Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.91 del 07/01/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29899-2018 proposto da:

S.G., M.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ULPIANO 29, presso lo studio dell’avvocato LUDOVICA DE FALCO, rappresentati e difesi dall’avvocato PASQUALE MANFREDI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – UFFICIO PROVINCIALE DI *****;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2024/11/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 06/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’11/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO RAGONESI.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza n. 8717/17, sez. 13, accoglieva il ricorso proposto da S.G. avverso l’avviso di accertamento ***** estimo catastale.

Avverso detta decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva appello innanzi alla CTR Campania.

Il giudice di seconde cure, con sentenza 2024/18, accoglieva l’impugnazione.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente sulla base di due motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il contribuente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere il giudice di secondo grado deciso sulla base di eccezioni e contestazioni avanzate dall’Agenzia per la prima volta nel giudizio di appello.

Con il secondo motivo contesta la mancata ritenuta incongruità dell’avviso accertamento emanato a seguito di procedura Docfa.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Il contribuente, per supportare la propria doglianza, riporta nel ricorso alcuni brani dell’appello dell’Amministrazione basati sostanzialmente sull’argomento che nel 2011 era stata presentata per il medesimo immobile una Docfa recante valori più elevati rispetto a quelli successivamente proposti nel 2015 ed oggetto della presente controversia nonostante il fabbricato fosse rimasto immutato essendosi solamente provveduto a separare il ristorante dalla pensione.

Tali deduzioni non costituiscono in alcun modo delle eccezioni ma esclusivamente delle argomentazioni difensive proponibili senza limitazioni anche in fase di appello.

Non sussiste, quindi, violazione dell’art. 112 c.p.c..

La giurisprudenza di questa Corte è da tempo consolidata nell’affermare che nel processo tributario, la parte resistente la quale, in primo grado, si sia limitata ad una contestazione generica del ricorso può rendere specifica la stessa in sede di gravame poichè il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, riguarda solo le eccezioni in senso stretto e non anche le mere difese, che non introducono nuovi temi di indagine (da ultimo Cass. 12651/18; Cass. 31224/17; Cass. 11223/2016; Cass. 23587/2016; Cass. 22105/2017).

L’eccezione in senso stretto, infatti, la cui proposizione per la prima volta in appello è vietata dalla norma, consiste nella deduzione di un fatto impeditivo o estintivo del diritto vantato dalla controparte, laddove è mera difesa, come tale consentita, la contestazione dei fatti posti dall’altra parte a fondamento del suo diritto (ex plurimis Cass. n. 14515/19; Cass. 23796/18).

Il motivo va quindi respinto.

Il secondo motivo è anch’esso manifestamente infondato.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza tra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni, mentre, nel caso in cui vi sia una diversa valutazione degli elementi di fatto, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso..(Cass. 31809/18 – Cass. 12777/18).

Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha rilevato che “non risulta che nel 2015 in sede di presentazione della istanza di variazione con la procedura Docfa fosse stato segnalato lo stato di vetustà degli immobili e degrado della zona (lo si afferma solo nell’ultima pagina del ricorso introduttivo ma non lo si documenta) e dunque non vi sono elementi per ritenere che gli elementi di fatto a suo tempo indicati dal contribuente siano stati disattesi”.

In conseguenza di ciò ha ritenuto che non fosse necessaria una motivazione più rigorosa da parte dell’atto di accertamento rilevando nel prosieguo della motivazione che l’immobile era rimasto il medesimo e che, quindi, il suo frazionamento in due unità non giustificava l’attribuzione di valori più bassi.

Il ricorso va dunque respinto.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 4800,00 oltre spese prenotate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472