LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 509/2020 proposto da:
S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI OTTAVI 9, presso lo studio degli avvocati MASSIMILIANO SCARINGELLA, E FABIO LOSCERBO, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA, presso PREFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE DI FORLI’, in persona del Presidente pro tempore, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;
– resistenti con mandato –
avverso la sentenza n. 1955/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 19/06/2019 r.g.n. 3792/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/09/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.
RILEVATO
Che:
1. con sentenza 19 giugno 2019, la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello proposto da S.C., cittadino *****, avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna, di reiezione del suo ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale, che gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria;
2. come già il primo giudice, la Corte territoriale dichiarava non credibili, per genericità e intima contraddittorietà logica, le sue dichiarazioni relative alla vicenda occorsagli, siccome di carattere squisitamente privato, per l’asserita minaccia di morte subita da un influente integralista islamico (interessato all’acquisto delle proprietà dei parenti di una donna che l’aveva adottato in tenera età, i quali alla sua morte l’avevano allontanato da quelle terre), una volta saputo che il giovane S. si era rivolto, ancorchè inutilmente, al capo del villaggio per convincere tali parenti ad astenersi dalla vendita;
3. inoltre, essa escludeva la sussistenza dei requisiti della protezione sussidiaria domandata, anche per la documentata inesistenza di una situazione attuale di pericolo nella regione di origine del richiedente (Casamance) e parimenti del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non vertendo lo straniero in una condizione di vulnerabilità, per cui la Corte felsinea riteneva irrilevante l’inserimento sociale e lavorativo in Italia, in quanto fattore esclusivo, anzichè concorrente con altri, non risultanti;
4. infine, la Corte territoriale negava la rilevanza, a fini di integrazione dei seri motivi umanitari, delle asserite violenze subite da S.C. in Libia, in quanto Paese di transito;
5. con atto notificato il 13 dicembre 2019, il predetto ricorreva per cassazione con cinque motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
Che:
1. il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e vizio di motivazione, per la mancata considerazione di credibilità delle proprie dichiarazioni, invece intrinsecamente attendibili e riscontrate da elementi esterni e per l’omessa attivazione dei poteri informativi officiosi, in funzione dell’acquisizione di aggiornate informazioni sulla situazione del Paese di provenienza (primo motivo);
2. il motivo è inammissibile;
3. premessa la necessità che: la valutazione di credibilità del richiedente sia sempre frutto di una valutazione complessiva di tutti gli elementi e che non possa essere motivata soltanto con riferimento ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti, quando invece venga trascurato un profilo decisivo e centrale del racconto (Cass. 8 giugno 2020, n. 10908); il giudice, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, osservi l’obbligo di compiere le valutazioni di coerenza e plausibilità delle dichiarazioni del richiedente, non già in base alla propria opinione, ma secondo la procedimentalizzazione legale della decisione sulla base dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. 11 marzo 2020, n. 6897; Cass. 6 luglio 2020, n. 13944; Cass. 9 luglio 2020, n. 14674);
3.1. la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (soltanto il mancato rispetto dei parametri procedimentali di tale norma integrando un errore di diritto denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: Cass. 30 giugno 2020, n. 13257) e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero mancanza assoluta della motivazione, motivazione apparente o perplessa od obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340); la verifica di credibilità è sottratta al controllo di legittimità, al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, posto che le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, devono essere sottoposte non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 7 agosto 2019, n. 21142; Cass. 19 giugno 2020, n. 1195);
3.2. il motivo difetta di specificità e sollecita in modo evidente un riesame dell’accertamento in fatto, di spettanza esclusiva del giudice di merito e pertanto insindacabile in sede di legittimità, laddove, come nel caso di specie, sia congruamente argomentato (per le ragioni esposte dal penultimo capoverso di pg. 3 al secondo di pg. 4 della sentenza)” in ragione dell’assenza di alcuna spiegazione in sede giudiziaria ai dubbi emersi in sede di commissione territoriale (al secondo capoverso pg. 4 della sentenza);
