Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.856 del 19/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1092-2018 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI N. 29, presso lo studio dell’avvocato MARINA MESSINA, rappresentato e difeso dagli avvocati DOMENICO BARBONI, ANNAMARIA NARDONE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DEL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA *****, MIUR – UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER LA LOMBARDIA, USR – UFFICIO XVII AMBITO TERRITORIALE DI MILANO in persona dei legali rappresentanti pro tempore;;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1450/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 18/7/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/12/2020 dal Presidente Relatore Dott. DORONZO ADRIANA.

RILEVATO

che:

con sentenza pubblicata in data 18/7/2017 la Corte d’appello di Milano, in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, ha rigettato l’appello proposto da A.M. contro la sentenza del Tribunale di Milano che, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’ A., avente ad oggetto la declaratoria di nullità-illegittimità del licenziamento con preavviso intimatogli dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca in data 16/5/2011;

la Corte ha invero ritenuto provati e, comunque, non contestati gli addebiti ascritti all’ A., assistente amministrativo in servizio presso l’Istituto di istruzione superiore statale Maxwell di Milano; che correttamente l’amministrazione aveva irrogato licenziamento con preavviso ai sensi del C.C.NL di settore, art. 95, comma 7, lett. a), dal momento che l’ A. aveva riportato nell’anno precedente per ben quattro volte la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione; che, valutati gli addebiti nel loro complesso e in correlazione con la recidiva contestata, essi erano di gravità tale da giustificare il recesso, avendo la condotta inadempiente del lavoratore creato disservizio per l’amministrazione (ritardi nella preparazione di documentazione relativa al personale dell’istituto) e procurato danni anche di natura patrimoniale (diversa imputazione del congedo di una dipendente); la Corte ha aggiunto che, nel corso del precedente procedimento disciplinare avviato per analoghe condotte ed all’esito del quale era stata comminata la sospensione dal servizio e dalla retribuzione, il dipendente si era impegnato ad assolvere con cura, serietà e attenzione i propri compiti, offrendosi di collaborare con la dirigenza, ma che tuttavia tale impegno non era stato osservato; ha pertanto concluso ritenendo che questa condotta, “unitamente alla sistematica reiterazione delle inadempienze commesse ed al conseguente inevitabile disservizio dell’istituzione scolastica, consente di qualificare la condotta di gravità tale da scuotere l’affidabilità e la fiducia del datore di lavoro nell’attività lavorativa del proprio dipendente. Conseguentemente la sanzione adottata va ritenuta proporzionata e congrua”;

contro la sentenza l’ A. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi; il Ministero dell’istruzione, l’ufficio scolastico regionale per la Lombardia e l’USR ufficio 17^ – ambito territoriale di Milano non svolgono attività difensiva;

la proposta del relatore, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata è stata notificata la parte;

in prossimità dell’adunanza, il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso l’ A. denuncia la violazione e falsa applicazione del c.c.n.l. comparto scuola 29/11/2007, art. 95, e la conseguente violazione del principio di gradualità e proporzionalità tra addebito e sanzione;

con il secondo motivo, denuncia la medesima violazione sotto il profilo della mancanza di prova dell’intenzionalità del comportamento illecito;

assume che il giudizio di “proporzionalità e congruità” è erroneo, considerato che le contestazioni riguardavano errori e ritardi nella compilazione di quattro atti, tutti pretesi e sollecitati dall’amministrazione per la stessa scadenza; che in un solo anno e mezzo, erano state inflitte sette sanzioni, quando nel decennio precedente non era mai incorso in alcun procedimento disciplinare; tali elementi dovevano indurre a ritenere la sua condotta giustificabile a causa del particolare carico di lavoro e della conseguente situazione di stress, sicchè doveva escludersi ogni sua negligenza e superficialità; aggiunge che dopo la riammissione in servizio, disposta dalla corte d’appello (con la sentenza poi cassata) aveva continuato a svolgere la sua attività in modo diligente e corretto, e tali elementi avrebbero dovuto essere valutati per escludere la gravità della sua condotta; quanto alla recidiva, ad essa si era dato un eccessivo rilievo e non erano stati invece considerati, al fine di escludere la proporzionalità della sanzione e la gravità della condotta, la mancanza di intenzionalità, il grado di negligenza, la rilevanza degli obblighi violati, la responsabilità della posizione e il grado di danno o pericolo;

entrambi i motivi, unitariamente esaminati, sono inammissibili, perchè – nonostante la loro formulazione sub speciae di violazione di legge tendono ad ottenere una rivalutazione dei fatti, proponendone una ricostruzione diversa e più appagante.

A tal riguardo è sintomatico il fatto che essi ripropongano questioni esclusivamente di fatto, come le giustificazioni addotte circa la situazione di carichi e stress lavorativi, il “diluvio di iniziative disciplinari” a cui era stato sottoposto nell’ultimo anno e mezzo, a fronte della mancanza di sanzioni o procedimenti disciplinari nel decennio precedente, nonchè dal momento della sua riammissione in servizio;

si tratta di circostanze fattuali di cui la Corte, con apprezzamento di merito non sindacabile in questa sede, ha ampiamente tenuto conto sia nel giudizio circa la sussistenza delle infrazioni contestate (“gravi, sistematiche negligenze e inadempienze nello svolgimento dei compiti assegnati con disservizio e contestate gravi sistema di sia nella personalità devono ritenuto danno per l’amministrazione”) – sia nella valutazione della gravità delle condotte e della proporzionalità della sanzione: in particolare la Corte territoriale ha ritenuto: a) le contestazioni specifiche e supportate da dementi documentali, oltre che non contestate dal ricorrente; b) le ragioni addotte dal lavoratore per giustificare la sua negligenza e imperizia (eccessivo carico di lavoro) non specifiche e comunque non provate; c) la gravità dei fatti contestati in quanto valutati nel loro complesso ed in correlazione con la recidiva contestata anche alla luce della stessa previsione contrattuale; d) la proporzionalità della sanzione, considerata la sistematicità e reiterazione delle inadempienze, l’inevitabile di servizio arrecato alla scuola, la incidenza negativa delle condotte sulla affidabilità e fiducia del datore di lavoro nell’attività lavorativa del suo dipendente;

si tratta di un giudizio privo di incongruenze ed esaustivo, insindacabile in questa sede, avendo giudice del merito dato rilievo ad elementi di fatto che, complessivamente considerati, consentono la riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta (in termini ancora Cass. 12/8/2009, n. 18247; Cass. 13/12/2010, n. 25144);

deve invero rilevarsi che i concetti di giusta causa di licenziamento e di proporzionalità della sanzione disciplinare costituiscono clausole generali, vale a dire disposizioni di limitato contenuto, che richiedono di essere concretizzate dall’interprete tramite valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, a condizione però che la contestazione in tale sede contenga una specifica denuncia di incoerenza del giudizio rispetto agli “standards” esistenti nella realtà sociale e non si traduca in una richiesta di accertamento della concreta ricorrenza degli elementi fattuali che integrano il parametro normativo, accertamento che è riservato ai giudici di merito (Cass. 26/03/2018, n. 7426);

tali specifiche censure non sono ravvisabili, perchè il ricorrente si è limitato ad una generica contestazione, solo oppositiva rispetto al giudizio di merito, senza che risulti formulata una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. 17/172017, n. 985, ed ivi ampi richiami; Cass. 20/5/2019, n. 13534); in definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

nessun provvedimento sulle spese deve essere adottato, in mancanza di attività difensiva svolta dalla parte intimata;

va invece dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, di una somma pari all’importo del contributo unificato già versato.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

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