LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7705/2017 R.G. proposto da:
N.D., N.G., NO.Da. e C.L., rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Simona CARLONI, presso il cui studio legale, sito in Roma, alla via Monte Santo, n. 2, sono elettivamente domiciliati;
– ricorrenti –
contro
COMUNE di PONTEDERA, in persona del Dirigente del IV Settore “Servizi di Staff”, Dott.ssa V.M., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. prof. Mario P.
CHITI, presso il cui studio legale, sito in Firenze, alla via Lorenzo il Magnifico, n. 83, è elettivamente domiciliato;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1516/03/2018 della Commissione Tributaria Regionale della TOSCANA, depositata il 13/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/10/2020 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI Lucio.
RILEVATO
che:
1. La presente controversia verte sull’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso dal Comune di Pontedera nei confronti di N.D., N.G. e NO.Da. nonchè di C.L. per omesso pagamento dell’ICI dovuta dai predetti contribuenti per un terreno di proprietà dei medesimi con riferimento all’anno di imposta 2009.
2. Con l’originario ricorso i contribuenti avevano lamentato la violazione del D.Lgs. n. 504 dal 1992, art. 5, comma 5, sostenendo che it sopravvenuto annullamento del vincolo espropriativo apposto sul terreno di loro proprietà – per effetto della sentenza del TAR Toscana n. 2065/2011 del 7-27 dicembre 2011 e per effetto della sentenza del medesimo TAR n. 416/2013, che aveva accolto il ricorso dei contribuenti avverso il silenzio-rifiuto serbato dal Comune sull’istanza da quelli avanzata, di “attribuzione di una nuova disciplina urbanistica relativa al terreno di loro proprietà” e “condannato il Comune (…) a provvedere sull’istanza (…) attribuendo una nuova disciplina urbanistica attuativa” a quell’area, “che ne era sprovvista in conseguenza dell’annullamento del PIP” – “aveva portato a creare un assetto urbanistico e giuridico dell’area tale da rendere infondata la precedente attribuzione di valore venale dell’area ed impossibile attribuire alla stessa un nuovo valore” (ricorso, pagg. 5 e 6).
3. Con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello dei contribuenti avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo che, in considerazione delle vicende giudiziarie che avevano interessato le delibere urbanistiche dell’ente comunale riferite al comparto in cui era ricompreso detto terreno, l’edificabilità dello stesso nel 2009 risultava essere “condizionata ad un atto amministrativo di natura urbanistica del Comune”, “ma non esclusa, ed il Comune (aveva) tenuto contò di tale fattore di riduzionè della valutazione, determinando con la Delib. consiliare n. 66 del 2006 per i terreni ricadenti in tale comparto il valore unitario di Euro 38,00 al mq., sulla base di una relazione tecnica”, da ritenersi “corretto” in quanto “congruamente ridotto rispetto a quello di Euro 60,00 dichiarato dagli stessi contribuenti per l’anno 2006 in condizioni di edificabilità “piena”” (sentenza, pag. 4).
5. Avverso tale statuizione i ricorrenti propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’intimato con controricorso e memoria;
6. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere la CTR “omesso di valutare le vicende giudiziarie che hanno coinvolto il PIP 4 ed hanno portato al suo annullamento finale”.
2. Il motivo è manifestamente inammissibile in quanto in contrasto con il disposto di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, vertendosi in ipotesi di c.d. doppia conforme rispetto alla quale la ricorrente non ha indicato profili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del rigetto dell’appello, com’era invece necessario per dar ingresso alla censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 26774/2016, n. 5528/2014).
3. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, sostenendo che la CTR, nel ritenere congruo il valore del terreno risultante dalla Delib. comunale 27 giugno 2006, n. 66, con cui il valore dell’area in cui era ricompreso quel terreno era stato attribuito dall’ente “in via generale”, ovvero senza tenere conto delle successive vicende giudiziarie che avevano riguardato proprio quell’area, non aveva tenuto conto dell’effettivo stato urbanistico del terreno oggetto di giudizio.
4. Il motivo è infondato e va rigettato.
5. Invero, dalla motivazione della sentenza in esame si evince in maniera assolutamente chiara che la CTR ha operato un’autonoma valutazione di congruità del valore del terreno oggetto di giudizio risultante dalla predetta delibera comunale, pur muovendo da quest’ultima e facendone propria la valutazione. I giudici di appello hanno infatti tenuto conto di tutte le vicende urbanistiche che avevano riguardato il comparto di appartenenza di quel terreno, sostenendo che nel 2009 l’edificabilità dello stesso “risultava “condizionata”” “ad un atto amministrativo di natura urbanistica del Comune”, “ma non esclusa”, e quindi operando un corretto inquadramento urbanistico dello stesso, precisando di non poter condividere la tesi dei ricorrenti di non essere tenuti al pagamento di alcunchè o di dover commisurare il valore del terreno a quello agricolo, proprio in considerazione del “contesto urbanistico” in cui lo stesso si inseriva, o al valore risultante dall’atto di adesione proposto dall’Agenzia del territorio, in quanto ente diverso da quello in giudizio.
5.1. Pertanto, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, la CTR ha tenuto conto dell’effettiva situazione urbanistica del terreno dei ricorrenti, alla stregua delle vicende giudiziarie che avevano interessato il comparto di appartenenza, con conseguente infondatezza della lamentata violazione della disposizione censurata.
6. Le considerazioni svolte esaminando il precedente motivo di ricorso, circa le argomentazioni svolte dalla CTR a sostegno del rigetto dell’appello dei contribuenti, rende evidente l’infondatezza anche del terzo motivo di ricorso, con cui viene dedotta la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione sub specie di motivazione apparente, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; deve infatti escludersi l’imperscrutabilità della ratio che rende nulla la sentenza per apparenza motivazionale (Cass., Sez. U., n. 22232 del 2016).
7. In estrema sintesi, il ricorso va rigettato con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021