Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.851 del 19/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6869/2019 R.G. proposto da:

A.G., L.P.S. e M.G., rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Francesco BONO, ed elettivamente domiciliati in Roma, al viale dei Parioli, n. 55, presso lo studio legale dell’avv. Giovanni CARTA;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 241/01/2018 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, depositata il 17/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/10/2020 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

RILEVATO

che:

– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di liquidazione di maggiori imposte e di irrogazione di sanzioni che l’amministrazione finanziaria aveva emesso nei confronti di A.G., L.P.S. e M.G. a seguito di disconoscimento dei benefici per l’acquisto della prima casa con riferimento ad un immobile che l’Agenzia delle entrate aveva ritenuto avere le caratteristiche di lusso, la CTR della Sicilia con la sentenza in epigrafe indicata accoglieva l’appello proposto dall’amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo che nel computo dei metri quadrati dell’immobile andava considerato anche il locale che nell’atto notarile di compravendita era stato indicato come “soffitta”, in quanto risultava “chiaro dalle foto” che era “a tutti gli effetti un piano fruibile dell’unità immobiliare”, “a prescindere dal requisito dell'”abitabilità””;

– avverso tale statuizione i contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., lamentando che spettava all’Agenzia dalle entrate provare che nel caso di specie la soffitta, pur indicata nel D.M. lavori Pubblici 2 agosto 1969, n. 1072, art. 6, tra i locali espressamente esclusi dal computo della superficie utile per l’individuazione degli immobili di lusso (ovvero di quelli con superficie complessivamente superiore a mq. 240), vi andava invece ricompresa e che pertanto aveva errato la CTR nel porre a carico di essi contribuenti l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per godere dell’agevolazione fiscale, così invertendo l’onere della prova. Sostengono, altresì, che la CTR aveva violato l’art. 115 c.p.c. in quanto l’Agenzia delle entrate non aveva mai contestato le risultanze della relazione di consulenza tecnica prodotta da essi ricorrenti “in ordine alla qualificazione del piano terzo dell’edificio quale “soffitta”” (ricorso, pag. 11).

Il motivo è infondato.

Quanto alla prima censura veicolata con il motivo in esame, deve rammentarsi il consolidato principio giurisprudenziale in base al quale “In tema di agevolazioni tributarie, chi vuole fare valere una forma di esenzione o di agevolazione qualsiasi deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta della esenzione o della agevolazione” (Cass. n. 23228 del 2017).

Quanto alla seconda censura, va ricordato che “Il principio di non contestazione opera anche nel processo tributario, nell’ambito del quale, tuttavia, deve essere coordinato con quello, correlato alla specialità del contenzioso, secondo cui la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in via subordinata non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi, nè determina il restringimento del “thema decidendum” ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ente impositore, qualora le questioni da questo dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, tra tutte le possibili argomentazioni difensive rispetto ai motivi di opposizione” (Cass. n. 7127 del 2019; conf. Cass. n. 19806 del 2019).

Pertanto, nel caso di specie l’amministrazione finanziaria non aveva alcun onere di contestare le risultanze della consulenza tecnica di parte in punto di qualificazione del locale in questione come “soffitta”, atteso che, per come si dirà in prosieguo, tale qualificazione, anche ove riconosciuta come corretta, non consente l’automatica esclusione del predetto locale dal computo dei metri quadrati dell’immobile ai fini per cui è causa.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, artt. 5 e 6, del D.P.R. n. 131 del 1986 e del citato decreto, art. 1 e Nota II-bis della Tariffa, Parte I, allegata (nella formulazione in vigore “ratione temporis”, anteriormente alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 175 del 2014), sostenendo che aveva errato la CTR nel ricomprendere il locale “soffitta” nel computo della superficie utile ai fini della individuazione degli immobili aventi caratteristiche di lusso in quanto escluso per espressa previsione del citato decreto.

Il motivo è infondato.

