Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.83 del 07/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 710/2020 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ERITREA, 20, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO GIUTTARI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, anche per la COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI GORIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il 14/11/2019 R.G.N. 105/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Trieste, con decreto del 14.11.2020, respingeva il ricorso in opposizione proposto da R.A., cittadino ***** della regione del *****, avverso il provvedimento della Commissione Territoriale di Gorizia, che aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale;

2. il Tribunale rilevava che il ricorrente aveva narrato che alcuni suoi amici erano stati sequestrati ed uccisi da alcuni malviventi, operanti per un’associazione del suo paese, e che anche lui aveva ricevuto minacce dalla stesse persone, che, tuttavia, erano arrestate dalla polizia; riteneva che tale racconto non era credibile anche per quanto riferito al giudice sull’appartenenza dei malviventi ai talebani e che l’assoluta mancanza di credibilità escludeva la possibilità di riconoscere qualsiasi forma di protezione, non essendo emersi atti di persecuzione collegati agli specifici motivi indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8;

3. il Tribunale aggiungeva che il Punjab non era una regione in cui era in corso un conflitto armato interno o internazionale suscettibile di generare una violenza indiscriminata tale da esporre a pericolo tutti i cittadini per la loro solo presenza sul territorio, ai fini di cui dell’art. 14, lett. c) del menzionato D.Lgs.;

4. di tale decisione domanda la cassazione il R., affidando l’impugnazione a due motivi;

5. Il Ministero dell’Interno non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), osservando che erano stati soddisfatti i presupposti elencati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ai fini della attendibilità delle dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione territoriale e che le stesse delineavano una situazione di danno grave di cui alle lett. a) e b);

1.1. il motivo pecca di mancanza di specificità e, ad onta della rubrica, nessun accenno contiene alla lett. c) ed alla necessità di fare rinvio a fonti accreditate per procedere all’accertamento anche d’ufficio della situazione esistente nel paese d’origine;

2. con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e dell’art. 5, comma 6, T.U., con riferimento all’art. 8 CEDU, sostenendo che nessuna motivazione sia stata fornita con riguardo alla richiesta di protezione umanitaria, non essendo stata valutata la sussistenza di una condizione di assoluta vulnerabilità, in ragione della circostanza che egli era stato costretto a scappare per tutelare la propria incolumità;

2.1. la critica rivolta alla decisione non denunzia alcuna mancata considerazione a livello comparativo della situazione nel paese di accoglienza e di quella del paese d’origine, nè delinea l’assenza di condizioni minime per condurre un’esistenza secondo standards minimi di dignità, anche con riguardo alla vicenda del sequestro, onde la richiesta avanzata risulta priva di ogni collegamento con la situazione che deve costituire oggetto dell’indagine anche officiosa da compiersi da parte del giudice;

2.2. la censura si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa nella presente sede di legittimità, senza che vengano, peraltro, indicate fonti alternative validamente utilizzabili in quanto maggiormente accreditate;

3. per tutto quanto detto, il ricorso va dichiarato complessivamente inammissibile;

4. nulla va statuito sulle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo il Ministero svolto alcuna attività difensiva;

5. le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale non sono annoverate tra quelle esentate dal contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 9 e 10, sicchè al rigetto o, come nella specie, all’inammissibilità del corrispondente ricorso per cassazione consegue il raddoppio di detto contributo (cfr. Cass. 8.2.2017 n. 3305).

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021

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