LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14284/2015 R.G. proposto da:
M.S., e R.G.F., rappresentati e difesi, giusta procura per Notaio A.N. del 7 maggio 2015, rep. n. *****, dall’avv. Giuseppe Falcone, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Antonio Iorio, in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 287;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 3945/2/14 della Commissione tributaria regionale della Sicilia depositata il 18 dicembre 2014;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 novembre 2021 dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Troncone Fulvio, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. All’esito di una verifica fiscale effettuata nei confronti della società Gamàs s.r.l., di cui M.S. era socio, l’Agenzia delle entrate notificò ai coniugi M.S. e R.G.F. avviso di accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38 recuperando a tassazione maggiori imposte ai fini Irpef e Ilor, per l’anno 1996, imputando ai contribuenti gli accrediti ed addebiti risultanti dalle movimentazioni bancarie emergenti da tre conti correnti agli stessi intestati.
2. Impugnato l’atto impositivo, la Commissione tributaria provinciale accolse il ricorso.
La sentenza venne impugnata dall’Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria regionale che, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, rideterminò il reddito accertato ritenendolo fondato nella misura del 30 per cento.
3. Avverso tale sentenza proposero ricorso per cassazione sia i contribuenti sia l’Ufficio finanziario. Questa Corte, con ordinanza n. 22785 del 9 novembre 2010, cassò con rinvio la sentenza per vizio di motivazione – dedotto dai contribuenti – affermando che “la motivazione della sentenza era incongrua”, perché, da un lato, aveva svalutato completamente la rilevanza degli accertamenti bancari, negandone pure il valore di presunzione semplice, e, dall’altro, aveva rideterminato il reddito dei contribuenti nella misura del 30 per cento di quanto accertato dall’Ufficio, sulla base esclusivamente dei dati bancari; dichiarò, invece, inammissibile l’ulteriore motivo dedotto dai contribuenti (violazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente per mancata allegazione all’avviso di accertamento del processo verbale di constatazione redatto a carico della società Magnificio Gamàs s.r.l.), per difetto di autosufficienza, ed il ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate per mancanza del momento di sintesi richiesto dall’art. 366-bis c.p.c..
4. Riassunto il giudizio dai contribuenti, la C.T.R., quale giudice del rinvio, accogliendo l’appello dell’Ufficio, confermò l’atto impugnato.
Osservò, preliminarmente, che, in assenza di una espressa previsione legislativa, non sussisteva l’obbligo di un preventivo contraddittorio nell’esercizio dei poteri previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e che l’acquisizione e l’utilizzazione delle risultanze delle indagini bancarie eseguite su autorizzazione del Comandante della Guardia di Finanza, seppure non allegata, era del tutto legittima. Rilevando, poi, che la rettifica era stata eseguita ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 all’esito di indagini bancarie, affermò che l’onere probatorio dell’Ufficio risultava soddisfatto e che le anomale movimentazioni bancarie determinavano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente. Poiché i coniugi M.- R. non avevano giustificato gli accrediti e gli addebiti emergenti dai conti correnti bancari ad essi intestati, ritenne fondata la pretesa fiscale, sottolineando che la rideterminazione del reddito dichiarato era stata effettuata “in base ad elementi certi rilevati dal confronto tra le scritture contabili ed i documenti acquisiti nel corso delle indagini”.
5. M.S. e R.G.F. hanno proposto ricorso per la cassazione della suddetta decisione, con sette motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..
L’Agenzia delle entrate ha resistito mediante controricorso e ha proposto ricorso incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo.
I contribuenti hanno depositato controricorso al ricorso incidentale condizionato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 lamentando che non sarebbe stata esibita dalla parte appellante la ricevuta della spedizione della raccomandata con la quale l’atto di appello era stato notificato, cosicché la C.T.R. avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’impugnazione.
2. Con il secondo motivo, deducendo “la violazione e/o falsa applicazione di legge (artt. 97 e 24 Cost., L. n. 241 del 1990, artt. 7 e 21, L. n. 212 del 2000, artt. 6,10 e 12, del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, i ricorrenti censurano la sentenza della C.T.R. nella parte in cui ha escluso la necessità del contraddittorio preventivo sul presupposto che l’art. 32 citato citato prevede una facoltà e non un obbligo.