Pare opportuno ricordare al riguardo che la norma regolamentare fonda una presunzione legale iuris tantum, sicchè è consentito alle parti di fornire la prova contraria. Invero, Cass. n. 4071 del 2020 ha affermato: “la tipizzazione dei criteri dimensionali per la classificazione degli immobili di lusso da parte del D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, vale a fondare una presunzione legale iuris tantum, che consente, comunque, al contribuente di fornire la prova dell’inutilizzabilità (anche parziale) ai fini abitativi, in modo da ridurre l’estensione computabile al di sotto della soglia minima della “superficie utile complessiva” ed evitare la decadenza dall’agevolazione della c.d. “prima casa” (ex plurimis: Cass., Sez. 6, 6 giugno 2016, n. 11556)”.

Pertanto, se un locale rientra tra quelli indicati nel citato decreto ministeriale, spetta all’amministrazione finanziaria specificare nella motivazione dell’atto impositivo e provare che tale locale ha destinazione abitativa.

Al contrario, quando il locale non rientra tra quelli espressamente indicati dalla norma regolamentare, spetta al contribuente fornire la prova dell’inutilizzabilità (anche parziale) ai fini abitativi, in modo da ridurre l’estensione computabile al di sotto della soglia minima della “superficie utile complessiva” ed evitare la decadenza dall’agevolazione della c.d. “prima casa” (ex plurimis: Cass. n. 11556 del 2016; conf. Cass. n. 4071 del 2020 cit.).

Da quanto appena detto discende l’ovvia considerazione che la circostanza che un locale rientri tra quelli indicati dal citato decreto ministeriale non è ostativa alla considerazione della sua superficie ai fini dell’inclusione dell’immobile tra quelli di lusso, allorquando se ne accerti in concreto l’utilizzabilità a fini abitativi. Invero, questa Corte ha affermato che, al fine di stabilire il carattere di lusso dell’immobile, anche l’ambiente strettamente adibito a cantina, ovvero a soffitta, costituisce comunque elemento da comprendete nel calcolo della superficie complessiva, da considerare come facente parte di “casa di lusso”, allorquando, in concreto, esse siano strutturate in modo tale da essere abitabili, sì da perderne la tipica caratteristica (Cass. n. 9529 del 2015) Orbene, nel caso di specie la CTR ha affermato che “nella planimetria esistente agli atti del Catasto dei Fabbricati”, peraltro “presentata dalla parte stessa in sede di dichiarazione dell’anno 2002, per variazione planimetrica ad ampliamento n. 13824” l’immobile veniva descritto come “”costituente unica unità immobiliare, composto da un piano terra, primo e secondo”, quest’ultimo formato da “un vano e accessorio per una superficie utile di circa mq 52"”. Ha quindi ritenuto che tali locali non erano ricompresi tra quelli che il citato decreto ministeriale esclude dal computo della superficie utile, posto che la qualificazione del secondo piano dell’immobile come “soffitta” era stata effettuata dalla stessa parte contribuente al momento della stipula dell’atto di compravendita e come tale recepita dal notaio rogante, e questa è stata ritenuta dai giudici di appello circostanza inidonea ad attribuire rilevanza a tale “nuova” qualificazione delle caratteristiche dei locali in questione, anche alla stregua del fatto, accertato dalla CTR, con motivazione non censurata, che “risulta(va) chiaro dalle foto” che si trattava di un piano dell’unità immobiliare “a tutti gli effetti fruibile” (sentenza, pag. 3).

Pertanto, spettava ai contribuenti fornire la prova della non utilizzabilità di quello spazio a fini abitativi. E all’uopo i contribuenti hanno prodotto una consulenza tecnica le cui risultanze la CTR, con chiara e precisa motivazione, ha ritenuto di non condividere perchè fondate sull’inutilizzabilità dei locali per difetto dei requisiti di abitabilità richiesti dal decreto del Ministero della salute del 5 luglio 1975, invece del tutto irrilevanti, in ciò conformandosi alla consolidata giurisprudenza di legittimità (ex multis, Cass. n. 22279 del 2011; n. 19186 del 2019).

Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 1, lett. a). Sostiene l’inapplicabilità delle sanzioni amministrative pecuniarie alla stregua dello ius superveniens di cui alla citata disposizione.

Il motivo è fondato e va accolto.

