ricorso per cassazione si sostiene l’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, si deve chiarire a pena di inammissibilità l’errore di diritto imputato al riguardo alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia (Cass. SS.UU. 21672 del 2013); in caso contrario, la censura – pur formalmente formulata come vizio di violazione di norme legge – nella sostanza si traduce in una inammissibile denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, effettuata nell’esercizio di un sindacato non censurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione, peraltro, come innanzi detto, nei ristretti limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5;
5. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; nulla va liquidato per le spese in quanto il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
PQM
– La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021