3. Con il terzo motivo, deducendo “violazione e/o falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,L. n. 212 del 2000, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, si dolgono che la C.T.R. non abbia dichiarato la nullità dell’accertamento, sebbene all’atto impositivo non fosse stato allegato il processo verbale di constatazione redatto a carico della società, che veniva solo richiamato nell’accertamento.
4. Con il quarto motivo – rubricato “Violazione e/o falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,L. n. 212 del 2000, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) consistita nel non avere la CTR dichiarato la nullità dell’accertamento per carenza di motivazione” – i contribuenti lamentano che nell’accertamento. confermato non sono stati neppure indicati gli importi rilevati come accrediti, né quelli degli addebiti, né è stata spiegata la ragione per cui quelle somme non sono state imputate alla società. Sostengono che la C.T.R., per legittimare l’accertamento sintetico, ed in mancanza di qualsiasi motivazione, ha dovuto fare ricorso alle scritture contabili della società Gamàs s.r.l., soggetto autonomo rispetto alle persone fisiche, con conseguente inammissibile commistione tra la verifica alla società e l’accertamento al socio, mentre avrebbe dovuto dichiarare la nullità dell’accertamento sintetico per l’assoluta carenza di motivazione.
5. Con il quinto motivo denunciano la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32, 37, 38, 42, L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 10 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e addebitano alla C.T.R. di non avere dichiarato la nullità dell’accertamento per mancata allegazione della richiesta di autorizzazione alle indagini bancarie e del provvedimento di autorizzazione a tali indagini. Evidenziano, a sostegno della censura, che l’autorizzazione era stata richiesta ed era stata concessa nel corso di una verifica nei confronti di una società di capitali, mentre era stata poi utilizzata nei confronti di soggetti non verificati, per cui nei loro confronti non poteva dirsi sussistente alcuna autorizzazione che potesse legittimare l’accertamento.
6. Con il sesto motivo censurano la decisione gravata per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32, 37, 38 e 42, L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 12 e lamentano che la C.T.R. ha confermato l’avviso di accertamento basato esclusivamente su dati bancari acquisiti ed utilizzati illegittimamente. Evidenziano che nel giudizio di appello avevano segnalato che per lo stesso anno d’imposta l’Ufficio Iva di Messina aveva emesso avviso di rettifica nei confronti della società Gamàs, che era stato poi annullato per vizi procedurali.
7. Con il settimo motivo, denunciando la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 1 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 si dolgono che la C.T.R. non abbia dichiarato la nullità dell’accertamento che aveva tassato un patrimonio e non un reddito, non essendo stata imputata né un’attività d’impresa o di lavoro autonomo produttiva di un reddito, né individuata una delle altre fonti di reddito previste dall’art. 6 del t.u.i.r., né ancora sono state individuate manifestazioni di ricchezza da porre a base di un accertamento sintetico.
Evidenziano i ricorrenti che il maggiore reddito è stato dalla C.T.R. collegato alle scritture contabili di una società di capitali, come se si fosse trattato di un reddito di partecipazione, sebbene nel corso del giudizio di merito le movimentazioni bancarie siano state giustificate chiarendo che si trattava di acquisti fatti tramite Banca di “pronti contro termine”.
8. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato l’Agenzia delle entrate deduce la violazione dell’art. 384 c.p.c., sottolineando che il giudice del rinvio avrebbe dovuto soltanto esaminare e valutare le prove poste a base dell’accertamento al fine di stabilire se le stesse fossero idonee a giustificare la pretesa impositiva ed avrebbe, quindi, dovuto esimersi “dall’effettuare ulteriori indagini attinenti ai diversi profili di legittimità degli avvisi di accertamento impugnati”.
9. Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.
9.1. Come sopra esposto, la sentenza in questa sede impugnata è stata emessa nel giudizio di rinvio disposto dalla Cassazione con la sentenza n. 22785/2010 che ha accolto la censura formulata dalle parti contribuenti, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, affermando che la motivazione della sentenza d’appello era “incongrua” perché, da una parte, escludeva la rilevanza degli accertamenti bancari, arrivando a negare anche il valore di presunzione legale dagli stessi derivanti, e, dall’altra, parzialmente confermava l’avviso di accertamento, sulla base degli stessi dati bancari, seppure riducendo in misura percentuale il reddito dei contribuenti rispetto a quanto accertato dall’Ufficio.