Il nuovo regime introdotto dal D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 1, lett. a) – “il quale, nel sostituire il D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa allegata, Parte Prima, art. 1, comma 2, ha sancito il superamento del criterio di individuazione dell’immobile di lusso – non ammesso, in quanto tale, al beneficio prima casa – sulla base dei parametri di cui al D.M.LL. PP. 2 agosto 1969” – “trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente alla modificazione legislativa; e, in particolare, successivamente al 10 gennaio 2014, come espressamente disposto dal D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 5, cit.” (ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 11639/17; nn. 1330913318/16), con la conseguenza che il trasferimento immobiliare per cui è causa continua ad essere disciplinato dalla previgente disciplina. In forza della disciplina sopravvenuta l’esclusione dalla agevolazione non dipende più dalla concreta tipologia del bene e dalle sue intrinseche caratteristiche qualitative e di superficie (individuate sulla base del suddetto D.M.), bensì dalla circostanza che la casa di abitazione oggetto di trasferimento sia iscritta in categoria catastale Al, A8 ovvero A9 (rispettivamente: abitazioni di tipo signorile; abitazioni in ville; castelli e palazzi con pregi artistici o storici). Al fine di allineare allo stesso criterio dell’imposta di registro anche l’agevolazione “prima casa” attribuita con aliquota IVA ridotta, il legislatore è poi intervenuto con il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 33, che, nel modificare il n. 21 del D.P.R. n. 633 del 1972, Tab. A, Parte II, all., ha espressamente richiamato il “criterio catastale”; con il risultato che anche l’agevolazione IVA è esclusa (indipendentemente dalla sussistenza di tutti gli altri requisiti) per gli RGN 25250/2014 immobili rientranti in una delle suddette categorie. Il nuovo regime trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente al 10 gennaio 2014, come espressamente disposto dal D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 5, per cui l’atto di trasferimento dedotto nel presente giudizio, antecedente a questo discrimine temporale, continua ad essere disciplinato in base alla previgente disciplina (in termini Cass. n. 2414 del 2019).

Premesso preliminarmente in fatto, che nella specie è indubbio che l’immobile in questione non rientri in nessuna delle categorie catastali indicate nel citato art. 10, essendo classificato in categoria A/7, come espressamente si legge a pag. 2, ultimo rigo, della sentenza impugnata, in diritto deve osservarsi che, a parte un unico precedente difforme (Cass. n. 18421 del 2017), è orientamento maggioritario di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, quello secondo cui “In tema d’imposta di registro per l’acquisto della prima casa, il D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 1, lett. a), che, nel sostituire il D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa, parte prima, allegata, art. 1, comma 2, ha identificato gli immobili non di lusso, cui applicare l’imposta agevolata, in base al classamento catastale e non più alla stregua dei parametri di cui al D.M. 2 agosto 1969, pur non potendo trovare applicazione, quanto alla debenza del tributo, agli atti negoziali anteriori alla data della sua entrata in vigore (7 aprile 2011), può tuttavia spiegare effetti ai fini sanzionatori, in applicazione del principio del “favor rei”, posto che, proprio in ragione della più favorevole disposizione sopravvenuta, la condotta mendace, che prima integrava una violazione fiscale, non costituisce più il presupposto per l’irrogazione della sanzione” (Cass. n. 2889 del 2017; conf. Cass. n. 13235 del 2016, n. 14964 del 2018, n. 32304 del 2018, n. 2414 del 2019).

E’ appena il caso di precisare che l’avvenuta contestazione, da parte della contribuente, della legittimità della revoca dell’agevolazione, esclude per ciò solo che sia divenuto definitivo il provvedimento di irrogazione delle sanzioni che da tale revoca consegue, nè la questione oggetto di esame, anche d’ufficio, comporta accertamenti fattuali di sorta, trattandosi di eliminazione delle sanzioni e non di loro rimodulazione all’esito di una determinata opzione per il regime più favorevole concretamente applicabile.

In estrema sintesi, quindi, va accolto il terzo motivo di ricorso, rigettati il primo e il secondo e la sentenza impugnata va cassata e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va decisa nel merito con annullamento delle sanzioni applicate con il provvedimento impugnato.

Le spese processuali, anche quelle di merito, in considerazione del complessivo esito del giudizio, vanno integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, annulla le sanzioni applicate con il provvedimento impositivo impugnato, compensando integralmente tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

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