Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.883 del 20/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14785-2019 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANBATTISTA SCORDAMAGLIA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente-

e contro

PROCURA DELLA REPUBBLICA DI CATANZARO;

-intimata-

avverso la sentenza n. 1846/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 24/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott LAURA SCALIA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. K.S., cittadino pakistano della regione del *****, ricorre in cassazione con quattro motivi avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la corte di appello di Catanzaro ha rigettato l’impugnazione proposta avverso l’ordinanza con cui il tribunale di Castrovillari aveva disatteso l’opposizione del primo avverso il provvedimento della Commissione territoriale di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

Nel racconto reso, il ricorrente aveva dichiarato, che dopo essere stato un militare per ventidue anni ed essersi pensionato dall’esercito per poi esserne assunto, richiamato da un colonello, in veste di civile, quale saldatore, di aver lasciato il paese di origine, una prima volta, nel 2013 dopo essere stato catturato, insieme ad altri militari, dai talebani che volevano informazioni su alcuni di loro catturati al fine di liberarli. In detta occasione il ricorrente era stato picchiato violentemente anche perchè i suoi rapitori avevano scoperto dai segni di flagellazione presenti sulla sua schiena che egli era un appartenente al gruppo religioso degli sciiti. Dopo aver raccontato tutto ciò al colonello che lo aveva rivoluto nell’esercito ed essere rimasto nella base militare per un mese, aveva poi avuto dall’ufficiale il permesso di andare dalla sua famiglia presso la quale veniva attaccato dai talebani. Richiesti i documenti per lasciare il proprio paese ad un amico, il richiedente era venuto in aereo in Italia lasciando in Pakistan, padre, madre, sorella, moglie e cinque figli. Nel 2014 dopo aver saputo che il padre stava poco bene egli aveva fatto rientro in Pakistan in cui, deceduto il padre, durante i funerali la polizia lo cercava per portarlo alla base militare poichè egli aveva molte informazioni sul territorio ed aveva lasciato il servizio senza avvertire. Per sfuggire alla polizia il richiedente era andato a vivere in un altro villaggio dove era rimasto per tre mesi e dal quale si era allontanato, spostandosi a *****, dopo essere stato rintracciato dalla prima. Dopo qualche mese aveva di nuovo lasciato il Pakistan temendo di essere ucciso dai talebani dopo aver appreso dai propri familiari che i primi avevano lasciato in casa una lettera in cui dicevano che lo stavano cercando per ucciderlo.

Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al dichiarato fine di una eventuale sua partecipazione all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

E’ stata depositata dal ricorrente memoria tardiva.

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa valutazione dei documenti prodotti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (tesserino militare; libretto di distacco dall’esercito; n. 6 foto che lo ritraevano in missione in Congo; tessera da lavoratore civile pressa l’esercito; certificato di morte del padre).

3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, con riferimento alla credibilità del dichiarante, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e motivazione illogica.

4. Dei motivi, connessi, deve darsi congiunta trattazione venendo per essi in valutazione la questione dell’omessa valutazione di documenti decisivi.

I motivi sono inammissibili per difetto di autosufficienza là dovè il ricorrente manca di indicare in ricorso, per l’appunto, dei documenti la decisività in punto di giudizio.

Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass. n. 19150 del 28/09/2016; in termini, più recentemente: Cass. n. 16812 del 26/06/2018; Cass. n. 16214 del 17/06/2019).

Quanto ai documenti segnalati come omessi nella valutazione dei giudici di merito, vero è infatti che il ricorso non ne indica la decisività che è destinata a valere non tanto rispetto alle evidenze relative alla posizione di militare del richiedente ed alla sua permanenza presso l’esercito come civile e, ancora, alla circostanza del morte del padre, ma al fatto che i Talebani lo ricercassero perchè lo volevano uccidere.

Siffatta evidenza, alla quale è connessa l’individualizzazione del rischio alla persona che di questa legittima l’accesso al riconoscimento dello status di rifugiato o alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), risulta contrastata in giudizio dall’accertamento, non vinto dai richiamati documenti per le sopra indicate ragioni, condotto sul racconto reso che è stato reputato dalla corte di merito non credibile, proprio quanto alla conoscenza da parte dei Talebani del ritorno a casa del richiedente in occasione della morte del padre ed alla circostanza per la quale sempre i Talebani, non rinvenendo il primo in detta occasione, avrebbero lasciato ai familiari una lettera in cui avvertivano il ricorrente della loro intenzione di ucciderlo.

5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla protezione sussidiaria deducendo l’esistenza di fonti ulteriori sulla situazione di trattamenti inumani e degradanti minacce di morte e gravi lesioni dei diritti umani.

Il motivo è infondato.

Il giudizio sulla non credibilità del racconto esclude infatti l’individualizzazione del rischio e che il giudice di merito sia poi tenuto a porre in essere approfondimenti istruttori in via ufficiosa per l’accertamento degli estremi di cui al citato art. 14 lett b) (Cass. 27/06/2018 n. 16925; Cass. 10/04/2015 n. 7333).

Quanto alla situazione di violenza generalizzata citato D.Lgs., ex art. 14, lett. o), la stessa resta affidata, peraltro con sua menzione operata nella sola narrativa del motivo, ad una contrapposta ed alternativa, rispetto a quella ritenuta nell’impugnata sentenza, indicazione di fonti che, sconfinando nel merito, non riesce a denunciare del giudizio impugnato l’illegittimità.

6. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 5TUI, comma 6, e art. 19TUI, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, per mancata comparazione tra integrazione sociale e situazione personale del richiedente.

Il motivo è manifestamente infondato.

La protezione umanitaria è stata scrutinata nell’impugnata sentenza sub specie dei gravi motivi ed esclusa, quanto al richiesto estremo della vulnerabilità del richiedente, per un apprezzamento sulla condizione del paese di provenienza rispetto al contesto di provenienza, sociale, poetico ed ambientale, idoneo a determinare una significativa compromissione dei diritti fondamentali ed inviolabili.

7. Il ricorso, conclusivamente infondato, va rigettato.

Nulla sulle spese nella tardività ed irritualità della costituzione dell’amministrazione intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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