9.2. Il principio della rilevabilità in ogni stato e grado dell’inammissibilità dell’appello, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 – che esige che il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso depositi, nella segreteria della commissione tributaria adita, o trasmetta a mezzo posta, in plico raccomandato l’originale del ricorso notificato ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito e della spedizione della raccomandata a mezzo del servizio postale – deve essere coordinato con i principi che disciplinano il giudizio di rinvio e, segnatamente, con l’efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio nel giudizio di legittimità, ma anche quelle che costituiscono il necessario presupposto della sentenza.
9.3. Come è stato chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. U, 9/06/2016, n. 11844), nel caso di giudizio di rinvio cd. “prosecutorio” (o rinvio “vero e proprio”), come quello in esame, avuto riguardo alle statuizioni rese in sede di cassazione (totale o parziale) della sentenza impugnata, il rinvio per ragioni di merito costituisce la fase rescissoria rispetto al giudizio (rescindente) di cassazione, che, inserendosi nella formazione progressiva del giudicato, risulta finalizzato all’emanazione di una nuova pronuncia di merito che decida la controversia (ovvero integri i capi rimasti indenni della precedente decisione), facendo applicazione dei criteri di giudizio che la Corte ha ritenuto corretti (nell’ipotesi, evidentemente, che non sussistano i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p.) e/o facendo emenda dei vizi motivazionali dalla stessa Corte rilevati; con la conseguenza che, in quella fase, non possono formare oggetto di discussione tutte le questioni che costituiscono presupposti, esplicitamente o implicitamente, decisi nella pronuncia di cassazione.
9.4. Da ciò discende che, nel caso di specie, il giudice di rinvio, al fine di procedere al giudizio nei termini rimessigli dalla cassazione con rinvio, non poteva rilevare l’eventuale inammissibilità dell’appello, trattandosi di questione preclusa, quantomeno implicitamente, dalla sentenza di cassazione con rinvio. Ne consegue che la censura in esame con la quale si reitera in questa sede tale questione, è inammissibile.
10. Per le medesime ragioni non si sottraggono alla declaratoria d’inammissibilità il secondo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo perché tutti vertenti su questioni che costituiscono necessari presupposti implicitamente decisi dalla pronuncia della Cassazione e che il giudice di rinvio non avrebbe potuto prendere in esame. Invero, la Corte di Cassazione, procedendo all’esame nel merito della controversia e ritenendo non adeguata la motivazione resa dalla sentenza d’appello in merito alle risultanze delle indagini bancarie poste a fondamento dell’avviso di accertamento e demandando al giudice di rinvio il compito di procedere a nuova valutazione delle prove al fine di verificare se le stesse fossero idonee a supportare la pretesa impositiva, ha indubbiamente disatteso i diversi profili di illegittimità dell’avviso di accertamento, denunciati dai contribuenti con i mezzi in esame, derivanti da una presunta violazione del contraddittorio preventivo, dalla carenza di motivazione dell’atto impositivo e dalla mancata allegazione della richiesta di autorizzazione alle indagini bancarie.
11. Parimenti inammissibile è il terzo motivo del ricorso principale, con il quale si assume che l’avviso di accertamento sarebbe nullo in difetto di allegazione del processo verbale di constatazione notificato alla società Gamàs s.r.l., stante la preclusione alla relativa disamina scaturente dalla declaratoria d’inammissibilità della medesima censura pronunciata da questa Corte con la sentenza di cassazione con rinvio n. 22785 del 2010, atteso che il giudizio di rinvio conseguente a cassazione, pur dotato di autonomia, non dà luogo ad un nuovo procedimento, ma rappresenta una fase ulteriore di quello originario (cfr. Cass., sez. U, 9/06/2016, n. 11844).