4. il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17, per la non ravvisata credibilità delle proprie dichiarazioni in funzione del riconoscimento della protezione internazionale (nelle forme dello status di rifugiato ovvero di protezione sussidiaria), nella sussistenza dei rispettivi requisiti, previa la valutazione di tutti gli elementi del caso concreto e non soltanto della suddetta ritenuta non credibilità (secondo motivo);
5. il motivo è infondato;
6. richiamate le argomentazioni svolte in riferimento al precedente mezzo, in ordine all’insindacabilità della valutazione di non credibilità, di esclusiva spettanza del giudice di merito, la Corte territoriale ha comunque compiutamente esaminato (dal quarto capoverso di pg. 4 – “In ogni caso…” – al secondo di pg. 5 della sentenza) i presupposti, oltre che della domanda di soggiorno per motivi umanitari, anche di quella di protezione sussidiaria: in quanto oggetto di appello rispettivamente in via gradata e in via principale, come esposto puntualmente dalla Corte (ai primi due capoversi di pg. 3 della sentenza), senza alcuna smentita;
7. il ricorrente deduce poi omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione alla mancata indicazione del riferimento normativo in ordine al difetto di credibilità per il riconoscimento tanto dello status di rifugiato che di protezione sussidiaria (terzo motivo);
8. il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;
9. sotto il primo profilo, non si configura più il vizio motivo dedotto, alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo ovvero alla riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: con limitazione della denuncia in cassazione solo dell’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053);
9.1. sotto il secondo profilo, la Corte ha puntualmente specificato (agli ultimi due capoversi di pg. 4 della sentenza) il riferimento normativo (senza peraltro esservene neppure necessità, una volta chiariti i requisiti di fattispecie), in ordine al grave danno della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14), per la ragione indicata nello scrutinio del precedente motivo;
10. il ricorrente deduce infine omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione alla domanda di protezione umanitaria, per la mera apparenza di motivazione sul rilievo della sottintesa non credibilità del richiedente (a pg. 5 della sentenza), in assenza di alcuna prescrizione di legge quale requisito indispensabile di una misura residuale di portata generale, pure nella sussistenza degli elementi richiesti (condizione di pericolo attuale, minaccia personale e grave danno per il richiedente in caso di rientro nel Paese d’origine), sulla base di quanto allegato in via difensiva ma non considerato (quarto motivo); violazione o falsa applicazione della L.R. Emilia Romagna 30 luglio 2014, n. 14, art. 2, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per la mancata individuazione dei seri motivi umanitari in ordine alla misura di protezione richiesta, in quanto catalogo aperto, per la mancanza di tipizzazione delle condizioni previste dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, da riempire di contenuto con i diritti riguardanti la sfera personale, con particolare riconduzione della condizione di vulnerabilità alla nozione di persona svantaggiata, elaborata dal documento tecnico “Lavoro, fragilità e vulnerabilità”, preparatorio della denunciata legge regionale (quinto motivo);
11. essi, congiuntamente esaminabili per evidenti ragioni di connessione, sono entrambi inammissibili;
11.1. non si configurano i vizi motivi come denunciati, per le ragioni sopra indicate e difetto di specificità, in mancanza di una puntuale indicazione, oltre che di trascrizione (Cass. 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. 27 luglio 2017, n. 18679) di quegli “elementi riportati da questa difesa, non presi in considerazione nella motivazione della sentenza” (così al terzo capoverso di pg. 9 del ricorso), soltanto genericamente prospettati;
11.2. nel complesso, essi convergono in una sostanziale contestazione dell’accertamento in fatto della Corte territoriale, in esito alla valutazione degli elementi scrutinati, con evidente sollecitazione al riesame della vicenda, spettante in via esclusiva al giudice di merito e pertanto insindacabile in sede di legittimità, in presenza di adeguata argomentazione, come appunto nel caso di specie (in particolare al primo capoverso di pg. 6 della sentenza), in applicazione dei principi di diritto regolanti la materia (enunciati agli ultimi due capoversi di pg. 5 della sentenza);
12. pertanto il ricorso deve essere rigettato, senza alcun provvedimento in ordine alle spese del giudizio, non avendo il Ministero vittorioso svolto alcuna difesa e con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2021