LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25415-2018 proposto da:
C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 7, presso lo studio dell’avvocato SIMONA BARBERIO, rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO DAVOLI;
– ricorrente –
contro
DITTA ATEMA SAS;
– intimata-
avverso la sentenza n. 20/2018 della CORTE CATANZARO, depositata l’01/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera partecipata dell’08/09/2020 dal Consigliere LEONE MARGHERITA MARIA.
RILEVATO
CHE:
La Corte di appello di Catanzaro con la sentenza n. 20/2018 aveva rigettato l’appello proposto da C.F. avverso la decisione con la quale il Tribunale di Lamezia Terme aveva a sua volta rigettato la domanda dallo stesso proposta, diretta all’accertamento del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di Atema di N.A. & C. sas ed al riconoscimento delle differenze retributive maturate per la prestazione di lavoro svolta.
La corte di appello aveva ritenuto che le prove testimoniali raccolte non fossero sufficienti a fondare la pretesa di riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro e neppure a considerare certa la identità del datore di lavoro evocato in giudizio.
Avverso detta decisione il C. proponeva ricorso affidato a due motivi di censura. La società Atema rimaneva intimata.
Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
CHE:
1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2094 e 2222 c.c. per la non corretta applicazione dei principi in tema di subordinazione.
Parte ricorrente lamenta sostanzialmente la errata lettura delle emergenze istruttorie.
Questa Corte ha chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758/017 – 18721/2018).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha esaminato dettagliatamente il materiale probatorio e le singole testimonianze valutandone la congruenza ai fini della domanda. Le doglianze attengono quindi alla valutazione di merito del giudice, non proponibili in questa sede. Il motivo è inammissibile.
2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 437 c.p.c., per il mancato esercizio da parte del giudice di appello dei suoi poteri istruttori.
E’ altresì denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 132c.p.c. e dell’art. art. 118 disp. att. c.p.c. per assenza di motivazione.
Con l’articolato motivo sono denunciate tre tipologie di vizi. Il primo di essi lamenta il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice. A riguardo questa Corte ha chiarito che qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonchè di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove” (Cass. n. 23194/2017).
Il complesso di oneri incombenti sul ricorrente nella denuncia del vizio risulta disatteso nel caso in esame, poichè nessuna circostanza di fatto è stata specificamente trascritta nel corpo del motivo e neppure se ne è dimostrato l’eventuale nesso causale rispetto alla omissione lamentata ed alla decisività di una soluzione differente.
Con ulteriore profilo di censura il ricorrente si duole dell’omesso esame, in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, di un fatto decisivo.
Il motivo risulta inammissibile, oltre che per la mancata specifica indicazione del fatto ritenuto decisivo, anche perchè, secondo l’orientamento già espresso da questa Corte ed al quale si intende dare seguito, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 5528/2014).
Nella specie la decisione della Corte di merito, nel confermare integralmente la sentenza del Tribunale, ha condiviso la valutazione sui fatti compiuta dal giudice di prime cure circa l’assenza di condizioni connotative del rapporto di lavoro subordinato.
L’adesione del Giudice di appello rispetto al giudizio di fatto espletato dal Tribunale rende evidente come quest’ultimo costituisca il fondamento della decisione di rigetto dell’appello, rispetto alla quale alcuna differente e opposta allegazione, circa l’eventuale contrasto tra le decisioni, è stata invece formulata dal ricorrente.
Il motivo si appalesa quindi inammissibile.
Neppure ingresso può trovare la denuncia di carenza della motivazione. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053/2014 hanno chiarito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. L’assenza di precise indicazioni inerenti una delle ipotesi sopra enunciate rende quindi inammissibile la censura.
Il ricorso è inammissibile. Nulla per le spese.
sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 8 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021
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