12. Il settimo motivo è fondato nei termini che di seguito si espongono.
12.1. Secondo il costante orientamento di questa Sezione (Cass., sez. 5, 2/07/2014, n. 15050; Cass., sez. 5, 20/01/2017, n. 1519; Cass., sez. 6-5, 4/01/2019, n. 104), la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2 non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come è reso palese dal richiamo, operato dal citato art. 32, anche all’art. 38 del medesimo D.P.R., riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche (attinente ad ogni tipologia di reddito di cui esse siano titolari). La presunzione legale in oggetto si articola secondo due diverse modalità, distintamente previste nella prima e nella seconda parte, secondo periodo, del citato art. 32, comma 1: a) i “dati ed elementi” attinenti ai rapporti bancari possono essere utilizzati nei confronti di tutti i contribuenti destinatari di accertamenti previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 38,39,40 e 41 (persone fisiche, titolari di reddito determinato in base alle scritture contabili, redditi di soggetti diversi dalle persone fisiche, redditi accertati d’ufficio); b) la presunzione legale secondo cui i versamenti ed i prelevamenti sono considerati ricavi o compensi può essere utilizzata nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili (con la correzione apportata dalla Corte Cost. con la sentenza n. 228 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità della presunzione di maggiori compensi desumibile dai prelevamenti effettuati dai titolari di reddito di lavoro autonomo).
Di conseguenza, l’operazione bancaria di prelevamento conserva validità presuntiva nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa e le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia adempiendo l’onere di dimostrare che “ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine” (in senso conforme Cass., sez. 5, 2/10/2013, n. 22514 che ha ritenuto “priva di qualsivoglia riscontro normativo” la limitazione dell’ambito applicativo degli accertamenti bancari ai soli soggetti esercenti attività di impresa, artistica o professionale).
12.2. Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate, nel corso della verifica eseguita nei confronti della Gamàs s.r.l., ha individuato tre conti correnti intestati agli odierni ricorrenti e, all’esito dell’esame della documentazione bancaria acquisita, avendo riscontrato operazioni di accredito e di addebito, avvalendosi della presunzione stabilita dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2), li ha ritenuti titolari del reddito corrispondente, rettificando il reddito dichiarato.
La ripresa fiscale, diversamente da quanto asserito dai ricorrenti, ha colpito non il patrimonio, ma piuttosto un reddito presunto, scaturito da un fatto noto patrimoniale. Era conseguentemente onere dei contribuenti, a norma dello stesso art. 32 citato, fornire la prova che avevano tenuto conto di tali importi nelle dichiarazioni dei redditi, ovvero che si trattava di disponibilità reddituali esenti da imposta.
Tale onere non è stato ritenuto assolto dalla C.T.R., considerato che, a fronte delle movimentazioni bancarie rilevate dall’Ufficio, i contribuenti non hanno fornito alcuna prova documentale nel corso del giudizio di merito, ma si sono limitati a mere affermazioni, del tutto irrilevanti ai fini della decisione, non potendo attribuirsi alcuna valenza probatoria alla mera deduzione, ribadita anche con il ricorso per cassazione (a pag. 25) e con la memoria illustrativa, secondo cui le movimentazioni oggetto di contestazione erano riferibili ad “acquisti fatti tramite Banca di pronti contro termine”.
Tuttavia, la Commissione tributaria regionale, facendo generico riferimento in motivazione agli “accrediti” ed “addebiti” dei conti bancari cointestati ai ricorrenti, discostandosi dai principi richiamati al p. 12.1), ai fini della determinazione del reddito imputabile ha tenuto conto anche dei prelevamenti, omettendo, tuttavia, di verificare se le operazioni di prelevamento oggetto di contestazione fossero riconducibili ad attività d’impresa esercitata dai contribuenti.
Ne consegue che, sotto tale profilo, la sentenza deve essere cassata.
13. La dichiarata inammissibilità dei motivi dal primo al sesto del ricorso principale consente di ritenere assorbito il ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate.
14. Conclusivamente, ritenuti inammissibili il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale, va accolto, nei termini di cui in motivazione, il settimo motivo del ricorso principale, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla competente Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, per il riesame in ordine alla censura accolta e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale; accoglie, nei termini di cui in motivazione, il settimo motivo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022